Tutto ruota intorno alla guerra di ‘ndrangheta tra la famiglia dei Patania di Stefanaconi, alleati della potente Locale di Limbadi, e il cosiddetto gruppo dei Piscopisani, a loro volta alleati con le articolazioni criminali emergenti di Vibo capeggiati da Andrea Mantella, da qualche anno collaboratore di giustizia. Una faida che tra il 2011 e il 2012 ha insaguinato i comuni dell’hinterland vibonese con una serie di omicidi e tentati omicidi. Secondo la ricostruzione dei giudici e le convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia esaminati nel corso del dibattimento, all’origine dei contrasti tra la famiglia Patania e i Piscopisani ci sarebbe l’omicidio di Michele Mario Fiorillo avvenuto il 19 settembre del 2011 su mandato di Fortunato Patania, marito di Giuseppina Iacopetta e padre dei fratelli Giuseppe, Salvatore, Bruno e Nazzareno Patania, per una questione legata a ripetuti sconfinamenti di confini. Per questo omicidio è stato condannato Francesco Cosimo Caglioti, deceduto in carcere. All’omicidio di Fiorillo ha fatto seguito due giorni dopo come immediata rappresaglia quello di Fortunato Patania, commissionato proprio dai Piscopisani. Da qui seguirono una serie di agguati come il tentato omicidio a Rosario Fiorillo, alias Pulcino, di Piscopio; Giuseppe Matina, alias Gringia, di Stefanaconi, Francesco Scrugli e Francesco Calafati. Prima e dopo questi fatti di sangue, nell’ambito della stessa guerra di mafia, sono stati commessi altri tre omicidi: quello di Giuseppe Matina avvenuto a Stefanaconi nel febbraio del 2012, quello di Francesco Scrugli commesso a Vibo Marina nel marzo dello stesso anno e quello di Davide Fortuna registrato in spiaggia in pieno giorno a Vibo Marina a luglio. Tre agguati mortali che gli inquirenti ascrivono ai Patania e che rappresenterebbero la reazione di costoro contro i mandanti e gli esecutori materiali dell’omicidio del loro congiunto. L’impianto accusatorio è basato su una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché sulle dichiarazioni fornite da diversi collaboratori di giustizia: Loredana Patania (moglie di Giuseppe Matina), Daniele Bono, i killer Beluli Vasvi (detto Jimmy) e Ibrahimi Arben (detto Alberto) assoldati dai Patania per commettere gli omicidi; Raffaele Moscato, Andrea Mantella e infine Nicola Figliuzzi.
In particolare, fondamentali si sono rivelate le dichiarazioni fornite nel corso del dibattimento da parte di Nicola Figliuzzi che ha confermato di aver partecipato al tentato omicidio di Francesco Scrugli e a quello di Francesco Calafati su mandato della famiglia Patania. Il collaboratore di giustizia ha indicato come figure titolari di poteri decisionali Salvatore, Giuseppe, Saverio e Nazzareno Patania, oltre che la madre di questi ultimi Giuseppina Iacopetta, la quale avrebbe ringraziato personalmente Beluli Vasvi per aver eseguito l’omicidio di Francesco Scrugli, ritenuto dalla famiglia di Stefanaconi come l’esecutore materiale dell’omicidio di Fortunato Patania. Lo stesso Figliuzzi ha confermato di essersi recato tre o quattro volte con Salvatore Patania a Nicotera Marina per parlare con Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, degli omicidi che si dovevano fare specificando di non aver personalmente assistito ai discorsi tra i due.
Quanto a Bruno Patania, il collaboratore di giustizia ha riferito un episodio in particolare: su ordine di Salvatore Patania aveva preso le armi custodite in un borsone che erano servite per il tentato omicidio di Calafati e le aveva messe nella macchina di Lo Preiato per essere portate presso la loro azienda. Per Figliuzzi, inoltre, Cristian Loielo non aveva voce in capitolo o potere decisionale ma eseguiva soltanto gli omicidi su ordine dei Patania. Nello specifico sarebbe l’esecutore materiale dell’omicidio di Giuseppe Matina commesso unitamente a Ibrahimi Arben. Figliuzzi consoceva Francesco Lo Preiato (cognato di Salvatore Patania) che aveva avuto il compito di recuperare gli esecutori materiali dell’omicidio di Giuseppe Matina e aveva partecipato agli appostamenti per l’omicidio di Franceso Scrugli rubando un’auto a San Costantino poi utilizzata per l’agguato contro Calafati.