E’ il partito socialdemocratico PSD – componente del Partito Socialista Europeo – il vincitore delle elezioni politiche che si sono tenute in Romania domenica scorsa. La speranza del premier provvisorio uscente, il tecnocrate Dacian Ciolos, di formare una coalizione di centrodestra, è quindi sfumata ma resta da vedere come il Psd riuscirà a formare una maggioranza stabile.
Appena il 39% di affluenza alle urne (2 punti in meno della scorsa tornata) e tanta voglia di superare le misure di austerity imposte dall’Europa tanto è vero che, neanche le accuse di corruzione che da tempo hanno scosso i socialdemocratici – la stessa guida dei socialisti Liviu Dragnea fu condannato per frode elettorale negli anni passati – non sono bastate per far cambiare idea all’elettorato come peraltro preannucniato da numerosi sondaggi.
Il Psd svetta nei consensi con il suo 45.4% dei voti e 154 seggi su 3298 della Camera e potrà formare una maggioranza alleandosi con i liberali dell’Allenza dei liberali e democratici che hanno ottenuto il 5.6% dei suffragi e 20 seggi. Distaccati e di parecchio i liberali di centrodestra del Partito nazionale Liberale (PNL) – membro del Partito Popolare Europeo – che ottengono il 20.1% dei voti e 69 seggi. Non sfondano nenahce i populisti dell “Unione Salva Romania” (USR) che ottengono l’8.9% dei voti e 30 seggi. Entrano poi alla camera altre due piccoli formazioni politiche conservatrici – entrambi facenti riferimento al PPE – e cioè il Partito del Movimento Popolare (PMP) con il 5.3% dei consensi e 18 seggi e l’Alleanza Democratica degli Ungheresi di Romania (UDMR) con il 6.2% dei voti e 21 seggi. Altri 17 seggi sono assegnati secondo la costituzione vigente nel paese alle altre minornze etniche.
Il Psd ha vinto promettendo più spese sociali e meno tasse, e su questo sembra aver convinto gli elettori più dei rivali liberali, centristi e conservatori. Mentre i toni populisti o xenofobi sono rimasti in secondo piano nella campagna.
La Romania è una delle realtà più contraddittorie della Ue. Vanta una robustissima crescita economica del 4,8 per cento, grazie alla dinamica propria di vitale paese industriale, agli aiuti europei (26 miliardi dal 2007) ma anche ai fortissimi investimenti italiani, francesi, tedeschi, asiatici, scandinavi, alle importanti risorse quanto a materie prime e qualifica di accademici e manodopera industriale. E a differenza che in Polonia o in Ungheria gli umori nazionalpopulisti, xenofobi o altri estremismi sono marginali, a tutto vantaggio del rating del paese. Rispetto ad allora, se arrivi a Bucarest restaurata, piena di aziende straniere, affollata dal traffico, il paese è irriconoscibile. L’altro lato della medaglia è dato dalla foertissima emigrazione che ha visto partire oltre 3 milioni di persone, in maggioranza giovani qualificati e una povertà tuttora diffusa.
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