L’articolo pubblicato ieri su Mediterraneinews.it, a firma della collega Orsolina Campisi, nel quale un esponente della maggioranza consiliare del comune di Joppolo, ipotizza una fusione tra i comuni di Ricadi, Spilinga e lo stesso piccolo comune della costa tirrenica vibonese, dovrebbe fare riflettere i decisori politici locali e tutti i corpi sociali della collettività nicoterese, su un dibattito – quello delle fusioni degli enti territoriali di primo livello – che dopo il referendum che ha visto sancire l’unificazione dei primi quattro comuni calabresi, sicuramente comincerà a far parte dell’agenda politica e amministrativa di molte amministrazioni comunali.
Cominciamo col dire che i nostri vicini joppolesi fanno bene a pensarci per tutta una serie di motivi. Intanto Joppolo è un comune ormai demograficamente in difficoltà sceso sotto la soglia dei duemila abitanti (e per di più dispersi in diverse frazioni urbane), con un indice di vecchiaia che ha sfondato i trecento punti (la media italiana è di 161 punti) e ha tutto da guadagnare da una eventuale fusione con un comune in continua crescita demografica come Ricadi che è uno dei poli turistici più rilevanti del vibonese e della Calabria e al quale – facendo rientrare Spilinga nel progetto – si affiancherebbe un altro territorio che, l’acume della classe politica locale, ha saputo trasformare in una zona famosa in tutto il mondo per la produzione della celebre ‘Nduja.
Ma i motivi che spingono Joppolo e che sicuramente spingeranno in futuro ormai non tanto lontano, un numero sempre più crescente di comuni calabresi della stessa dimensione demografica della sua, ad unirsi, sono anche altri e si badi che nella nostra regione ben 342 enti territoriali di primo livello hanno meno di 5mila abitanti pari al 79% del totale complessivo. Lo ha ben evidenziato – tra gli altri – in un saggio breve apparso sul web e sulla stampa regionale, il prof. Francesco Aiello, ordinario di Politica Economica presso l’Università della Calabria.
Il primo motivo è senz’altro dovuto – secondo lo studioso – dalla diminuzione dei contributi pubblici erogati dal governo centrale ai comuni stessi che hanno subito in questi anni di austerity, una pesante decurtazione mentre il secondo, risiederebbe nell’adozione a livello europeo di politiche che mirano ad una razionalizzazione della spesa pubblica degli stati membri e che quindi spingono anche per una razionalizzazione dell’assetto delle autonomie locali poiché i moltissimi piccoli comuni disseminati nella penisola costruiscono altrettanti centri di spesa.
Non è un caso che molti stati europei hanno ridotto nel tempo il numero dei comuni: in Finlandia sono stati fusi 1/4 dei municipi esistenti prima dell’adozione del cosiddetto Project to Restructure Local Government and Services del 2005 (i municipi sono così passati da 431 a 317); in Olanda il ritmo delle aggregazioni si mantiene costante di anno in anno, al punto che i 913 Comuni del 1970 sono divenuti 393 nel 2015; in Svizzera, se nel 1990 i Comuni erano 3.021, nel 2014 sono state rilevate quasi 700 unità in meno (2.352 in totale) e persino nella piccola e poco popolata Islanda i 229 enti di prossimità del 1950 sono scesi a 74 nel 2013. Un movimento che ha poi investito altri paesi: la Gran Bretagna, ad esempio dove, tra il 1960 e il 1975, il numero di Municipalities è sceso da 1.349 a 521; la Danimarca, in cui la riforma del 1970 ha prodotto una caduta verticale da 1.389 a 275 Comuni; la Svezia, sul territorio della quale i Comuni sono crollati nel 1974 a 278, dai 2.498 del 1952; il Belgio, che ha conosciuto un calo da 2.359 a 596 Communes grazie alla legge del 30 dicembre 1975 o, ancora, la Repubblica federale tedesca, i cui 24.000 Gemeinden, alla fine degli anni Settanta, hanno subìto una decurtazione di quasi il 70%, sino a diventare 8.500. E persino nel paese con il più alto numero di comuni (36.000), la Francia, la situazione si evolve verso una razionalizzazione, grazie alla legge n. 2015/292 grazie alla quale al quale hanno visto la luce, solo dal 1° gennaio 2015 al 1° gennaio 2016, 300 Communes nouvelles, con la simultanea fusione di 1.013 unità locali.
Il terzo motivo – sempre secondo Aiello – è poi la modifica dei criteri di perequazione nazionale che tendono a far pesare di meno la spesa storica a favore dell’introduzione di un sistema maggiormente basato sui cosiddetti “costi standard” ossia la spesa minima necessaria per consentire ad una comunità di soddisfare i bisogni di base, valutati con criteri uniformi per tutti gli enti locali. Un passaggio questo, che già in questo 2017, secondo la Corte dei Conti, produrrà per i comuni, perdite fino a 15.9 euro per abitante e si tradurrà poi, nel 2021 nell’8.5% in meno di trasferimenti per i piccoli comuni. In ultimo, vi è l’incentivo finanziario che il governo (usando così il vecchio trucco del bastone e della carota) dà ai comuni che decidono di aggregarsi pari al massimo a due milioni di euro l’anno a cui si aggiungono, per i successivi dieci anni, il 50% dei contributi percepiti nel 2010.
Nicotera è un comune anch’esso demograficamente in crisi e con una popolazione sparpagliata su un territorio non esiguo e su ben cinque distinti nuclei urbani, finanziariamente dissestato e collocato in una posizione geografica che da strategica (collocata com’è, al crocevia di tre sistemi territoriali: Costa degli Dei, Monte Poro e Piana di Gioia Tauro) può, senza una governance adeguata e una visione strategica, trasformarsi in un cul-de-sac.
Non è un caso che già negli anni ottanta alcuni avevano ipotizzato un’unione dei comuni comprendente Nicotera stessa, Joppolo, Limbadi, San Calogero e Rombiolo, mentre di recente ci si è spinti a ipotizzare l’entrata di Nicotera nella prospettata Città metropolitana di Reggio Calabria. Nicotera dovrebbe quindi spingere per riannodare le fila di un discorso progettuale di unione con i suddetti comuni viciniori che mai ha superato lo stadio di mera ipotesi. Il rischio è evidente: se Joppolo se ne va con Ricadi e Spilinga e probabile che Limbadi e San Calogero si uniscano dando vita ad un centro demograficamente superiore al nostro e lo stesso potrebbe fare Rombiolo che potrebbe unirsi a comuni come Filandari e Zungri. Nicotera quindi da possibile “centro di gravità” di un area vasta, ricca di risorse e di storia, comprendente quasi 20 mila anime, si ritroverebbe a rimanere isolata. E questo dato di fatto non gioverebbe neanche ad un suo successivo ingresso nella Città metropolitana di Reggio Calabria, in quanto, un conto è entrarvi a capo di un unione con i comuni vibonesi ad essa vicini e un altro conto è entrarvi da sola: si pensi che oggi all’interno della provincia di Vibo, Nicotera rappresenta il sesto centro abitato su 50 comuni per popolazione e il 3.7% della popolazione complessiva, mentre passando con l’altra provincia da sola conterebbe appena l’1.1% della popolazione totale e sarebbe solo il ventunesimo centro per popolazione, mentre aggregata alle altre realtà contermini, rappresenterebbe il secondo centro (dietro Reggio città e avanti di poco a Gioia Tauro) e il 3.7% della popolazione totale.
C’è poi un altro scenario che si potrebbe avverare se non ci muoviamo e in fretta. Se i comuni contermini daranno vita alle ipotizzate fusioni chi ci dice ad esempio che, visto che per decenni abbiamo trascurato le nostre frazioni, le stesse non possano essere tentate a staccarsi dal corpo principale della città? Ed ecco ad esempio che Badia potrebbe voler passare con la vicina Limbadi, che le due frazioni collinari di Comerconi e Preitoni potrebbero essere tentate di seguire l’unione Joppolo-Ricadi-Spilinga mentre la Marina, visti anche i suoi antichi rapporti con la piana di Gioia Tauro, di cui fa peraltro fa già parte in senso geografico, potrebbe anch’essa ritenere più conveniente unire il proprio destino a Rosarno o a San Ferdinando o a tutti e due.
Uno scenario-limite che può apparire fantascientifico ma ricordiamo agli scettici che anche nei primi anni 90, quando qualche osservatore ben attento mise in guardia sul rischio dello spopolamento del paese fu accolto con scetticismo se non con fastidio e invece questo processo non solo è diventato attuale ma si è modificata e in peggio la stessa struttura demografica della popolazione cittadina con ripercussioni socio-economiche che diventeranno ben visibili in un arco di tempo breve che va dai 10 ai 20 anni. Uno scenario-limite, che sarebbe il definitivo colpo di grazia per Nicotera che diventerebbe un altro di quei centri di 3500 anime (oggi ma nel 2050, date le proiezioni sarebbero molti di meno) abitato in maggioranza da anziani, abbarbicato su dei contrafforti rocciosi, custode, triste e solitario, di un tempo che fu.
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