Si rinnova come ogni anno, in onore di San Francesco, il rito della “Ciceriata” di Maida.

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La “cicierata” che si tiene ogni anno a Maida – centro urbano di 4500 abitanti nel catanzarese – in onore di San Francesco di Paola, santo patrono della cittadina in quesione, è un rito suggestivo che coinvolge l’intera popolazione e viene anche festeggiata nella cittadina americana di Ambler in Pennsylvania e in quella di Muttenz, in Svizzera dove esistono importanti comunità di maidesi.

A sovrintendere a tutto l’aspetto organizzativo della festa è un apposito “Comitato per la ciciarata”, interamente costituito da volontari.

La sera dell1 aprile il rito ha inizio alle ore 21.00 con una processione che porta la statua del Santo Patrono dalla Chiesa madre Santa Maria Cattolica sino alla chiesetta dell’antico convento dei minimi, a cui segue la celebrazione della Santa Messa e l’accensione delle caldaie per la preparazione della pasta e ceci, preludio di una lunga notte di preparazione da parte dei “cucinieri” locali. Poi l’indomani mattina – 2 aprile – il rito prosegue quando,  a mezzogiorno, la pasta e ceci benedetta dalle autorità religiose viene distribuita a tutta la popolazione presente e anche ai visitatori che come ogni anno vengono da tutti gli angoli della regione, dove, come è noto, è diffuso l’attaccamento alla figura deol grande taumaturgo paolano che possono anche godere del fatto che la consumazione del pasto avviene all’aria aperta, immersi nella natura dei luoghi

Un rito molto importante tra i tanti che si celebrano qui in Calabria la cui importanza e la cui bellezza sono stati oggi sottolineati dal docente universitario e antropologo vibonese, prof. Vito Teti che sulla sua pagina facebook ha scritto: “Non tornavo a Maida per la Cicerata (in onore di S. Fracesco) da 35 anni. Eppure mi sembrava di tornarci ogni anno. Maurice Aymard e Mireille Corbier (vengono dall’Unical dove sono impegnati come visiting professor) che ci accompagnano sono attratti da questo rito che parla di lunga durata e di novità, di continuità e di persistenze, di mutamenti e di novità. I volti, pure cambiati, sono quelli che io ricordavo e così i gesti, la frenesia, l’ansia, i panetti, l’accoglienza, gli inviti, il sapore dei ceci e della pasta. Le persone sono più numerose di un tempo: tantissimi i giovani, le ragazze, i bambini. Mi sento a casa in questa terra che spesso parla di fuga, esilio e spaesamenti. Non saranno queste ritualità (da sole e in assenza di altre scelte e nuove piccole utopie) a impedire il declino e lo spopolamento dei luoghi: certo indicano possibilità da accogliere alle comunità risorgenti e che non si rassegnano a un destino di abbandono. Fotografo in chiesa un bambino vestito con gli “abiti” di San Francesco (vedi foto). La madre che lo tiene in braccio con me – la magia degli incontri e dei ritorni– si è laureata, una quindicina di anni fa. con me con una tesi sulle culture di Maida. Poi in una città del Nord per tanti anni, adesso è tornata e insegna nel suo paese, dove vive col marito, il bimbo che ha in braccio e un altro bambino più grande. Gli uomini, le ragazze, le mamme, i bambini, gli ulivi, le tavolate, gli abbracci, i brindisi, i complimenti, le offerte, le pietre, le nuvole inventano un paesaggio nuovo, sacro, carico, almeno oggi, di vita e di speranza”.

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