Bilancio demografico provinciale ancora in perdita. Il CeSNi segnala “Quindicimila abitanti in meno in venti anni”.

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Come ogni anno, in questo mese di giugno, l’Istituto Nazionale di Statistica  (ISTAT) rende noto il cosidetto bilancio demografico. Ebbene per la Calabria e per il vibonese – evidenzia una nota del Centro Studi Nicoterese (CeSNi) – organismo di studio e ricerca promosso dalla Accademia internazionale della dieta mediterranea di Nicotera, noto centro costiero del vibonese  – i dati registrano ancora una preoccupante flessione.

“Per quanto riguarda la Calabria infatti – evidenzia il Cesni – tutte le province tranne Crotone registrano un arretramento. Ma preoccupa sopratutto la situazione del vibonese che, pur rappresentando solo il 9% della popolazione regionale, registra una perdita di popolazione pari al 15% – cioè il doppio – della perdita demografica complessiva subita dalla nostra regione”.

“Sui 50 comuni del vibonese ben 38 pari al 76% del totale – si legge nella nota del CeSNi – accusano un calo di popolazione, mentre solo 11 registrano una crescita e in uno la popolazione è rimasta tale com’era all’inzio del 2016. Tra le grandi città – a parte Pizzo Calabro, dove la popolazione passa da 9256 a 9296 abitanti tutte le altre sono in calo: Nicotera (-98 abitanti), Tropea (-83 abitanti), Fildelfia (-66 abitanti), Mileto (-54 abitanti), Serra San Bruno (-27 abitanti)”.

“Nei comuni compresi nella fascia di popolazione che va dai quattromila ai cinquemila abitanti, – si legge ancora – è San Calogero ha registrare la perdita più forte (-60 abitanti) mentre nei comuni compresi nella fascia di popolazione che va dai duemila ai tremila abitanti, le perdite più consistenti in termini numerici assoluti, si registrano a Acquaro (-80 abitanti) a Dinami (-68 abitanti) e a Gerocarne (-60 abitanti), mentre nei comuni compresi nella fascia di popolazione che va dai mille ai duemila abitanti le perdite più cospicue si registrano a Monterosso (-38 abitanti) e a Nardodipace (-27 abitanti). Perdite piccole – ma pur sempre significative rispetto alla propria consistenza demografica, registrano poi i piccoli centri – quelli sotto i mille abitanti: Simbario, Spadola, Zaccanopoli, Mongiana, Brognaturo e Vallelonga”.

“Va poi evidenziato non senza una certa preoccupazione – ad avviso del CeSNi – come a soffrire di più è la fascia pedemontana della nostra provincia. Il comprensorio dell’Alto Mesima ad esempio ,pur rappresentando solo il 9% della popolazione del vibonese registra un pauroso 38% della perdita demografica complessiva della nostra provincia nel corso del 2016”.

“C’è inoltre da dire la gragilità del sistema degli insediamenti umani nel vibonese poichè nei 25 comuni con popolazione al di sotto dei duemila abitanti che rappresentano il 50% del totale dei municipi abita solo il 20% della popolazione vibonese”.

“Non possiamo poi non rilevare come, nell’arco di un ventennio, la popolazione vibonese – si legge ancora nella nota – sia passata dai 176888 abitanti del 1997 agli attuali 161619, con un saldo demografico negativo di oltre quindicimila unità. E forse anche di più, perchè nel frattempo il territorio ha potuto beneficiare dell’arrivo di molti migranti. Oggi sul territorio vibonese sono infatti oltre 7600 gli stranieri presenti, provenienti da 102 paesi diversi”.

“Tra i dati demografici positivi – continua la nota  – registrano oltre a quello di Pizzo, quello di Briatico (+138 abitanti) e quello di San Gregorio D’Ippona (+51 abitanti), di Ionadi (+45 abitanti) e di Ricadi (+42 abitanti) mentre gli altri si collocano sotto la soglia delle cinque unità”.

E il CeSNi avverte: “Il vibonese, come del resto L’Italia, è una terra di piccoli centri comuni che però spesso, custodiscono un grande patrimonio storico artistico-culturale. Se questi centri scompaiono e se non si inverte la tendenza in atto si verificherà una perdita enorme per il nostro territorio. Occorrono dei provvedimenti legislativi per i piccoli comuni e occorre creare occasioni di sviluppo affinchè i giovani non se ne vadano via da questi luoghi meravigliosi. Perchè non preoccupa solo il calo della popolazione ma la profonda modifica strutturale intervenuta in essa, con l’aumento esponenziale ad esempio della popolazione ultrasessantacinquenne, e il calo drammatico dell’indice di fecondità, poichè appare chiaro che se i giovani se ne vanno, il ricambio generazionale della popolazione stessa non viene più assicurato e diminuisce anche la forza lavoro dando origine ad una spirale disgregativa che più passa il tempo e più sarà difficile arrestare. I piccoli comuni poi fanno sempre più fatica ad assicurare i servizi essenziali ai cittadini per i tagli dei trasferimenti statali e quindi è necessario incentivare al mssimo i consorzi o le fusioni”.

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