L’attentato di Berlino: storie e profili diversi e consigli per una nuova fase dell’accoglienza ai migranti.

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L’Attentato di Berlino segna purtroppo questo Natale con il colore rosso del sangue di – almeno fino ad oggi – dodici vittime innocenti. La Germania, il paese che ha più accolto rifugiati e stranieri, in termini numerici assoluti, si trova a dover fare i conti con il terrorismo internazionale.

Tre i protagonisti, a mio avviso, di questo dramma. Il primo lo ha reso noto lo stesso ministro dell’Interno tedesco de Maizière, in una conferenza stampa tenutasi a Berlino, nella quale ha informato i media del fatto che è stato emesso un mandato di cattura per un cittadino ventiquattrenne tunisino dotato di un documento con status di “tollerato” – status condiviso al  dicembre 2015 da altri 155mila stranieri – che sarebbe giunto in Italia quattro anni fa e l’anno scorso si sarebbe trasferito in Germania, dove era stato ammesso nel corso di quest’anno. I media tedeschi riferiscono che aveva avuto guai con la legge e avrebbe avuto contatti con un movimento dell’Islam radicale salafita. E lui il “carnefice” che con ferma determinazione, avrebbe guidato il camion nella folle corsa verso le bancarelle di quel mercatino natalizio berlinese dove ignari e festosi cittadini, erano intenti a passarsi una bella serata, sfidando la famosa “Berlinerluft” l’aria della capitale fastidiosa e umida che flagella la faccia e le mani con mille aghi gelidi.

La seconda protagonista – la vittima che per noi simboleggia tutte le altre, è purtroppo un’italiana, una giovane ancora formalmente dispersa – Fabrizia Di Lorenzo, 31 anni originaria di Sulmona – uno dei tanti giovani della cosiddetta “generazione Erasmus” che sognano un Europa senza frontiere e si spostano all’estero, chi per studio e  chi per lavoro. Un curriculum da esempio il suo: laurea in mediazione linguistico-culturale alla Sapienza di Roma e poi in Relazioni internazionali e diplomatiche a Bologna. Poi il “salto” verso Berlino per l’Erasmus e l’approdo al mondo del lavoro, in aziende di una certa importanza. I suoi profili sui social network, ci danno poi il quadro di una ragazza allegra, solare, impegnata nel sociale e – ironia della sorte – solidale con i migranti che arrivano ormai da ogni parte del mondo. Non ci sono ancora certezze ma l’analisi del DNA svelerà se uno dei corpi rinvenuti sulla scena dell’attentato è il suo.

E infine vi è l’eroe buono che questa volta ha il volto e le sembianze di un altro immigrato, Lukasz Urban, polacco trentasettenne che secondo le ricostruzioni dei media e degli inquirenti tedeschi ha cercato fino al sacrificio finale, di evitare la strage, lottando per deviare il camion che puntava sulla folla inerme, spinto dalla logica delirante dell’omicida.

Fin qui i fatti in attesa di ulteriori approfondimenti degli organi di polizia e delle inevitabili rivelazioni dei media che seguiranno. Lo choc e il dolore consiglierebbero di fermarci qui ma non possiamo esimerci dal compiere un analisi proprio in omaggio a chi ha perso la vita in questo atto di barbarie. La prima considerazione è quella che ormai facciamo ad ogni attentato. E’ possibile che – senza per questo cedere alle lusinghe di chi dice “Affondate i barconi” – in mezzo al flusso dei profughi che devono essere accolti, debbano anche entrare in Europa persone come l’attentatore? Ed è possibile che una volta accortisi della pericolosità di questi soggetti invece di espellerli si ripieghi su astruse e inefficaci formule giuridiche come quella adottata dall’autorità germaniche, quasi che basti mettere ad un estremista il marchio “tollerato” a frenarne o congelarne le intenzioni non certo pacifiche? Certo che no.

In secondo luogo, nessuno di noi pensa seriamente che sia in atto una invasione data l’esiguità del numero dei migranti in rapporto alla popolazione europea complessiva ma dobbiamo chiederci se la politica della “porta aperta” a tutti può continuare. Io e non solo – ritengo di no. Più corretto sarebbe – come fanno molti paesi dal Canada all’Australia, democrazie, non certo spietate dittature – inaugurare un sistema a fasce di accesso e a punti. Se sei un profugo che scappi da zone di guerra o carestia in atto e ti lasci identificare l’accesso al suolo europeo è giusto che ti spetti. E’ un fatto di umanità di fronte a cui qualunque questione viene necessariamente dopo. Se invece sei un migrante che scappa dal tuo paese per motivi economici una distinzione allora va fatta. Ad esempio in una prima fascia potrebbero rientrare quegli immigrati che vengono nei nostri paesi per dei lavori stagionali, mandano gran parte del guadagno a casa alle famiglie e poi ritornano in patria.       E’ gente che serve all’economia nazionale e per i mesi che stanno qui devono avere accesso alle cure ed esse ospitati in strutture temporanee ma decenti evitando le baraccopoli come quella tristemente nota di Rosarno. Entri, lavori, ti comporti bene e poi arrivederci all’anno venturo. Per quanto riguarda invece quei stranieri che vengono qui per trovare un lavoro stabile e poi portarsi anche la famiglia serve un approccio diverso. Intanto come arrivi, anche tu come i primi, devi essere identificato. Poi devi trovarti un lavoro e se te lo trovi, ti viene dato un soggiorno temporaneo rinnovabile ogni anno a patto che tu dimostri di non aver infranto la legge – altrimenti sei espulso – e se dopo un quinquennio non commetti reati allora puoi farti raggiungere dalla famiglia. E se continui così, da quinquennio a quinquennio e i tuoi figli vanno a scuola, allora, al compimento di un dato ciclo di istruzione, come premio del tuo comportamento esemplare e per l’aiuto dato all’economia nazionale, questi potranno avere la cittadinanza italiana. Se invece vieni sempre a trovarti qui un lavoro e sei un laureato – che so un ingegnere pachistano o cinese, o un medico africano – il ricongiungimento familiare lo puoi ottenere prima e anche tu e non solo i tuoi figli possono aspirare alla cittadinanza italiana sempre ovviamente che né tu e nei tuoi, commettiate reati. Queste le ”fasce” di ingresso. Poi ci potrebbero essere dei punteggi attribuiti in base a che lavoro sai fare, se parli o meno la nostra lingua, se hai degli studi alle spalle, ecc ecc. Non sono idee estremistiche o razziste e non sono politiche buoniste ormai prive di senso. E’ solo buon senso di fronte alla sfida dell’emigrazione.

E lo prova proprio l’eroico comportamento del cittadino polacco. Se c’è infatti al mondo una stirpe che dovrebbe avercela a morte con i nostri amici tedeschi, beh sono proprio i polacchi, che hanno subito innumerevoli invasioni dai loro vicini fin dal Medioevo, di cui l’ultima è costata a questo popolo altamente civile e cattolicissimo, ben sei milioni di morti. Il nostro fratello – lo chiamo così come chiamerei chiunque accetti la mia idea di vita fondata sullo stato di diritto e sulla libertà alla quale aggiungo in questo caso la comune matrice culturale europea –  Lukasz Urban, dimostra che l’integrazione basata su regole certe e condivise è possibile e può costituire una risorsa preziosa in un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, nonchè disinnescare tensioni che alimentano il terrorismo stesso e la cui paura è abilmente sfruttata dai movimenti della destra radicale come l’Afd in Germania, gli Sd in Svezia, il Fn in Francia e la Lega nord in Italia.

 

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