Il recente dossier della Caritas intitolato “Divieto di accesso, flussi migratori e diritti negati” – pubblicato in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani,che ricorre oggi 10 dicembre – contiene qualche conferma e qualche sorpresa in temi di flussi migratori.
Se infatti lo spostamento di intere masse di uomini dal “Continente nero” è triplicato dal 1980 in poi appare dall’altro lato, in netta crescita il flusso migratorio verso il continente asiatico anziché verso l’Europa come invece ci si aspetterebbe. E non è la sola sorpresa contenuta nei dati del dettagliatissimo dossier in questione. Infatti i migranti che partono dall’Africa costituiscono solo il 14% del totale globale, contro il 43% di chi arriva dall’Asia, il 25% di chi giunge dalla stessa Europa e il 15% di chi arriva, infine dalla cosiddetta America latina, Caraibi compresi.
L’altra sorpresa che non ti aspetti poi è quando, scendendo nel dettaglio, si scopre, scorrendo le pagine del rapporto che il 52% dei migranti africani si sposta solo all’interno dei confini degli stati di questo stesso continente. Ed è il Sudafrica una delle mete preferite dove infatti è facile scorgere ai confini con Rhodesia e Mozambico dei treni speciali in cui i clandestini sorpresi dalle autorità ad entrare illegalmente nel paese sono senza tanti complimenti fatti saliri e riportati ai paesi di origine. Altre destinazioni privilegiate sono poi i paesi produttori di petrolio, come Libia e Gabon. I movimenti interni, fra Stati africani, sono infine particolarmente accentuati nell’Africa occidentale (Senegal, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio) e, nella regione orientale, dall’Eritrea.
Si sono inoltre diversificate le destinazioni scelte da quel 48% di rimanenti migranti africani che partono dalle loro terre di origine giacché .”I corridoi umanitari seguiti dagli africani” – si legge nel dossier – “sono diversi e toccano ormai quasi tutte le regioni del mondo”. Più del 42% di questi stessi migranti si dirige verso il continente asiatico in modo particolare verso le “petromonarchie” del Golfo Persico sempre in cerca di manodopera a basso costo mentre l’Europa resta la meta preferita del 27% pur in aumento del 3.2%. Sono inoltre aumentati i movimenti dall’Africa orientale (Paesi come Somalia, Eritrea, Etiopia, Sudan) verso lo Yemen, migrazioni che non sono state scoraggiate dal conflitto in corso in questo Paese mentre altre destinazioni più gettonate sono il Nord America e l’Oceania: il 7% del totale con un aumento del 2% rispetto all’anno 2000.
Quello verso l’Europa rimane un afflusso considerevole – nove milioni di arrivi – ma ben poca cosa rispetto alla popolazione europea complessiva che conta oltre 700 milioni di persone. Non certo un invasione. Da notare poi che la maggior parte dei migranti africani che vengono nel Vecchio continente proviene dai paesi dell’africa sub-sahariana la stragrande maggioranza dei quali è di religione cristiana il che può costituire una delle premesse per una agevole integrazione. Piuttosto l’unico dato negativo è che – seconde l’Ocse “la popolazione africana presente in Europa è meno qualificata rispetto a quella di altri Paesi dell’organizzazione” il che pone i governi europei di affrontare il fenomeno migratorio in un ottica diversa che privilegi l’afflusso di manodopera qualificata e non solo diseredati fatti salvi ovviamente coloro che scappano da guerre e carestie che costituiscono oggi il 12% del totale dei rifugiati in Europa.
Nel 2015, infine, l’Italia si piazza all’undicesimo posto nella graduatoria dei Paesi che ospitano più migranti (6 milioni nel 2015). Tra le nazionalità più rappresentate ci sono quelle dell’Europa dell’est (rumeni in testa). Fra le comunità africane, quella senegalese è la più numerosa.
Il fenomeno migratorio, spiega il dossier Caritas, risulta da un intreccio complesso di movimenti molto diversi, spontanei e forzati, regolari e irregolari. “In Europa il sempre più diffuso atteggiamento culturale e politico di paura e chiusura è in contraddizione con tale complessità e finisce per acutizzare anziché contrastare la lesione dei diritti fondamentali delle persone che migrano e di quelle che restano”. Per una parte della popolazione mondiale, dunque, il diritto di migrare e quello di restare sono ancora diritti umani negati.