Il calabrese che tentò di uccidere il presidente degli Stati Uniti.

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I misteri della storia sono molti ma quello che vi raccontiamo oggi, è degno del miglior thriller politico d’autore e ci riguarda da vicino. Stiamo parlando del tentativo di assassinio del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, nel marzo del 1933, eseguito da un anarchico calabrese, Giuseppe Zangara (nella foto). Un attentato che se andato a segno, avrebbe sicuramente cambiato la storia del mondo. Zangara era nato il 7 settembre 1900 a Ferruzzano, in Calabria. Dopo aver prestato servizio nelle Alpi tirolesi, durante la prima guerra mondiale, svolse una serie di lavori umili nel suo villaggio natale prima di emigrare con suo zio negli Stati Uniti nel 1923 e divenne cittadino naturalizzato americano nel 1929.

Zangara, era un uomo con poca istruzione e divenne govanissimo agricoltore e muratore. Soffriva di un forte dolore all’addome, che i medici gli hanno poi diagnosticato che era cronico e incurabile. Nel 1926 subì un’appendicectomia, ma non fu d’aiuto, anzi potrebbe anche aver aumentato il suo dolore. I medici che eseguirono la sua autopsia, lo attribuirono alle aderenze che trovarono sulla cistifellea. Zangara stesso attribuì il suo dolore all’essere costretto a fare estenuanti lavori fisici nella fattoria di suo padre, fin dalla tenera età. Ha infatti scritto che questo dolore è iniziato quando aveva sei anni. Una vita difficile la sua quindi, in una regione, a quei tempi, dove spesso l’unica alternativa alla miseria era – come oggi – l’emigrazione.

Partito per il Nuovo Mondo, si stabili, a Paterson nel New Jersey, città che era divenuta in quegli anni uno dei punti di riferimento dell’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti nel corso del tardo XIX secolo. La comunità italiana di Paterson, come risulta dai registri anagrafici, arrivò infatti a contare alla fine del secolo circa 20000 persone, conservando un forte legame con la madrepatria. Legame d’identità, ma anche di partecipazione alla vita politica. Da Paterson, – ribattezzata “la città degli anarchici – dopo un soggiorno di Enrico Malatesta, era partito anche Gaetano Bresci, la mano anarchica che aveva ucciso, a Monza, il Re Umberto I.

ForSaccoeVanzetti1971.pngse l’attentato al presidente maturò come reazione degli ambienti anarchici alla stretta repressiva che era seguita al primo dopoguerra, cominciata dopo il processo a Nicola Sacco e Bartolomei Vanzetti, anarchici italiani, accusati e poi condannati a morte nel luglio del 1921 e immortalati, in epoche a noi più recenti, in uno splendido affresco cinematografico del 1971 diretto da Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla (nella foto). Tale ricostruzione fu però poi attaccata dagli storici, in quanto la vittoria democratica del 1932, metteva fine all’ondata conservatrice e che quindi non aveva senso colpire Roosevelt che si apprestava – inaugurando la politica del New Deal – a realizzare una vasta politica di intervento a favore proprio dei ceti più umili. Molti sono quindi convinti che Zangara fosse stato fuorviato – una sorta di Lee Harvey Oswald ante-litteram – e invischiato in un gioco ben più grande di lui e che a tirare le file del complotto, fossero esponenti della estrema destra e del Big bussines che temevano che la vittoria del candidato democratico avrebbe significato una pericolosa “sterzata a sinistra” e giudicavano un “esperimento bolscevico”, il New Deal roosveltiano. Secondo un altra accreditata pista poi, Zangara sarebbe addirittura stato un sicario che lavorava per Frank Nitti, che era il capo del “Chicago Outfit” (Il più grande sindacato del crimine organizzato di Chicago), una conclusione a cui è giunto John William Tuohy, autore di numerosi libri sulla criminalità organizzata a Chicago stessa, dopo aver esaminato i documenti dei servizi segreti. Misteri su misteri dunque.

Nelle’elezioni dell’8 novembre 1932 i democratici – dopo 12 anni di assoluto predominio repubblicano – riconquistavano la Casa Bianca con una vittoria a valanga di Franklin Delano Roosevelt. Il governatore democratico dello stato di New York infatti – sulla scia della grande crisi economica del 1929 – ottenne 22.821.277 (57.7%) e 472 voti elettorali contro i 15.761.254 del presidente in carica Herbert Hoover, conquistando 44 dei 49 stati (Le Hawaii non erano ancora uno stato). A quei tempi, l’interegno tra un presidente e un altro, durava quattro mesi. Oggi il presidente eletto, si insedia infatti, il 20 gennaio, mentre allora l’insediamento avveniva solo ai primi di marzo. Il 15 febbraio 1933, Roosevelt che era impegnato in tour post elettorale, arrivò in Florida, sbarcando dal panfilo di Vincent Astor a Miami, per fare un discorso in città. La città non era ancora la grande metropoli che oggi è l’ambito sogno di tutti i vacanzieri, ma già dal 1920 al 1930, aveva visto la sua popolazione passare da 29.000 a 110.000 abitanti (oggi ne conta mezzo milione). Il presidente stava facendo un discorso estemporaneo alla folla, sul retro di un’auto scoperta nella zona di Bayfront Park, dove Zangara aveva trovato un lavoro saltuario e armato di pistola calibro 32 statunitense della Revolver Company che aveva comprato per $ 8 (equivalenti a $ 150 nel 2017) in un banco dei pegni locale, si unì alla folla di spettatori. Alto però soli 5 piedi (1,5 m) di altezza, non fu però in grado di vedere oltre le altre persone presenti e dovette arrampicarsi su una sedia pieghevole di metallo traballante, per ottenere una mira chiara sul suo obiettivo.  Se il presidente, al momento del primo sparo, non si fosse chinato per raccogliere un telegramma da un collaboratore che glielo porse proprio in quell’attimo, non ci sono dubbi che sarebbe stato colpito. Dopo il primo colpo. Una donna, Lilian Cross, prontamente, colpi il braccio dell’attentatore e i colpi deviati colpirono il sindaco di Chicago, Anton Cermak, (nella foto assieme al presidente) che era in piedi sul predellino della macchina accanto a Roosevelt, che era rimasto indenne. Roosevelt stesso tenne Cermak tra le sue braccia mentre l’auto si precipitava in ospedale. Dopo essere arrivato lì, Cermak parlò a Roosevelt e presumibilmente pronunciò la frase che fu poi incisa sulla sua tomba: “Sono contento che fossi io al posto tuo” e spirò pochi giorni dopo.

Il fatto di sangue suscitò vasta eco negli States, specie sulla stampa dell’epoca (vedi foto). Zangara arrestato, confessò poi tutto nella prigione del tribunale della contea di Dade, dichiarando: “Ho la pistola in mano, uccido re e presidenti prima e dopo tutti i capitalisti“. Si dichiarò colpevole di quattro capi di accusa e fu condannato a 80 anni di carcere. Dopo aver trascorso solo 10 giorni nel braccio della morte, Zangara fu poi giustiziato – perchè nel frattempo il sindaco di Chicago era morto – il 20 marzo 1933 a Old Sparky, tramite la sedia elettrica nel braccio della morte del Florida State Prison di Raiford.

 

 

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