Le sanzioni alla Russia: cronistoria di un fallimento geopolitico.

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Ci aveva già provato Napoleone con gli editti di Berlino e di Milano a chiudere i porti e di conseguenza i commerci con la sua arcinemica di sempre, la Gran Bretagna. Il blocco dei rapporti commerciali con navi inglesi o provenienti da porti inglesi e delle merci definite poi con i Decreti di Milano “a priori” provenienti dal Regno Unito trasformò le economie dei vari paesi bongré-malgré aderenti in un mercato dove gran parte delle materie prime e dei semilavorati provenivano dalla Francia e dalle sue industrie. Senza la concorrenza inglese queste merci subirono notevoli rincari, anche a causa del fatto che la Francia applicava tassi doganali sia alle merci importate che a quelle in esportazione. Se questo mercato, detto “Sistema continentale” portò quindi, un notevole giovamento all’industria ed al commercio francese, fu tutt’altro che benefico per gli altri paesi che, già privati di gran parte del commercio marittimo, piombarono nella recessione, il che certo non favorì la popolarità dell’Imperatore e del suo Blocco Continentale. Inoltre, la Gran Bretagna non risentì molto degli effetti del Blocco, sia perché disponeva delle materie prime che gli arrivavano dalle colonie e sia perché il Blocco stesso, favorì lo sviluppo di un mercato clandestino parallelo come prova la decisione francese di invadere il Portogallo che era uno dei centri di questo commercio sotto banco.

Passano i tempi e cambiano gli scenari ma le lezioni della storia vengono dimenticate dai potenti. Nonostante le sanzioni imposte alla Federazione russa a seguito dell’annessione della Crimea e del contenzioso aperto con l’Ucraina – sanzioni che hanno danneggiato e non poco molte industrie italiane – si scopre difatti che, sottobanco, tedeschi e persino americani aggirano allegramente le disposizioni emanate dai loro rispettivi governi. Non è questa la sede per discutere delle questioni geopolitiche che hanno fatto scattare queste sanzioni anche se è doveroso dire che mentre ben altri pericoli emergono per l’Occidente sullo scacchiere globale, sembra davvero esiziale discutere su un piccolo territorio come la Crimea peraltro in stragrande maggioranza russofono e che quindi ha solo espresso il suo diritto di ricongiungersi alla propria patria. Mentre anche per il cosiddetto Donbass la soluzione potrebbe risiedere nella concessione di una autonomia alla popolazione russofona all’interno della cornice territoriale ucraina.

Quello che però ci interessa evidenziare è come mentre Frau Merkel obbliga l’Europa intera all’applicazione delle sanzioni, ci sono industrie tedesche come Daimler e Henkel che, come scritto da Ruth Bender, sull’autorevolissimo Wall Street Journal, tornano a fare affari alla grande con la Federazione Russa.  Secondo Bender infatti, negli ultimi nove mesi, gli investimenti diretti delle imprese tedesche in Russia hanno oltrepassato i due miliardi di euro, superando il totale degli investimenti per tutto il 2015. Il produttore di automobili tedesco Daimler è attualmente in trattative con la Russia per la costruzione di un nuovo impianto di produzione, mentre la Volkswagen, il mese scorso, ha avviato la produzione della Tiguan presso lo stabilimento di Kaluga. Non solo. L’azienda di prodotti di consumo Henkel, in giugno, ha aperto invece una fabbrica a Perm. E  anche il famoso e seguitissimo quotidiano tedesco “Die Welt” ha scritto, che in modo molto semplice “molte imprese tedesche che hanno sofferto a causa delle sanzioni contro la Russia, hanno aggirato le limitazioni: invece di esportare le merci in Russia, comprano là gli stabilimenti e questo dimostra chiaramente la fiducia nello sviluppo positivo dell’economia russa e la speranza di una rapida risoluzione della crisi”. Addirittura lo stesso quotidiano tedesco, citava il caso di una azienda tedesca produttrice di macchine agricole che è stata in grado di aggirare le sanzioni e ha concluso uno speciale accordo di investimento con la Russia ed ora i suoi prodotti, godono delle sovvenzioni statali e sono più vantaggiosi rispetto ai suoi concorrenti.

Ma persino gli americani, di soppiatto, sono tornati a fare affari con Mosca. La Boeing, lo scorso luglio, ha invece firmato un accordo su progetti comuni con il produttore russo di titanio VSMPO-Avisma e con l’università federale degli Urali, la Pfizer, (quelli che per intenderci producnono prodotti come Zimox o il celebre Viagra) ha manifestato invece l’intenzione di creare una joint venture con la società farmaceutica russa NovaMedika, e infine, la Ford, ha lanciato lo scorso anno, nei suoi impianti in Russia, la produzione di quattro nuovi veicoli, compresi i modelli richiesti dal mercato russo “Focus” e “Fiesta”.

Insomma le sanzioni sono un autentico colabrodo. E bene ha fatto il governo italiano dimissionario ad opporsi, di recente, addirittura alla loro implementazione. La soluzione ovviamente risiede sempre nella politica. E’ quindi auspicabile un ritorno delle potenze interessate – USA, UE e Russia , al tavolo delle trattative per la ricomposizione veloce di tutto il contenzioso esistente.

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