Sembra che le tracce della tradizione dolciaria nel periodo pasquale, qui in Calabria, risalgano al tardo medioevo, quando si realizzavano già dolci di varie forme caratterizzati dalla presenza all’esterno, di uno o più uova sode, collegate alla simbologia della resurrezione e, in alcuni casi, dipinte con colori vivaci. Dolci che assumono vari nomi a seconda delle diverse zone della nostra regione: Cuculicchi, Pizzatole, Cuddràcci, Cuzzole (nella Calabria settentrionale), Cuzzupe (nella parte centrale della Calabria) e Cuddhuraci, Taraji, Curi, Curughie (nella Calabria meridionale). Vediamo di passarli un pò in rassegna.
La Cuzzupa calabrese ad esempio – che prende il suo nome dal greco volgare koutsoupon e significa cerchio rotondo o ciambella – ha origini orientali e simboleggia la fine del periodo del digiuno della quaresima, mentre l’uovo, ingrediente simbolo di questo dolce, rappresenta la rinascita e resurrezione. La tradizione narra che la Cuzzupa calabrese venisse regalata dalla suocera al genero per comunicare, a secondo del numero di uova presenti nel dolce, determinati messaggi. Se la Cuzzupa aveva sette uova, allora vuol dire che il matrimonio era vicino, se le uova erano nove invece, voleva dire che la promessa di fidanzamento era rinnovata. E da qui il famoso detto: “Cu’ nova rinnova, cu’ setta s’assetta” (“con nove uova si rinnova, mentre con sette si sistema, cioè ci si prepara al matrimonio). Secondo altre dicerie invece, sembrerebbe che la Cuzzupa fosse un dolce che solitamente veniva offerto in dono alle famiglie che avevano subito un lutto e che dovendo, per tradizione, astenersi dal cucinare e festeggiare, ricevevano in dono come messaggio di solidarietà, il dolce dalle altre famiglie.
Nel cosentino a Mormanno era tradizione preparare le Cuzzole mentre e a Fagnano Castello, venivano preparati i Cuddràcci, ciambelle dolci con le uova sode, un tempo preparati con farina di granturco e mosto cotto oppure sciroppo di fichi e ora fatti con farina e zucchero e a Mendicino si preparavano i Cuculicchi con le uova, uno per ogni componente della famiglia. Ad Albidona e Amendolara, invece, si mangiavano le Cullure, grandi ciambelle cotte decorate da uova intere, preparate con farina, uova, semi di finocchio, latte e sale.
Una tradizione a parte ci viene dai comuni arbëreshë, dove i dolci tipici pasquali più diffusi simili alle Cuzzupe sono chiamati “Cici” – dolce a forma di bastone intrecciato con sopra un uovo sodo o “kulaci”, grandi pani dolci con dei larghi buchi al centro- e la “Riganella”, un dolce di tradizione bizantina, costituito da un ripieno di uva passa e noci dalla tipica forma a spirale, il cui sapore prevalentemente dolce, è contrastato da lievi note salate dell’origano (da cui prende il nome), che si prepara entro il giovedì santo e si può consumare solo dopo il mezzogiorno del sabato santo.
Nel vibonese, a Nicotera, erano preparati e ornati con le uova sode i campanari, ciambelle fatte di pasta di pane, o i taraji, fatti di pasta dolce. Sempre nel vibonese poi, sono preparati anche dei biscotti ricoperti con glassa di zucchero chiamati “Ncinetti”.
Tra il vibonese e il reggino, in questo periodo, invece, si usava preparare dei biscotti, chiamati “Ciciriati” dal nome dell’impasto fatto con ceci, caffè, noci e cacao.
Spostandoci poi nel reggino, troviamo i Cuddhuráci (dal greco focaccia o ciambella), una pasta frolla fatta a forma di corolle intrecciate o di panierini, morbida e non molto dolce, entro cui erano messe tre uova sode con il guscio. La pasta di questi dolci veniva preparata rigorosamente il Venerdì Santo e mangiata solo il giorno dopo.
Sempre nel reggino, tra i dolci tipici Pasquali, vi sono anche i “Biscotti alle mandorle all’olio di oliva”, preparati a mano e utilizzando esclusivamente olio extravergine di oliva.
Troviamo poi i Guti o nguti (dal greco ovale) che vengono preparati nelle comunità grecofone del reggino dolci molto simili alle cuzzupe, a base di farina, uova, olio d’oliva, lievito naturale e zucchero e i Jaluni, dolci pasquali fatti con la ricotta e cosparsi di abbondante zucchero a velo.
Sulle tavole dei comuni del reggino non può poi mancarela “Pastiera”, torta di pasta frolla farcita con un impasto a base di ricotta, frutta candita, zucchero, uova e grano bollito nel latte.
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