La Biblioteca comunale: storia dell’ennesima incompiuta nicoterese.

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“Una Biblioteca pubblica rimane tuttavia in Nicotera un desiderio; diffuso pero può dirsi l’amore pe’ libri; tanto che non vi è famiglia civile che non vi mostri la sua piccola biblioteca. Non s’intende con ciò di dire, che vi siano assolutamente molte Biblioteche private: Il Tiraboschi giustamente osserva, che se pochi libri bastassero a formare una Biblioteca, non vi sarebbe quasi artigiano che non avesse la sua. Diciam dunque che vi sono in Nicotera moltissimi amatori di scienze e di lettere, i quali hanno chi più chi meno dai 500, ai 1200 volumi; e che la cifra totale, per accurata estimativa, somma a volumi 32100. Non basterebbero questi a formare una buona Biblioteca pubblica, per istigare, e dare incremento agli studi delle Lettere, e delle Scienze, se la carità del natio loco avesse tale efficacia da indurre i proprietarii a depositare ciascuno i proprii libri in un luogo pubblico accessibile agli studiosi, con un regolamento, che proteggendo la loro proprietà, giovasse nel tempo stesso agl’ingegni che mancano di mezzi per fornirsi di libri ?….”

Così scriveva, più di un secolo fa, il vescovo Mons Vincenzo Brancia, sulla mancanza di una biblioteca pubblica a Nicotera. E il povero prelato non poteva certo immaginare che questo suo – e di tanti altri – desiderio, avrebbe dovuto aspettare fino al 1976 per realizzarsi.

E solo in quell’anno infatti, che la giunta comunale, spronata dal prof. Ernesto Gligora, all’epoca vicepresidente della Pro-loco cittadina, con delibera n. 192 del 29 ottobre, istituì la biblioteca comunale intitolandola all’illustre etnografo nicoterese Raffaele Corso e affidandone la gestione al Centro Servizi Culturali di Vibo valentia, a sua volta gestiti dall’ex UNLA, per conto della Regione Calabria. Ma anche lo stesso Gligora, doveva andare incontro a molte delusioni, poichè i locali assegnati dal comune per la nuova istituzione culturale – cinque stanzette ubicate in Via Stefano Benni – non erano adeguati a garantire la funzionalità della biblioteca.

Il comune poi, si dimenticò ben presto della neonata istituzione culturale, come dimostra il fatto che ci vollero ben altri undici anni per approvare il regolamento di funzionamento dell’istituzione (adottato con delibera consiliare n. 33/1987) – un regolamento peraltro molto “barocco” e destinato ad essere ben presto superato dall’evoluzione del quadro sociale della città e di quello interno all’ente comunale – e altri tre anni per nomimare  (con delibera di giunta n. 47/1989) un elefantiaco comitato di gestione che peraltro non si insediò mai. Ne migliore fortuna ebbe il secondo comitato di gestione, nominato con delibera consiliare n. 38/1995.

Tutti fatti – uniti alla cronica carenza di fondi destinati dal comune stesso alla biblioteca – che spinsero lo stesso Gligora, molto amareggiato, a chiedere al sindaco del tempo, con una lettera del 28 agosto 1998, n. prot. 9406, la revoca della delibera di giunta n. 212/1998, con la quale era stato nominato direttore onorario della biblioteca stessa. Nel frattempo, i prestiti e le consultazioni dei libri, che nel perioodo 1981/1992, erano stati 25674 (con una media di 1985 all’anno) erano crollati nel periodo 1993/2004, a 8432 (con una media di 703 all’anno).

Qualche anno prima, nel 1993, il giornalista e docente, prof. Giuseppe Tedesco, formulò quindi sulla stampa locale, l’ipotesi di ristrutturare l’immobile conosciuto come “Vecchio Ospedale” per farne la sede di una vera e propria “Casa della cultura”. Il Tedesco infatti, cogliendo le novità insite nell’avvio del processo di informatizzazione che stava muovendo i primi passi, asserì, e non a torto, che ormai non si potesse più parlare di “biblioteca” ma di “mediateca”, ovverosia di una biblioteca multimediale inquadrata all’interno di una più ampia istituzione culturale che includesse al suo interno più strutture e molteplici servizi. E il comune si mosse iniziando i lavori di riqualificazione dell’immobile in questione, su progetto redatto dall’architetto Domenico Corso  (al costo di 150 milioni delle vecchie lire) che prevedeva di allocare al primo piano del “Vecchio Ospedale” la suddetta biblioteca-mediateca comunale e al piano superiore, due sale mostre, una saletta conferenze, un gabinetto fotografico e un laboratorio di restasuro per libri antichi.

Ma i lavori – per la solita inettitudine della classe politica – si trovarono ben presto a corto di fondi e vennero interrotti durante l’anno 1996.

Durante il primo commissariamento dell’ente, un gruppo di giovani sorretti dai giornalisti locali della Gazzetta del Sud e del Quotidiano della Calabria, ripresero l’intuizione del prof. Tedesco e chiesero all’allora commissario straordinario Marcello Palmieri di dare corso a quella idea. La triade commissariale accolse con entusiasmo quel progetto – nel frattempo ampliato e portato al passo dei tempi  – e forte di un contributo governativo di 700.000 euro (quasi dieci volte la somma che anni prima sarebbe servita a riqualificare il “Vecchio Ospedale”) – ristrutturarono l’ex mercato coperto comunale, al fine di farne la sede dell’agognata “Casa della cultura”. Contemporaneamente, venne anche insediato un nuovo comitato di gestione della biblioteca che si riunì più volte, approvando il piano programma triennale dell’istituzione e facendo aderire la stessa al Sistema Bibliotecario Vibonese, diretto dal prof. Gilberto Floriani.

I lavori ebbero inzio nel luglio del 2008, cioè dopo due mesi l’insediamento della nuova amministrazione con a capo Salvatore Reggio. Conclusi gli stessi, la giunta comunale da lui presieduta, fece quindi proprio il progetto che prevedeva l’istituzione, all’interno dell’immobile in questione, di un centro culturale polivalente comprensivo di sala conferenze, mediateca comunale, informagiovani comunale e spazio mostre. Ma il regolamento di istituzione della “Casa della cultura” venne licenziato dal civico consesso solo nella seduta del 29 giugno 2010, quando ormai alla stessa amministrazione, restava poco più di un mese di vita. Nè la seconda commissione straordinaria riprese a sua volta il medesimo progetto che finì così nel dimenticatoio. Solo sotto l’amministrazione retta da Franco Pagano, si sarebbe quantomeno provveduto a spostare in quell’immobile, la biblioteca comunale, facendo almeno risparmiare all’ente, 4200 euro l’anno per il fitto di un immobile che, forse, mai avrebbe dovuto ospitare una simile struttura.

Ma anche quest’amministrazione – come tutti sanno – non ha potuto terminare la legislatura per via dello scioglimento del civico consesso e quindi ancora una volta il progetto della “Casa della cultura” è rimasto lettera morta, con buona pace dei vari Brancia, Gligora, Tedesco e di tutti coloro i quali hanno speso tempo ed energie per cercare di dare alla città – una città priva di strutture d’aggregazione socioculturale civiche degne di queste nome – un “oasi” di cultura per giovani e meno giovani. Adesso a vegliare sull’immobile – che tra l’altro non solo non è costato poco visti i tempi di austerity ma il cui primo piano risulterebbe pure inagibile perchè non è stato collaudato – è rimasta la dipendente comunale Alfonsina Galasso che per anni ha prestato servizio al (defunto) Museo civico archeologico e poi alla vecchia sede della biblioteca in via Stefano Benni. Sola, con i “suoi” libri e i suoi ricordi…..

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