In scena a Roma il Matrimonio di Gogol italo-russo.

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A “convolare a nozze” nel “Matrimonio”, commedia di Gogol in scena fino al prossimo 10 dicembre al Teatro Agorà di Roma, sono la Russia e l’Italia. La versione proposta dalla regista moscovita Natalia Floreskaya alterna infatti la recitazione in lingua italiana a brevi parti in lingua russa. È questa la vera, encomiabile, particolarità dello spettacolo, a tratti dilettantistico e con parti di musica ‘fuori fuoco’ rispetto all’impianto narrativo. La rappresentazione, che affonda le sue radici nel Realismo dell’Ottocento russo, resta però fedele alla satira gogoliana sulle convenzioni sociali relative al matrimonio: dalla dote della sposa all’estrazione sociale del futuro coniuge fino a “vessilli” culturali indispensabili per una donna nell’ambiente nobile, come la conoscenza della lingua francese.

Una serie di totem che s’infrangono nel conflitto interiore del protagonista, l’ozioso scapolo Podkolësin (interpretato da Aleksandr Kornelyuk), che, dopo un tormentato percorso verso le nozze in cui a trascinarlo con forza è il migliore amico Kochkarëv (l’attore italiano Fedele Tullo), sfocia in una vera e propria fuga a pochi minuti dal finale. Un connubio tra le due culture definito dalla regista Natalia Florenskaya un “esperimento” che risulta comprensibile al pubblico italiano, a cui in sala si aggiungono spettatori di lingua russa.

Anche la compagnia teatrale è italo-russa, nata dall’unione dei migliori allievi provenienti dai diversi corsi di recitazione basati sul metodo Stanislavskij tenuti dalla regista Florenskaya: alcuni in lingua italiana, come quello presso la scuola “Artedattore”, altri in lingua russa, presso il Centro Russo di Scienza e Cultura per aspiranti attori russi che vivono in Italia. Ma l’attività di Florenskaya non si ferma in Italia: “Continuo a lavorare in Russia come docente dell’Accademia Statale di Cinema di Mosca – spiega Florenskaia –. In Italia negli stage sul sistema di Stanislavskij, essere madrelingua mi aiuta a trasmettere fedelmente l’essenza del suo insegnamento”.

Una scena della commedia. Fonte: ufficio stampa Una scena della commedia. Fonte: ufficio stampa

Una scena della commedia. Fonte: ufficio stampa Una scena della commedia. Fonte: ufficio stampa.

Ma cosa può dare in più il teatro italiano a una regista russa? “Qui ho conosciuto bene Goldoni, che non ho mai fatto invece all’accademia di Mosca. L’ho rimaneggiato ‘alla russa’, unendo alla bravura della commedia italiana i rapporti psicologici alla base del metodo di Stanislavskij. Quando si mette tutto insieme, i personaggi diventano ancora più vivi, più brillanti. Stesso discorso per Pirandello”.

Cosa le manca invece della Russia? “A Mosca il teatro è un tempio. La gente non è ‘di passaggio’. Ricordo che quando ero piccola al teatro ci si cambiava addirittura gli stivali perché la gente andava a vedere un mistero. Una cosa bellissima. Quando invece per la prima volta ho visto che qui, in Italia, la gente entra nella sale con i cappotti e poi se li toglie vuol dire che non ha capito proprio niente… Perché come diceva Stanislavskij ‘Il teatro inizia dal guardaroba’, dove già lì la gente, posando i cappotti, si prepara a vedere un mistero, che porterà a una specie di catarsi, ad una comprensione di sé stessi. Al teatro non accade mai di entrare, guardare e andare via, lo spettatore è sempre coinvolto. C’è un momento di creatività che gli attori trasmettono al pubblico in sala, gli spettatori immaginano, lo elaborano, e lo rimandano sul palco e allora si crea questa energia unita, un unico processo creativo a cui lo spettatore contribuisce quando inizia a vivere la storia insieme con il personaggio. Per questo, ad esempio, quando la sala si chiude (per l’inizio dello spettacolo, ndr), si chiude e basta. Anche se hai i posti migliori, non puoi entrare e interrompere perché lì si sta svolgendo un mistero”.

Fonte: RBTH – 9 dicembre 2016  

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