Intervista esclusiva di MediterraneiNews a Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro

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Il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, dopo tre anni, è ritornato a Nicotera invitato, ancora una volta, dal gruppo “Dopo le 22,00”.

Per l’occasione, il magistrato ha rilasciato a MediterraneiNews, in esclusiva, un’intervista.

D: Dottore, non solo come Procuratore, ma anche come cittadino del Sud, che idea si è fatto sulla effettiva volontà e capacità da parte dei cittadini meridionali e dei loro rappresentanti politici, di combattere effettivamente il fenomeno mafioso non tanto dal punto di vista repressivo, che compete agli organi giudiziari e di polizia, quanto sul piano dei comportamenti “virtuosi” di tutti giorni?

Io vedo nelle persone comuni, soprattutto nei giovani, una grande fiducia, entusiasmo ed energia per contrastare il fenomeno mafioso. Dalla Procura distrettuale di Catanzaro noto un grande interesse per combattere questi fenomeni mafiosi. Quest’estate, ad esempio, con il pretesto di presentare libri,  siamo stati in tanti paesi, tante piazze per parlare di legalità continuando, come faccio in inverno quando vado nelle scuole, a parlare ai ragazzi e ho visto più del doppio delle persone presenti, molte di più degli anni passati. Ogni serata c’erano più di mille persone. Questo ci conforta, ci consola e ci dà energia e forza per continuare in questa battaglia, non solo contro la mafia, ma anche contro la criminalità comune.
Riguardo alla politica,  invece, non riesco a vedere grandi progetti per contrastare le mafie o prese di posizione soprattutto contro il  malaffare. Sarebbe, invece, importante far funzionare la pubblica amministrazione perché se questa funziona, se si fanno dei cambiamenti, ad esempio se si informatizza, è possibile arginare il malaffare, dando meno spazio, meno margini ai faccendieri che vi si annidano. Noi sappiamo che l’informatizzazione abbatte i tempi e i costi del potere discrezionale dell’uomo, quindi, l’abuso. Se il potere politico non fa progetti per informatizzare la pubblica amministrazione vuol dire che non ha la volontà di contrastare questi fenomeni. Non penso che la politica non capisca tutto ciò.

Da circa venti anni la ‘ndrangheta ha superato vistosamente Cosa nostra. Anche la sua struttura interna è differente, non è piramidale, non c’è il capo dei capi, c’è, piuttosto, una forma di coordinamento tra i vari “locali”. Se questo è vero, quali sono le differenze dal punto di vista dell’approccio investigativo nelle inchieste contro “cosa nostra” e la ‘ndrangheta?

Il processo di accelerazione della ‘ndrangheta lo abbiamo avuto nel momento dell’apparente massima espansione di Cosa nostra. Quello era l’inizio della fine di Cosa nostra che si è verificato con la stagione dello “stragismo”. In quel momento lo Stato è stato costretto a reagire, quindi, la ‘ndrangheta, colpevolmente, è stata sottovalutata dalla magistratura, dalle Forze dell’Ordine, dalla politica, dai giornalisti, dagli scrittori in quanto è stata sempre dipinta, descritta e affrontata come una mafia stracciona, mentre in realtà era tutt’altro. La ‘ndrangheta è una mafia che ha avuto sempre un basso profilo, ha sempre cercato accordi con uomini delle istituzioni e per questo è passata indenne da varie ondate di contrasto.
Allora, la ‘ndrangheta si è arricchita. Proprio quando, partendo dalla stagione dei sequestri di persona, stiamo parlando dalla fine degli anni ’70 inizio anni ’80, quando nel triangolo Platì, San Luca e Natile , venivano gestiti sette/otto sequestrati contemporaneamente e quando tutti i sequestri fatti in Calabria, in Lombardia e Piemonte, sono stati organizzati e gestiti dalla ‘ndrangheta. Con quei soldi, poi, è andata in Sud America ed ha iniziato a comprare cocaina a prezzi più bassi al punto che i suoi broker si sono trasferiti lì dove, ancora oggi, vivono sposati con figli e  dove, ancora oggi, il loro compito è quello di gestire e di comprare cocaina al prezzo più basso per poi farla arrivare in Europa, non solo in Italia, tutti pensiamo al porto di Gioia Tauro, ma anche ai porti di Genova, Livorno, Civitavecchia, Venezia, Ancona, ma, soprattutto, nei porti di Amsterdam, Rotterdam o Anversa.

In Italia, fino a qualche anno fa, si è creduto, o meglio si è voluto credere, che il problema criminalità organizzata riguardasse solo determinate aree del Paese, poi si è scoperto che il fenomeno si è sviluppato da anni al centro–nord. Sappiamo, però, che il fenomeno si è esteso anche in Europa e solo dopo la strage di Duisburg è venuto alla ribalta sui media internazionali. Qual è la percezione del fenomeno in Europa? Quali iniziative sono state adottate o dovrebbero necessariamente essere adottate?

In Europa la percezione è bassissima, sia da parte dell’opinione pubblica che da parte dei politici degli stati europei. Duisburg non ha insegnato nulla perché intanto i politici europei non hanno interesse nel dire, ad esempio, che in Germania c’è la mafia perché vorrebbe dire spaventare gli investitori stranieri e dover spiegare perché per 20/30 anni hanno nascosto che lì c’era la ‘ndrangheta.
Poi, in Europa non c’è la cultura del territorio come in Italia. Noi abbiamo documentato come dei trafficanti di cocaina girano tra Belgio e Olanda come lei gira qua a Nicotera, quindi, in Europa è pieno di ‘ndranghetisti e di camorristi perché nessuno li contrasta. Quando lei vede qualche arresto effettuato in Germania, Belgio o Olanda, è la Polizia giudiziaria italiana che segnala alle polizie europee dove andare.
In Europa non c’è l’interesse  a contrastare la mafia e per questo gli ‘ndranghetisti fanno due tipologie di reato, vendono cocaina e comprano tutto ciò che vendono.
La strage di Duisburg è stato un incidente di percorso, un errore, accaduto perché queste morti sono il risultato di una faida che è qualcosa di diverso rispetto alla ‘ndrangheta. Mi spiego, all’interno di una famiglia patriarcale due gruppi si combattono fra di loro, anche consanguinei, e quando ci sono le faide saltano tutte le regole e i codici della ‘ndrangheta.
Ma quello è stato un grave errore sul piano della politica criminale della ‘ndrangheta al punto che la strage è avvenuta il 15 agosto del 2007 e i primi di settembre dello stesso anno, l’elite della ‘ndrangheta ha convocato i vertici delle due famiglie, a San Luca, durante la festa di Polsi, e lì hanno imposto la pace perché quella vicenda è stato un pessimo affare per la ‘ndrangheta e da lì si è suggellato che all’estero non si fanno più queste cose, i panni sporchi si lavano in famiglia, cioè le lotte si fanno in Italia.

Negli ultimi anni si è assistito ad un proliferare di tante  presunte associazioni antimafia. Non si corre il rischio di contribuire, invece, a delegittimare la vera “Antimafia”? Ma, soprattutto, non sarebbe opportuno che ci fosse un organo che controlli tali associazioni?

Sta succedendo che ci sono delle persone che vanno due/tre anni dietro ad un magistrato antimafia, si fanno il pedigree di associazione antimafia e poi incominciano ad organizzare convegni non dimenticando, però, prima, di passare da Regione, Provincia o Comune per chiedere fondi.
Gente che non ha una storia dietro le spalle e poi parla di chi? a chi?
Non basta farsi vedere per qualche tempo dietro ad un magistrato, bisogna raccontare una storia, un vissuto. Ci sono casi di illustri sconosciuti, senza una storia alle spalle di dolore, di sofferenza o di contrasto alle mafie che non dimenticano, però, prima di passare alla cassa.

Parliamo dei consigli comunali sciolti per mafia. Arrivano le motivazioni dello scioglimento e leggi anche dell’inadeguatezza della burocrazia locale: scarsa affidabilità, quando non vero e proprio inquinamento del personale, il quale, difficilmente sfugge ai condizionamenti mafiosi. E’ possibile amministrare un Ente sciolto per mafia utilizzando gli stessi funzionari che sono stati, talora, concausa dello scioglimento stesso?

Assolutamente no. Infatti, uno dei punti da modificare è avere il potere, oltre di cacciare gli amministratori, di cacciare anche i funzionari.

Dopo l’intervista, Nicola Gratteri è accolto da una piazza gremita di gente che in assoluto silenzio lo ascolta catturata e conquistata fino all’ultimo dalla sua dialettica.
Durante la serata, il giornalista Alberto Romagnoli invita ad approfondire diversi argomenti, traffico di droga, migranti, Europa.

Alberto Romagnoli

Gratteri elargisce, soprattutto, consigli per contrastare la ‘ndrangheta. Unica arma, la cultura. “Un popolo pensante fa paura – afferma –. Grazie alla cultura nessuno si fa prendere in giro dal mafioso di turno. Un popolo istruito si ribella e reagisce, scatta la dignità, perchè chi è fortificato dalla conoscenza non si fa certo umiliare da faccendieri rozzi e ignoranti”. Infatti, per il procuratore, all’interno della criminalità organizzata, fra una maggioranza di stupidi e zotici solo il 4 per cento costituisce l’elite criminale che è riuscita, oggi, a comprare di tutto, anche la pubblica amministrazione, facilitata in questo da una profonda carenza etica e morale e da una cultura consumistica.

“La criminalità organizzata – evidenzia Gratteri – cambia come cambia la società, ma per combatterla l’Italia ha a disposizione la migliore polizia d’Europa preparata per contrastare le mafie più pericolose al mondo. La stessa Europa che parla solo di economia e che anche dopo la strage di Duisburg ancora nega la presenza della mafia nel continente. In Europa, invece, le mafie vendono cocaina e acquistano di tutto, alberghi, ristoranti, pizzerie. Il pericolo è quello che potrebbero acquistare anche i media riuscendo, così, a mettere il tarlo del dubbio sulla legalità, banalizzando i comportamenti di correttezza e lavorando ai fianchi le basi della morale e dell’etica”. L’Italia, così, vince contro tutti sul piano normativo e per questo l’Europa deve partire dal sistema giudiziario italiano, migliorandolo anche se “negli armadi dei Tribunali – sottolinea – sono fermi migliaia di fascicoli. E’ necessario, per questo, creare un sistema informatizzato come stiamo facendo a Catanzaro”.

Altro punto caldo al magistrato la proposta di legalizzazione delle droghe leggere in discussione in Parlamento. “Alcuni importanti magistrati – dichiara –  sono per la legalizzazione, io pubblico ministero di campagna no. Ritengo di poter dire la mia perché da 30 anni contrasto lo spaccio di droga. Chi parla non conosce l’argomento, ma lo fa attraverso i media divenendo credibile. Scandalizza che uno Stato venda qualcosa che rende dipendenza e fa male. Se bevo vino posso fermarmi prima di ubriacarmi,  ma se mi faccio una canna sballo subito”.

Anche sulla questione migranti c’è l’interesse della mafia. “Un popolo civile, democratico – evidenzia –  non può pensare di risolvere il problema facendo costruire delle gabbie. Le mafie sono presenti perchè c’è da gestire soldi. Per fermare queste migrazioni è necessario andare direttamente in centro Africa e costruire lì aziende agricole, scuole e uffici”.

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