Il castello aragonese di Reggio Calabria.

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Il castello aragonese di Reggio Calabria è la principale fortificazione della città, sorge nell’omonima piazza Castello tra la via Aschenez e la via Possidonea. Esso è considerato, insieme ai Bronzi di Riace, uno dei principali simboli storici della città di Reggio. Dal 1956 ospita l’osservatorio dell’Istituto nazionale di geofisica.

Anche se il castello è denominato “aragonese”, esistono dati che riconducono ad una prima struttura fortificata, in una corrispondente all’attuale localizzazione del castello di Reggio Calabria, e che consentono una prima datazione dell’insediamento intorno all’anno 1027; ma la sua costruzione sembra collocarsi tra il 536 e il 549 ad opera dell’armata bizantina. Durante i secoli, il castello ha subito le stratificazioni formali e costruttive dei dominatori che si sono succeduti a Reggio Calabria.

Nel 1059 la fortezza passò dai Bizantini ai Normanni che ampliarono a più riprese il castello. Nel 1258 il castello passò agli Svevi, subito dopo, nel 1266, a Carlo D’Angiò e successivamente a Pietro D’Aragona. Sotto il dominio aragonese il castello subì numerosi interventi di ampliamento. Restaurato nel 1327, venne fortificato nel 1381 per volere della regina Giovanna I. Per identificare l’attuale struttura è necessario però arrivare all’epoca di Ferdinando D’Aragona. Egli, infatti, nel 1458, fece restaurare la fortezza e, sotto la direzione dei lavori di Baccio Pontelli (discepolo di Giorgio Martini), fece aggiungere, a sud, le due torri merlate circolari ed il loro corpo di collegamento e nel 1479 fece realizzare, ad est (dove era più esposto ad eventuali attacchi dalla collina del Salvatore), il rivellino esterno ed il fossato. Il rivellino, di particolare importanza architettonica, aveva pianta triangolare irregolare ed era collegato con un breve tratto rettilineo ad un torrione “a mandorla”, la sua funzione era quella di ritardare l’attacco nemico. I fronti verso il mare invece risultavano più protetti in quanto la città faceva da filtro. Si valuta l’ipotesi di un’utilizzazione di disegni e suggerimenti di Francesco di Giorgio Martini per l’esecuzione del rivellino.

Nel 1539 Pietro da Toledo fece aumentare la capienza interna del castello permettendo di salvare più volte i reggini dalle invasioni dei Turchi durante le quali il castello fu usato come prigione. Dopo l’ultimo assedio da parte dei turchi, nel 1640, sotto i governatori spagnoli Alfonso de Aznir e Roberto Daulo, furono effettuate numerose opere di ristrutturazione, documentate dall’Archivio di Napoli. Nel 1794 ospitò, nelle sue prigioni, molti cospiratori che osteggiavano gli spagnoli e speravano in un intervento francese. Nel 1806, l’esercito francese invase il Regno di Napoli e si spinse fino a Reggio Calabria, ma il castello fu presto ceduto agli inglesi, dopo aver subito però ingenti danni nella parte meridionale e nel 1850, fu in parte riedificato. Il rivellino fu invece parzialmente demolito tra il 1851 ed il 1852. Durante il periodo borbonico il castello subì ricostruzioni e demolizioni vivendo un periodo di decadenza.

Nel 1869, dopo essere stato espugnato dai garibaldini (1860), oscillò in balia di decisioni contrastanti e, con l’avvento del nuovo piano regolatore della città (1869), se ne discutevano le sorti, prendendo in considerazione anche l’idea di demolirlo per realizzare una grande piazza. Nel 1892 la Commissione provinciale dei beni archeologici decretò una parziale demolizione del castello ma con la conservazione delle due torri poiché “Monumento storico della città”, e cinque anni dopo (1897) il castello venne dichiarato monumento nazionale. Ulteriori danneggiamenti furono inflitti al castello dal terremoto del 1908 che danneggiò i locali più antichi lasciando però illese le due torri; il danneggiamento, seppur minimo, della struttura fece sì che un decreto legge del Genio Civile del 1917 indicasse le modalità di demolizione poichè lo dichiarava “edificio inutilizzabile”, ma nello stesso anno il castello fu risparmiato poiché adibito a caserma. Infine, le demolizioni raggiunsero i 9/10 della struttura iniziale quando si decise di sacrificare ancora altre parti del castello per congiungere la via Aschenez con la via Cimino. Le due torri “aragonesi” furono risparmiate e sono oggi ciò che resta del castello. Pertanto il castello, di origine militare, fu progettato come caposaldo di un sistema difensivo articolato in alte cortine, raccordato da torri e bastioni che dovevano proteggere l’intera città.

Ciò che oggi è dunque possibile vedere del castello, di pianta rettangolare, sono le due torri cilindriche merlate del periodo aragonese poste a sud collegate da una cortina muraria in cui un toro in pietra sull’alta scarpata ed un motivo ad archetti ogivali su mensole scandiscono il prospetto esteriore. Al di sopra degli archetti un’alta fascia di muratura è interrotta dalle bocche di fuoco. Nella zona nord, diroccata, una serie di terrazze permettono l’accesso alle torri che presentano, all’interno, una scala circolare centrale con cinque vani rettangolari che ospitano i pezzi di artiglieria. La struttura muraria è mista ed è composta da pietra di varia pezzatura e mattoni di laterizio. Attualmente il castello è sede di mostre ed esposizioni temporanee.

 

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