La Guardia di Finanza di Vibo Valentia ha notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla locale Procura della Repubblica nei confronti di 10 soggetti indagati, a vario titolo, per reati di bancarotta fraudolenta, in relazione al fallimento delle società “501 Hotel S.p.A”, “501 Hotel Gestione S.r.l.”, “Phoenices General Trade S.r.l.”, “Onda Verde Mare S.r.l.”, tutte facenti capo alla nota famiglia di imprenditori vibonesi dei Mancini.
Le indagini, dirette dal Procuratore della Repubblica, Camillo Falvo e dal Sostituto Procuratore, Concettina Iannazzo, eseguite dalla Sezione di polizia giudiziaria – aliquota G. di F. e dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Vibo Valentia – hanno preso in esame le procedure concorsuali che nel corso degli anni si sono concluse con la dichiarazione di fallimento delle società che avevano gestito importanti strutture ricettive della provincia vibonese (Hotel 501 di Vibo Valentia, Lido degli Aranci di Vibo Valentia, Acquapark di Zambrone).
Gli approfondimenti informativi ed investigativi hanno permesso di ricostruire una serie di operazioni societarie e finanziarie che hanno cagionato il dissesto delle società, mediante il drenaggio e la distrazione di ingenti risorse per un ammontare di 14.903.050 euro e la conseguente creazione di una massa fallimentare per un importo di 55.759.730 euro. All’esito delle attività di indagine è stato accertato che le condotte illecite commesse avevano avuto un unico filo conduttore individuabile nella gestione finalizzata al depauperamento delle risorse economiche, da parte dei deceduti cugini Giovanni Giuseppe Mancini (cl. ‘34) e Saverio Mancini (cl. 33), che possono essere considerati gli imprenditori di “prima generazione” del gruppo societario e successivamente dai rispettivi figli, i quali, unitamente agli altri amministratori, approfittando dell’omesso controllo da parte degli organi sociali reposti, hanno condotto al fallimento delle società.
Nel concreto, i noti imprenditori, che hanno spesso ricoperto ruoli all’interno delle società, in situazioni di conflitto di interessi, hanno sottratto e drenato ingenti disponibilità finanziarie dalle società, in seguito fallite, cagionandone il dissesto, mediante una serie di operazioni dolose quali, ad esempio la mancata registrazione di corrispettivi relativi ad eventi e ricevimenti, che venivano pagati in nero, che non confluivano nelle casse sociali; ricorrenti prelevamenti in contanti dai conti correnti delle società privi di giustificazione; l’arbitraria distribuzione di utili ai soci in contrasto con le delibere assembleari.
Le indagini hanno altresì permesso di dimostrare un costante prosciugamento delle risorse societarie mediante contratti di affitto di ramo di azienda a canoni non congrui o altri contratti anomali, stipulati esclusivamente al fine di documentare “cartolarmente” l’effettuazione di servizi che in realtà non venivano prestati.
Parallelamente a tali operazioni, le scritture contabili delle società venivano tenute con modalità tali da non rendere possibile o comunque ostacolare la corretta ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. E’ stata anche accertata una responsabilità dei componenti del collegio sindacale, i quali avevano l’obbligo, di fatto disatteso, di vigilare affinché non si verificasse la mala gestio e la distrazione di risorse economiche da parte degli amministratori.
Le indagini svolte, lunghe, complesse ed articolate, nell’ambito del procedimento penale, concluso a distanza di anni dalle dichiarazioni di fallimento delle società coinvolte, rappresentano una chiara testimonianza della massima attenzione e determinazione che l’Autorità Giudiziaria e la Guardia di Finanza pongono in essere al fine di contrastare le forme di illegalità che minano il corretto funzionamento dell’economia legale, alterando le regole di libera concorrenza del mercato.