Limbadi, il progetto dell’Università dell’antimafia non cambia gli obiettivi

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Centro antimafia
Centro antimafia

Le ville confiscate alla ‘ndrangheta dovevano servire per promuovere la pedagogia dell’antimafia e dell’innovazione sociale e per puntare, coniugando cultura e lavoro, alla formazione dei giovani provenienti dall’Italia e dall’estero mediante la realizzazione di seminari e corsi di studi residenziali. Dovevano servire anche per dar vita al “Centro studi italiano sul fenomeno mafioso” ossia a un progetto mirato, soprattutto, a consentire allo Stato di lanciare un chiaro monito alla criminalità organizzata. Una scommessa, una sfida da affrontare con coraggio e nella consapevolezza che un’eventuale fallimento dell’iniziativa potrebbe avere ricadute devastanti sull’immagine delle istituzioni. Il compito di gestire tutte le attività era stato affidato all’associazione “Riferimenti” presieduta da Adriana Musella, che, per le sue recenti vicissitudini giudiziarie ha subito lasciato il timone nella mani sicure di Mariarosaria Russo, direttore organizzativo del Centro. All’evolversi della situazione guarda con riverberi di preoccupazione il sindaco Pino Morello che, dopo l’arrivo della commissione d’accesso al Comune, si ritrova a fare i conti con situazioni tanto delicate quanto inaspettate. <Sono dispiaciuto – afferma – per la piega che ha preso l’inchiesta su “Riferimenti”, un’associazione che nel corso degli anni si è particolarmente distinta sul fronte dell’antimafia. Tra l’altro, all’ombra delle grandi organizzazioni spesso si attaccano come zecche sigle vuote e fini a se stesse di cui non si conoscono né direttivi né soci né sedi>.

pino morello
pino morello

Il primo cittadino limbadese, rivisitando il progetto dell’università dell’antimafia, non nasconde una punta di amarezza. <Pensavo – dice – che una volta consegnati i lavori nel febbraio del 2016, ci fosse una continuità scolastica di indirizzo antimafia col coinvolgimento delle istituzioni e degli enti per dimostrare come anche in un paese dove c’è una famiglia mafiosa si possa vivere in libertà e democraticamente. Purtroppo – sottolinea – i locali confiscati sino ad oggi sono stati utilizzati solo per cinque giorni, cinque seminari durante i quali la popolazione è rimasta all’oscuro di tutto. Non abbiamo assistito – prosegue – al lancio mediatico che il progetto doveva avere in Calabria, in Italia, nel mondo. Lungi da noi l’idea di innescare polemiche, ma non si possono lasciare inutilizzati locali la cui ristrutturazione è costata allo Stato 2,5 milioni di euro. Non era stata creata una struttura per fare convegni, bensì per tenere lezioni e corsi così come previsto nel progetto affidato a “Riferimenti” >. Pino Morello delle attività svolte dal Centro antimafia sa di dover dar conto ai cittadini e <purtroppo – confessa – fatico a trovare le motivazioni valide per stroncare le facili conclusioni che i beni confiscati siano delle cattedrali nel deserto>. Arrivando al nocciolo della questione, <il Comune – spiega il sindaco – taglia i servizi sociali per poter garantire la manutenzione ordinaria e straordinaria che ogni anno costa attorno ai 40mila euro. E’ nostro pieno desiderio – aggiunge – che il progetto ministeriale si realizzi appieno contribuendo a far sì che Limbadi si liberi della sua nomea di paese di mafia. Si è sempre detto – conclude – che qui lo Stato si gioca la faccia. E’ arrivato il momento di dimostrare che il raggiungimento degli obiettivi di partenza stanno ancora a cuore a tutti. Noi siamo certi che Mariarosaria Russo farà di tutto per non deludere le aspettative>. E la risposta dell’attuale responsabile del Centro arriva puntuale e chiara. <Ogni timore è del tutto infondato – sostiene la dirigente del “Piria” – Tutto funzionerà al meglio e tutto procederà secondo programmazione. Abbiamo un calendario di impegni fittissimo a partire dal prossimo 15 ottobre anche sulla scorta di protocolli sottoscritti con associazioni internazionali, università italiane ed estere, nonché altre scuole della penisola>.

 stipula protocollo con unical
stipula protocollo con unical

Il Centro antimafia aveva ed ha tra i suoi obiettivi la costruzione di un percorso Nord-Sud lungo il quale far camminare il messaggio forte della legalità. Per realizzarlo, “Riferimenti” ha sottoscritto accordi di cooperazione culturale con il “Piria” di Rosarno, l’Unical, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la Fondazione Caponnetto e la Confapi. Un “cast” di tutto rilievo per un progetto che è stato sposato, anche dalla Fondazione Giorgio Ambrosoli e dal Miur e, strada facendo, avrà il supporto di un Comitato scientifico diretto dalla dott.ssa Marisa Manzini e coordinato da Arcangelo Badolati. Altri membri del Comitato sono: Gino Crisci (rettore Unical), Caterina Gozzoli (Asag Cattolica di Milano), Francesco Napoli (Confapi), Paolo Bertaccini Bonoli ((Premio Ambrosoli), Angela Costabile, Claudio Cordova, Francesco Altimari, Mimmo Bilotta e Luciano Romiti.

Nel febbraio 2016, a lavori ultimati da parte del consorzio “Crescere insieme”, i locali dell’università antimafia vengono consegnati a “Riferimenti”. La sede principale è ubicata in località “Santa”, in una villa confiscata e trasformata in uffici, aule e sala convegni già arredati di tutto punto. In contrada “Giardino”, in un palazzo a più piani pure confiscato, si trovano gli alloggi per i corsisti. Il residence consta di 15 camere per complessivi 24 letti e non mancano neppure i locali riservati ai disabili. A poca distanza, da un altro immobile confiscato, demolito e rifatto, è stato ricavato un laboratorio con aule per la didattica e l’informatica. Complessivamente, lo Stato ha speso circa 2,5 milioni di euro, mentre, oggi, per

laboratori centro antimafia
laboratori centro antimafia

il funzionamento del Centro, il Comune si fa carico di bollette del telefono, Enel, pulizia dei cortili. Tutto fila liscio, quindi? In verità, no. Anzi, ci sono delle stranezze…strane. Nel residence manca, infatti, la cucina, mentre gli arredi sono del tutto incompleti. Carenze che “Riferimenti”, peraltro, aveva per tempo segnalato al Prefetto di Vibo, al sindaco Morello, al responsabile del Pon Sicurezza del ministero dell’Interno e al viceministro Filippo Bubbico. Ma è possibile prevedere corsi residenziali e non dotare gli alloggi di cucina e arredi necessari? <Hanno contestato al Comune la mancanza della cucina – rammenta il sindaco Pino Morello – ma il progetto era stato redatto da “Crescere insieme” sotto direttive della prefettura e di “Riferimenti” per cui l’ente era del tutto estraneo. In ogni caso – aggiunge – per agevolare l’avvio degli eventuali corsi residenziali, avevamo offerto la possibilità di utilizzare la mensa scolastica>. L’inconveniente, ad oggi, è ancora in vita. E c’è di più. Dovesse cominciare, come da progetto iniziale, un corso residenziale, nel residence non ci sono, stando alla nota redatta da “Riferimenti”, carta igienica, sapone, asciugamani, padelle, coltelli, forchette, pentole, armadi, scaffali, lavastoviglie, lenzuola, tovaglie. Mancano pure sedie, cuscini, trapunte, piatti, bicchieri, tazze caffè e tanto altro ancora. Ma a distanza di due anni perché ministero e prefettura non hanno ancora dato una risposta alla nota-carenze di “Riferimenti”?

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