Settantasettemilanovantasei. Sono questi gli ettari di terreno che sono stati sottratti in Calabria all’agricoltura e che è stato cementificato secondo l’annuale rapporto – pubblicato qualche giorno fa – dall’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), pari al 5.11% della superfice regionale complessiva.
A guidare la classifica delle province c’è Cosenza con 29080 ettari (38% del totale), seguita da Reggio calabria con 19026 ettari (24%), Catanzaro con 19026 ettari (21%), Vibo valentia con 6771 ettari (9%) e Crotone con 6247 (8%).
Un danno enorme visto che – come ha sottolineato lo stesso ISPRA – non possiamo più permetterci “neanche dal punto di vista strettamente economico, come ci indica la Commissione Europea, alla luce della perdita consistente di servizi ecosistemici e all’aumento di quei “costi nascosti”, dovuti alla crescente impermeabilizzazione del suolo che anche in questo Rapporto sono presentati al fine di assicurare la comprensione delle conseguenze dei processi di artificializzazione, delle perdite di suolo e del degrado a scala locale anche in termini di erosione dei paesaggi rurali, perdita di servizi ecosistemici e vulnerabilità al cambiamento climatico”. Costi maggiori – a causa di servizi ecosistemici non più assicurati da un territorio ormai artificializzato – che sono valutati tra i 600 e gli 900 milioni di euro l’anno.
Tra i rischi più gravi che una politica di eccessivo consumo di suolo agricolo può provocare troviamo la riduzione della capacità dell’assorbimento dell’acqua da parte dei terreni con conseguente aumento del rischio di frane e alluvioni ma anche appunto la dimunuzione di terreni agricoli in una regione che già prevalentemente montuosa e collinare riserva un non ampio spazio alle zone dove è possibile coltivare.
Dati che impongono dunque una riflessione e che -si spera – possano suggerire alla giunta e al Consiglio Regionale l’adozione di norme che garantiscano il consumo zero di suolo agricolo.