Taverna la città di Mattia Preti nella Pre-Sila catanzarese.

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La leggenda vuole che Taverna venne fondata da coloni greci col nome di Trischene. Questa città, rimase sotto la dominazione della città di Crotone e, successivamente con l’espansione romana, si pose sotto la protezione di Roma per sfuggire alle armate dei Bruzi e dei Cartaginesi, all’epoca alleati. Alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente cadde sotto la dominazione bizantina come testimoniato da un documento storico del XII secolo, rinvenuto nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara a Napoli – il Chronica Trium Tabernarum scritto da Ruggero Carbonello, diacono canonico della Chiesa di Catanzaro – pubblicato per la prima volta nel 1642, da Ferdinando Ughelli nell’opera Italia Sacra, il quale però lo indicava come un falso storico.  La cronaca narra che Trischene fu assediata e distrutta dai saraceni nell’852, poi occupata dal principato di Benevento e riconquistata dai bizantini sotto il regno di Basilio I. In questo periodo storico ritroviamo, nella descrizione del Carbonello, la figura del condottiero Giordano che ebbe il compito, secondo la cronaca citata, di ricostruire nell’entroterra della regione le città distrutte, così da poterle fortificare e renderle molto più sicure. Nasce così Taberna o Taverna Vecchia.

Conquistata dai normanni fu data da Roberto il Guiscardo al nipote Baiolardo. Dopo la rivolta feudale dei nobili catanzaresi e il successivo tradimento di Matteo Bonello al re Guglielmo I il Malo, Taberna ospitò nella sua fortezza la contessa Clemenza di Catanzaro e sua madre Segelgarda. Guglielmo I, quindi, nel 1162, pose sotto assedio la città di Taberna, che inizialmente resse l’attacco, tanto da spingere il re a spostare la sua attenzione alla rivolta pugliese. Sedati tutti i focolai di guerra nella Puglia, le armate che rientrarono sottoposero ad un secondo assedio Taberna che, avendo sopravvalutato le sue capacità difensive, fu espugnata e rasa completamente al suolo.

Dopo questa distruzione, Taberna completamente abbandonata dalla popolazione e durante il periodo delle lotte tra Angioini e Aragonesi i pochi superstiti ivi rimasti si stabilirono attorno ai casali di Bompignano (oggi quartiere Santa Maria) fondando l’attuale cittadina di Taverna, situata tra i torrenti Alli e Litrello, ai piedi della Sila Piccola. Nel febbraio del 1443, Alfonso d’Aragona concesse alla cittadina la demanialità, che restò in vigore fino al 1630, fino a quando Filippo IV decise di vendere Taverna al Principe Ettore Raveschieri, il quale la rese libera, subito dopo aver ricevuto il pagamento del riscatto. Da questo momento in poi la città segue le vicende del Regno di Napoli, poi di quello delle Due Sicilie – con l’intermezzo del decennio francese in Calabria – fin poi all’annessione del Regno d’Italia.

Taverna ha dato i natali a numerosi personaggi quali il geografo Giovanni Lorenzo d’Anania (Taverna, circa 1545 – 1609), il letterato Ferdinando Stocchi (Taverna, 16 luglio 1611 – Cosenza, 1663) o il matematicoAntonio Cua (Taverna, 4 agosto 1819 – Ercolano, 1º settembre 1899) ma il genius loci è sicuramente il celebre pittore Mattia Preti (Taverna, 1613 – La Valletta, 1699) detto anche il Cavaliere Calabrese perché  fatto cavaliere da papa Urbano VIII durante la sua attività a Roma dove si era trasferito nel 1630. Qui tra il 1657 e il 1659 affrescò le porte della città durante la peste; di queste opere rimane oggi solo quella su porta San Gennaro. Inoltre sulla volta di San Pietro a Majella dipinse la vita di San Pietro Celestino e Santa Caterina d’Alessandria. Risalenti al suo periodo napoletano, diverse altre furono le opere compiute dal Preti. Vi fu infatti il Ritorno del figliol prodigo al Palazzo Reale ed altre tele conservate in alcune chiese napoletane.   Nel 1661 l’artista si trasferì a Malta, chiamato dal Gran maestro dell’ordine di Malta Raphael Cotoner. Sull’isola realizzò buona parte della decorazione della Concattedrale di San Giovanni a La Valletta e la Conversione di San Paolo, nella vecchia Cattedrale di San Paolo a Medina per conto dei Cavalieri Ospitalieri, ed altre opere per le varie chiese maltesi. Secondo lo storico dell’arte Antonio Sergi, Mattia Preti avrebbe realizzato a Malta un totale di circa 400 opere tra tele ed affreschi. Dal 1672 riesce a realizzare numerose opere nelle chiese della sua città natale, Taverna.

Visitando Taverna è impossibile non fare un sopralluogo alla Chiesa di San Domenico la cui costruzione comincia con la fondazione del cenobio dei Padri Domenicani il 4 gennaio 1464, ad opera di Fra Paolo da Mileto, come testimonia la bolla di fondazione data dal Papa Paolo II. Secondo le ricerche di Alfonso Frangipane, la chiesa fu costruita inizialmente utilizzando il tufo ed, infatti, subì gravi danni col terremoto del 1662. Nel 1678 venne demolito l’altare, anch’esso in tufo, mentre in tutta la chiesa riprendevano i lavori di ricostruzione dell’intero pavimento della navata e delle decorazioni interne. Gli stilemi che ritroviamo ancora oggi, furono realizzati da Mattia Preti, stilisticamente molto vicini a quelli della Chiesa di San Giovanni a La Valletta. La prima costruzione della chiesa risale al 1427, ad opera dei frati francescani, proprio nel periodo in cui si stava organizzando l’esodo da Taberna nella nuova città. Nel 1691, ai lati della navata troviamo sei altari oltre quelli già citati e sono: l’altare del Santissimo Crocifisso, fondato da Agostino Cristiano; l’altare del Santissimo Salvatore; l’altare di San Francesco Saverio; l’altare dell’Ascensione, fondato da Don Paolo Ricca; l’altare dell’Assunta, fondato da Prudenza Marzotto e l’altare della Madonna dell’Arco, fondato da Giovanni Parrello. Nel 1783, dopo il terremoto, la chiesa subì gravi danni e fu soggetta ad una serie di lavori di consolidamento e, successivamente, fu arricchita con varie opere tra cui il Crocifisso Ligneo e la Pala della Madonna delle Grazie di Fabrizio Santafede. Nella seconda del secolo scorso vi furono invece collocati i dipinti del Preti.

Altro posto da visitare è la chiesa di Santa Maria Maggiore Nel 1605 e nel 1614 vengono commissionati due dipinti all’artista fiorentino Giovanni Balducci, mentre nel 1609 lo scultore napoletano Marco Santillo realizza il Crocifisso ligneo. Sempre agli inizi del XVII secolo, vengono commissionati vari dipinti, tra cui quelli realizzati dal pittore siciliano Giovanni Bernardino Azzolino per la famiglia Catizzone. Nel 1655 Marcello Anania invia da Roma le reliquie di San Fortunato Martire che vengono custodite all’interno della chiesa. Nel 1954 dopo l’alluvione che colpì la cittadina si verificò anche il crollo parziale della chiesa e la perdita di molte opere di grande interesse artistico. Nel 1958 terminarono i lavori per la ristrutturazione, che cancellarono definitivamente tutti gli stilemi dell’architettura originaria.

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