Sta facendo più scandalo del film un primo articolo, poi “smentito” dopo appena tre giorni da un secondo articolo, pubblicati sul giornale dei vescovi italiani, Avvenire. Oramai son tutti pazzi per il twerking ballato dalle star Nicki Minaj a Serena Williams e all’italianissima Elettra Lamborghini che viene incoronata dai fans “Twerking Queen”. Su questo filone del ballo del Twerking, è stato proiettato il 19 agosto 2020 in Francia il film Mignonnes, meglio conosciuto con il titolo internazionale di Cuties e sottotitolo “Donne ai primi passi”.
Il film è una commedia drammatica, della regista debuttante franco-senegalese Maimouna Doucouré, nella quale è narrato il tentativo di una ragazzina 11enne di nome Amy, di origini senegalesi, che vuole emanciparsi unendosi ad una compagnia di danza di coetanee francesi, nel tentativo di allontanarsi dalla cultura della propria famiglia fatta di valori musulmani, con la madre in attesa del ritorno del marito poligamo che deve ricongiungersi, a breve, con la famiglia in Francia per celebrare il suo secondo matrimonio, nel mentre la madre di Amy la ammonisce, dicendole <Dove risiede lo spirito del male? Nel corpo delle donne nude>.
Ma una osservazione nasce spontanea: il ballo del Twerking ” proviene dalle danze tribali della Costa d’Avorio, mixando una danza del ventre, le cui movenze del lato b sono un vero e proprio rito sensuale e sessuale delle donne per invocare la fertilità. Con le deportazioni di schiavi in America il ballo arriva a New Orleans, portando quella cultura africana nei club, per le strade e, molto tempo dopo, in rete, spopolando con immagini sexy dei movimenti sensuali, primeggiando lo scuotimento di glutei.
In sostanza il film Mignonnes, ironia della sorte, non è altro che un ritorno subliminale alle origini tribali africane, nel mentre lo si vuol far passare come la trama per una emancipazione occidentale attraverso Amy, la bambina franco senegalese protagonista principale, che viene contraddittoriamente presentata come una bambina che lotta in famiglia per emanciparsi sul modello delle coetanee francesi. La critica si è limitata solo al tema della sessualità legato alla piaga della pedofilia, ma nessun cenno al fatto dell’integrazione nel rispetto delle religioni e delle culture tradizionali, lasciando passare il messaggio falsato e razzista, che il modello è quello laico di tipo occidentale/francese, e non quello religioso musulmano.
Il film è stato molto criticato con addirittura 600.000 firme raccolte denunciando la presenza di scene ed immagini che sessualizzano le ragazzine, favorendo la pedofilia. Con l’uscita il 9 settembre sulla piattaforma Netflix di film e serie tv in streaming, è bastato vedere il trailer per scatenare un’ondata di indignazione. Netflix, in una pessima campagna di marketing, differente da quella programmata per l’uscita in Francia, ha esaltato il tutto pubblicando foto sensuali ed ammiccanti delle quattro ragazzine 11enni protagoniste del film. In sostanza, è un bel film, ma per placare il pubblico, andava girato non con le 11enni ma con delle 18enni, atteso che non è un fatto vero che si racconta, bensì, la visone dell’adolescenza minorile che avrebbe voluto vivere la regista Maimouna Doucouré.
Tra le critiche segnaliamo anche un articolo sull’Avvenire, il quotidiano dei Vescovi Italiani, a firma di Massimo Calvi uscito domenica 13 settembre 2020 nel quale, in linea con la dottrina della Chiesa cattolica e gli ultimi pontificati che, della lotta alla pedofilia, ne hanno fatto una questione internazionale, afferma e scrive:<Il film ha ottenuto premi e riconoscimenti dalla critica, ma sotto attacco non è la storia in sé: è piuttosto la presenza di immagini e scene, anche nella stessa locandina, in cui non è difficile scorgere un processo di sessualizzazione delle bambine, con un codice estetico che sconfina nell’ammiccamento alla pedofilia. L’educazione in una comunità richiede un coinvolgimento personale e collettivo fatto della capacità di indicare la nota stonata, ma soprattutto di insegnare a riconoscere la bellezza autentica>.
Ma appena tre giorni dopo, sullo stesso quotidiano dell’Avvenire, a firma di Andrea Fagioli, esce la smentita correggendo il tiro e scrivendo un inopportuno assist a favore: <Il film della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré non ruota intorno a una «scandalosa sessualizzazione di adolescenti » né ovviamente «incentiva la pedofilia», come invece hanno scritto alcuni tra gli oltre 600 mila firmatari di una petizione contro il colosso della distribuzione di film e serie tv via internet>.
Prosegue Fagioli, e riteniamo sia in contraddizione con l’intervento dei 600.000 firmatari che sono padri e madri di famiglia <Il problema, quindi, non sono questi ragazzi che per certe cose crescono troppo in fretta senza avere la maturità sufficiente o le difese immunitarie necessarie. Il problema è il mondo che gli abbiamo creato intorno, con genitori assenti (tutte le ragazze hanno alle spalle famiglie complicate), con i social che ti spingono a credere di esistere e di essere qualcuno solo per il numero di like che ricevi, con la facilità con cui può accedere in internet a forme (in quel caso sì) di sessualità sbagliata e con il cellulare che diventa l’unico mezzo per creare uguaglianza. Tutto questo la regista lo mette bene in evidenza, anche se il film non può essere dato in pasto a tutti. Ma se letto correttamente e presentato bene, Mignonnes può diventare un film educativo>. (?)
Nel lungo articolo di Fagioli, ma anche in quello di Calvi, risaltano in entrambi l’assenza ad alcun richiamo ai temi sociali della Chiesa, alla funzione sociale della parrocchia, alla preghiera comunitaria, ad alcuna citazione di passi del Vangelo i cui spunti certamente non mancano per dare risposte chiare e con prese di distanze forti dalla strumentalizzazione su adolescenti, specie in questo film “duro molto duro” come lo definisce lo stesso Fagioli, in quanto contiene una serie di scene scomode, che sembrano sessualizzare e oggettivare sessualmente le ragazze. Insomma una botta al cerchio e una alla botte, mica non si può servire Dio e Mammona in tempi di ecumenismo a perdere.
Il tentativo di sdoganare la pedofilia è in atto da tempo, ma attenti a cascare nella rete dei pedofili perché dice il Signore <Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare>. (Mt-18,6)
Fortunatamente molte altre critiche al film si sono alzate forti e chiare, in seno alle istituzioni laiche. Ad esempio Christine Pelosi, figlia della portavoce ultra progressista della Casa Bianca Nency Pelosi ha dichiarato che Cuties: <Senza dubbio iper-sessualizza le ragazzine per la gioia dei pedofili come quelli che ho perseguito in carriera>. Addirittura, gli uffici dei procuratori distrettuali di Ohaio, Florida, Louisiana e Texas scrissero tutti a Netflix chiedendo la rimozione della pellicola. Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha emesso un Ordine Esecutivo nel dicembre 2017, dove classifica e persegue la pedofilia come reato contro l’umanità.
Secondo un rapporto dell’American Psychological Association (APA), si documenta che questi media sessualizzati possono avere effetti negativi sulle ragazze. Ad esempio, uno studio su ragazze giovani ha rilevato che l’esposizione a media sessualizzati è associata all’interiorizzazione di messaggi sessualizzati e all’insoddisfazione del corpo e, le ragazze sessualmente oggettivate, possono sperimentare molte conseguenze cognitive sulla salute negative, come difficoltà di concentrazione , bassa autostima, ridotta salute sessuale, depressione e disturbi alimentari.
Anche in molte altre pubblicità, troppe, si fa un uso sconsiderato di bambine semi nude, come ultimamente apparso su Sky in occasione della Mostra del Cinema di Venezia. Non si può sdoganare la pedofilia come se fosse una tendenza, ma rimane e deve rimanere un reato.