I Riti della Settimana Santa a Nicotera: dalla “Missa a storta” alla processione del Cristo morto.

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Il venerdi santo – anche detto in “parasceve”, ossia di preparazione alla festività del Sabato Santo, come era in uso tra gli ebrei – nella Nicotera di un tempo, il Capitolo della Cattedrale (in nigris) concludeva la visita ai sepolcri; poi si celebrava la funzione liturgica (‘‘a missa a storta“) in “ Morte Domini” , concentrata su tre momenti distinti: la liturgia della Parola (con la lettura del Passio secondo Giovanni), l’Adorazione della Croce (col rituale bacio del Crocefisso da parte dei fedeli), l’Eucarestia (con la distribuzione delle ostie consacrate il Giovedì santo). Il Venerdì santo era anche giorno di penitenza, di astinenza e di digiuno.

Dal Santo Sepolcro venivano tolti i tanti lumini e i recipienti contenenti il grano benedetto. Nel primo pomeriggio, poi in Cattedrale, l’oratore predicava le tre ore di agonia. Alle tre in punto, per ricordare l’ora fatale della morte del Cristo, veniva fatto esplodere un grosso petardo (‘a bumba scura). La liturgia delle tre ore di agonia, si svolgeva soltanto in cattedrale. Qui sull’altare maggiore veniva sistemato il monumentale Crocifisso ligneo mentre sugli stalli prendevano posto tutti i membri del Capitolo col Vescovo senza paramenti ma in nigris; dall’ambone il padre predicatore leggeva il Passio alternato ad altre letture ed intervallato dal canto della schola cantorum che stava sulla cantoria. La chiesa stracolma di fedeli anche perché era consuetudine osservare il digiuno più stretto assisteva attentamente lo svolgersi dell’azione liturgica.

Si arrivava così alla processione serale del Cristo morto, deposto in una barella scoperta ed adornata di fiori, preparata dagli artigiani nicoteresi nella falegnameria dei fratelli Mazzitelli, sita in Via Fiume, e la statua dell’Addolorata in gramaglie chiudeva i giorni della passione. La processione sostava davanti al Calvario di Via Umberto I°, affidato alla cura della famiglia Lapa, ove, il parroco del tempo, don Ubaldo Corso, era solito impartire la benedizione e concludere con una toccante orazione. Era questa la più solenne, e vi prendevano parte tutte le associazioni presenti in città, il Capitolo Cattedrale al completo ed il vescovo (durante l’assenza del vescovo i riti solenni erano presiedute dall’Arcidiacono del Capitolo Cattedrale il rigido e preparato mons. Giuseppe Corso, ed alla sua morte da mons. Salvatore Belluomo), tutti vestiti in nigris senza insegne, cui seguivano le Autorità cittadine col Sindaco, tutti incolonnati su due file nel rispetto del rigido cerimoniale predisposto dal maestro delle cerimonie vescovili ( un canonico la cui nomina era autenticata da bolla pontificia, l’ultimo cerimoniere con bolla pontificia è stato il Canonico don Francesco Capria) , e, da lui personalmente seguito e nella quale venivano recitati salmi e canti, tutti di autori nicoteresi tra cui quelli dell’Arcidiacono Massari, poeta e grande musicologo.

 

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