Nel carteggio Orsi-Russo, notizie sull’antico porto di Nicotera marina. E’ ora di chiudere la inutile querelle su Medma e rilanciare la cooperazione con Rosarno.

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Due anni fa, sono venuto in possesso di un libello di una sessantina di pagine dal titolo “Campagne della Società Magna Grecia (1926-1927)” edito nel 1928 a cura della “Società Magna Grecia” con sede a Palazzo Taverna in Via Montegiordano n. 36 a Roma. In questo libello – dono del prof. Carlo Pontorieri docente presso l’Università di Napoli – l’archeologo Paolo Orsi, ripercorre le tappe della sua venuta a Nicotera marina – dove soggiornò dall’8  al 12 aprile 1927 e dove effettuò “tre giorni di lavoro intensissimo, di escursioni e ricognizioni nella campagna, aperta ormai alla irrompente primavera” – con una piccole missione archeologica finanziata dalla stessa società Magna Grecia e composta, oltre che dallo stesso Orsi dal disegnatore e fotografo della Reale Sovrintendenza, prof. R. Carta e dal sig. Giuseppe D’Amico.

A quel tempo la Marina di Nicotera era un villaggio di ben 3200 anime, quasi tutti gente di mare e agricoltori, un villaggio, osserva l’Orsi, “di impianto regolarissimo, si direbbe Ippodameo, con vie ampie e regolari e costruzioni quasi tutte moderne, un soggiorno estivo ideale per bagnanti, se la pulizia urbana e un minimo di comfort alberghiero fossero assicurati per attrarre il forestiero”.

In questo scritto, Orsi replica in sostanza alle tesi del nicoterese dott. Vincenzo Russo, professore di storia e Preside del Regio Istituto Tecnico di Catania, che aveva pubblicato, nel 1926, una seria monografia intitolata “Sul luogo di Medma”, apparsa nell’Archivio Storico per la Sicilia Orientale di Catania, affermando che gli era grato che gliel’avesse dedicata. Orsi, poi, nel contempo, scrive: “Leggendo questo scritto, mi sono persuaso della serietà di esso, della sua intrinseca bontà, soprattutto storica, dello sforzo tenace di riconoscere sul terreno, percorrendolo amorosamente, le reliquie archeologiche della presunta Medma ed ho appreso delle notizie storiche a me nuove sulla piccola regione e dati di fatto da tenere in conto” dicendosi altresì grato allo stesso Russo di averlo costretto “a vivere alcuni giorni di lavoro sul luogo, a rifare passo passo i suoi itinerari, a controllare le sue scoperte, in breve a studiare un terreno che avrei dovuto visitare già un 15 anni addietro”. Lodi, dopo le quali seguono le critiche eque e serene del roveretese che, usando le stesse parole del Russo, ammonisce che solo “la storia e la traduzione, i ruderi e gli scavi, sono gli elementi che, armonizzando tra loro, conducono alla ricerca della verità” e continua scrivendo che pur “avendo in grande rispetto l’opera di Vito Capialbi, archeologo provinciale tra i migliori del tempo” (e lo dice sinceramente poiché negli anni in cui egli tenne la Soprintendenza della Calabria, propose di onorarne la memoria con un busto in bronzo e una epigrafe, ma la sua proposta non venne accolta) precisa però che “la storia della ceramica, dell’architettura e la topografia che oggi formano campi vastissimi, erano ai tempi del Capialbi stesso, ancora nella loro fase primitiva e che quindi non è sua colpa se talune delle sue conclusioni, nel fatto specifico delle ubicazione di Medma, discendono da premesse errate, cioè da errate interpretazioni tecnologiche e cronologiche di monumenti”.

Nelle pagine dello scritto quindi, l’archeologo dimostra che nessuno dei resti citati dal Russo possa essere di età greca, al massimo romana se non del tutto medievale. I risultati delle sue indagini portano a una serie di interessanti conclusioni: a) Che Medma fu a Rosarno perché la massa di magnifico materiale dei secoli fine VI a IV colà rivenuto (e parla non solo del materiale derivante da scavi ma da un quarto di secolo di devastazioni agricole non controllate e disperso in tutta Europa) c’e lo attesta e Nicotera nulla di simile può contrapporre; b) Che ne a Nicotera nè a Nicotera marina si rinvenne alcunché di simile ma pochissimi materiali di epoca ellenistica, non però un sepolcro, o quantomeno un sepolcreto, una necropoli, un edificio qualsiasi di età greca; c) Che Nicotera sorse quindi in età romana come “statio itineraria”; d) che  alla Marina di Nicotera vi era di certo un “Emporion” forse di età romana mentre nella campagna circostante si hanno “vici”, “pagi” e “rura” di età romana e che detto “Emporion” servisse all’esportazione di graniti locali lavorati, ma poiché tale industria nasce nell’età imperiale anche lo stesso “Emporion” sarebbe di età romana come confermerebbero i reperti dei terreni circostanti.

Arrivati qui però, lo stesso Orsi, senza cadere in contraddizione alcuna, si pone però la domanda se questo “Emporion” potesse essere stato invece il porto di Medma. Orsi, osserva innanzitutto che se al tempo della sua venuta “le case di Nicotera marina distavano circa 200 metri dal mare, ben diverse erano le condizioni in passato e che tanto più si deve calcolare sull’arretramento del mare quanto più retrocediamo nei secoli” e che quindi non sarebbe esagerato supporre che “il mare fosse arretrato di un buon mezzo chilometro dai tempi ellenistici e romani” e che quindi “venti secoli fa vi era in questi luoghi una profonda insenatura, al riparo dei venti dei due quadranti di nord, che costituiva un discreto e sicuro ricovero, quantomeno per legni di piccolo e medio tonnellaggio”. Un ricovero marittimo, dal quale lo stesso Orsi suppone, sia poi derivata l’origine di Nicotera, quando, sia a seguito delle invasioni del IV-V secolo d.c, che al diffondersi della malaria nella Pianura di Ravello, dovuta anche al collasso del sistema di irrigazione delle campagne, i suoi abitanti, insieme a quelli dei villaggi vicini, decisero di spostarsi al sicuro, sui primi contrafforti del territorio nicoterese, dando vita al primo nucleo di quella prima Nicotera poi citato – nel 596, 599 e 603 – nelle lettere di San Gregorio magno e poi sede vescovile già nel 787, come menzionato negli atti del Concilio di Nicea. All’Orsi inoltre, non dispiaceva il richiamo del Russo, nel tracciare la storia di Nicotera, alle cosiddette Feste Nikoterie, che si celebravano ad Atene, in onore di Athena Nike domandandosi pertanto se “sull’alta vetta di Nicotera, non sorgesse un delubro suburbano sacro alla Vittoria, congettura anche questa – suggerisce – da risolversi col piccone dell’archeologo”.

“Propendo altresì a credere – si legge poi a pag. 53 dello scritto – che l’Emporion  citato da Strabone s’abbia a collocare alla Marina di Nicotera, dove abbiamo riconosciuta la possibilità di un piccolo porto al riparo dei venti e dove i documenti svevi (citati dal Russo stesso) ci parlano di un arsenalotto forse più antico di vari secoli. Un Emporio che doveva essere la dipendenza commerciale e marittima di una città, come il Pireo lo fu di Atene e questa città non può che essere Medma e vado più oltre affermando che l’Emporion continuò a vivacchiare, anche quando la città era politicamente spenta o ridotta a semplice villaggio” aggiungendo che alla obiezione su come mai i Medmei avessero collocato il loro Emporion o navale a quasi 8 km dalla città, “che ciò avvene per le stesse inesorabili necessità topografiche per le quali Atene stessa lo ebbe al Pireo a chilometri di distanza ed altre città lo ebbero a non minor distanza” e che quindi “la Marina di Nicotera era l’unico punto della costa che offrisse un ricovero meno peggio mentre tutto il resto della costa era rada aperta ed esposta a tutte le traversie ed esempi analoghi si potrebbero moltiplicare e non per l’antichità soltanto, ma cogli Scali e le Marine calabresi, distanti sovente molti chilometri dalle borgate da cui prendono il nome”.

E non è un caso che molto tempo dopo, nel 1948, l’ing. Agatino d’Arrigo nel suo “Ricerche geofisiche sul litorale tirrenico della Calabria e sull’Antico porto di Medma in Magna Grecia (VI  secolo AC)”, apparso nella Rivista di geofisica pura ed applicata di Milano fascicolo 3-6/1948, afferma che “la costruzione dell’Emporion, poteva far esclamare ad Alfan De Rivera che si trattasse di un prodigio dell’arte, tale da consentire la conservazione di fondali cospicui sino ai nostri tempi, malgrado la rovina delle soprastrutture, grazie appunto alla perfetta applicazione dei principi della meccanica ondulatoria dei fluidi che, gli antichi tecnici della scuola greco-italiota, hanno dimostrato di possedere, in grado e in misura assai ben superiori a quanto comunemente la tecnica moderna non sospetti”.

“Infatti – scrive altri anni dopo Ricciotti Mileto – la Commissione di Studi sul regime dei litorali, guidata da alcune fotografie prese dall’aereo ed esaminate con il metodo del prof. Poidebard, riesumatore dei resti subacquei dell’antico porto di Tiro, grazie ad una fittissima rete di scandagli batimetrici e di sistematiche immersioni subacquee di riscontro con scafandro, ebbe a riscontrare i resti del tracciato di queste opere foranee, in massima parte innucleati nel tratto più meridionale della Secca di S. Antonio, la cui Fossa omonima, risulta pertanto un tardo relitto, non del tutto obliterato, del bacino ridossato dei mari foranei di traversia, di uno dei più antichi Empori portuali della Magna Grecia. Una infrastruttura – scriveva ancora il Ricciotti Mileto – che presenta reliquie di moli a scogliera con massi naturali con costruzioni tali che sono da collegare alla scuola pitagorica che si presume possano essere stati reperiti a poca distanza dalla vicina scogliera.

Parole forse non del tutto risolutive ma che ci possono far ben sperare che l’Emporion di Medma fosse davvero a Nicotera marina senza inficiare la collocazione in territorio di Rosarno, della stessa città magno-greca. “Amo la Calabria – afferma ancora nello scritto prima da noi citato, l’archeologo Paolo Orsi – ma non comprendo come si faccia una questione di campanile  fra due paesi, Nicotera e Rosarno, che si guardano dalle loro alture, senza invidia e senza astio, per le loro egualmente nobili origini e che devono procedere serene e concordi nell’altrettanto nobile gara di redenzione agricola dei pingui piani e delle ubertose colline che furono anche in passato la loro precipua ricchezza”.

Raccogliendo queste sincere quanto profetiche parole, le amministrazioni comunali di Nicotera e Rosarno, devono porre fine alla vexata quaestio su Medma rilanciando i rapporti bilaterali in campo culturale anche attraverso l’istituzione di una grande area archeologica greco-romana che dai resti di Medma arrivi alla cava romana di Nicotera, col coinvolgimento di scuole, musei, istituzioni, in attesa dei definitivi riscontri sulla questione dell’Emporion che i vicini amici rosarnesi, possano ammettere, almeno in via dubitativa,  segnalandolo all’interno di pubblicazioni e studi, e esponendo con tanto di mappa, questo scritto dell’Orsi e quelli di D’arrigo e di Ricciotti Mileto, nel bellissimo museo a Medma dedicato, in cambio del nostro solenne riconoscimento che, stando alla prova archeologica, Medma non può che essere a Rosarno. Nel frattempo sarà mia premura fare avere questo manoscritto al Sistema Bibliotecario Vibonese affinchè tutti ne possoano prendere visione.

 

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