Alessandro Politi, Direttore della Nato Defense College Foundation, ha tenuto una lezione dal titolo “L’intelligence Italiana e l’Alleanza Atlantica” durante il Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Alessandro Politi ha esordito affermando “che è indispensabile conoscere la storia d’Italia e per farlo è necessario togliersi le lenti ideologiche e non avere la convinzione che la storia del nostro Paese non sia interessante. È indispensabile per capire da dove veniamo e chi veramente siamo, evitando di essere schiacciati in un perenne presente”.
“Dall’Unità d’Italia – afferma Politi – e successivamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia è sempre stata una frontiera a rischio, specialmente durante quella che chiamiamo Guerra Fredda e che in realtà è stata la Terza Guerra Mondiale per chi non era coperto dalla deterrenza nucleare”.
I servizi segreti italiani nascono con una doppia impronta: militare soprattutto, ma anche collegata al Ministero dell’Interno. Durante il regime fascista proliferarono seguendo la ricorrente logica del “divide et impera” e con l’armistizio si scissero nelle due realtà lungo le linee presidiate dagli occupanti tedeschi.
Nel dopo guerra per i paesi vincitori e sconfitti si pone il problema di come rapportarsi con i sistemi precedenti e soprattutto con i vecchi fascisti e nazisti, tra cui i collaborazionisti di Vichy e i “volenterosi” carnefici di Hitler. La soluzione è l’opposto di quanto si è fatto disastrosamente in Iraq, mettendo fuori legge e fuori occupazione un’intera classe dirigente collegata al Ba’ath: allora si punirono i principali colpevoli, si fecero epurazioni più o meno rigorose e poi si riciclò il resto.
Ad esempio, la Germania, ed i suoi occupanti americani, accreditano Reinhard Gehlen, un generale della Wehrmacht attivo sul fronte orientale, come organizzatore del servizio da cui nascerà l’attuale BND tedesco. Gli israeliani, dopo il processo Eichmann, lasceranno al privato Simon Wiesenthal la caccia ai criminali di guerra nazisti, ma non esiteranno a stringere accordi segreti con Otto Skorzeny (un fedelissimo di Hitler, autore dell’esfiltrazione di Mussolini da Campo Imperatore nel 1943, dichiarato dalle autorità tedesche denazificato nel 1952) per assassinare gli scienziati tedeschi che lavoravano alla costruzione di missili in Egitto.
L’Italia è ovviamente nella sfera d’influenza occidentale il che la pose al riparo tanto dalle mire espansionistiche di Tito, l’allora presidente assoluto della Jugoslavia, quanto dal progetto di una rivoluzione armata comunista, secondo precisi avvertimenti del generalissimo dell’URSS, Iosif Stalin, al capo del PCI, Palmiro Togliatti, sul fatto che non vi sarebbe stato nessun sostegno ad una presa di potere violenta. Come confermó il mancato apporto all’insurrezione comunista in Grecia del 1946-1949 che non ebbe alcun esito. Per questo nasce la svolta di Salerno del 1944 con la quale il PCI accetta le regole del gioco democratico. Tuttavia, nel 1951, ha ricordato Politi, la CIA promuove il piano “Demagnetize”, fratello di un analogo piano in Francia, volto a ridurre, con una vasta gamma di mezzi, l’influenza del più grande partito comunista dell’Occidente.
Assieme al timore di un ingresso dei partiti comunisti nel governo, c’è anche la predisposizione di reti di resistenza (stay behind) nei paesi più direttamente minacciati da una possibile invasione sovietica, su iniziativa della CIA e poi in coordinamento tra paesi alleati NATO. Le diverse rivelazioni nel dopoguerra fredda mostrano quasi regolarmente un forte coordinamento statunitense, ma anche un utilizzo più o meno aderente al mandato da parte dei singoli governi nazionali, come per esempio la struttura di stay-behind in Grecia che ebbe un ruolo nel colpo di stato dei colonnelli.
Non è quindi una sorpresa che, creato nel 1948 l’Ufficio Affari Riservati del Viminale, cui affidare gran parte della sicurezza interna e della sorveglianza politica, ed istituiti nel 1949 il SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate, 1949) ed i SIOS di forza armata (Servizio Informazioni Operative e Situazione), con compiti sia militari, controspionaggio, tecnico-militari che di sicurezza interna, emergessero dirigenti e personale con precedenti esperienze nei servizi segreti fascisti.
Era anche evidente che si ponesse un problema di doppia (e talvolta ambigua) lealtà allo stato italiano verso la dimensione atlantica oppure quella comunista internazionale a guida sovietica. Altrettanto chiara era l’influenza statunitense politica ed operativa nelle nuove strutture d’intelligence, con connivenze politiche nazionali più o meno esplicite.
È importante precisare, sullo sfondo di tutta la letteratura dietrologica del dopoguerra, che la NATO non ha mai avuto una sua struttura d’intelligence perché è sempre stata fornita dai paesi alleati sulla base delle loro esigenze di sicurezza nazionali. Anche l’attuale Joint Intelligence and Security Division, nata nel 2017, ha funzioni di analisi, fusione e valutazione, ma non di raccolta d’informazioni. Quindi è necessario durante la lunga stagione della Terza Guerra Mondiale distinguere tra relazioni bilaterali, relazioni tra l’Italia e gruppi di grandi paesi occidentali che si ritenevano più affidabili (che naturalmente erano in costante contatto dentro e fuori la NATO) e relazioni strettamente NATO.
Non va dimenticato che la NATO nasce come un coordinamento militare leggero, per dotarsi solo successivamente e con gradualità di tutte le strutture che oggi conosciamo.
“Nel frattempo l’Italia – dice ancora Politi – ha avuto anche la capacità di assorbire tre diversi tentativi di secessione (Sicilia-EVIS, Alto Adige-BAS e Padania) con un mix di azioni di sicurezza e soprattutto di negoziato politico pubblico ed occulto. In aggiunta a specifiche concessioni politiche (per esempio il bilinguismo totale in Sudtirolo), la modulazione dell’autonomia regionale è stata una carta fondamentale, oltre all’abile screditamento dei vertici separatisti”.
In un clima politico così teso, è chiaro che le tentazioni di svolte autoritarie o comunque le pressioni indirette sulle sinistre furono ripetute e persistenti. La strage di Portella della Ginestra (1947, banda Giuliano) inaugura la lunga stagione di attacco violento alle sinistre.
Successivamente, il generale de Lorenzo, già direttore del SIFAR, presentò nel 1964 al presidente della repubblica il “Piano Solo”, per l’emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico che prevedeva la rapida incarcerazione dei principali dirigenti di sinistra per aprire la strada ad un governo del presidente. La questione si risolse politicamene dopo un duro scontro fra il presidente del consiglio Aldo Moro ed il presidente Antonio Segni, che si dimise per ragioni di salute e mediaticamente nel 1967 con le rivelazioni giornalistiche sul piano. Operativamente si trattò, più che di un tentativo di colpo di stato, di un’intentona, parola spagnola per indicare un tentativo di golpe il cui vero scopo è inviare un messaggio esplicito alle forze d’opposizione. Lo stesso schema fu ripetuto con il “golpe Borghese” (1970), di cui il nuovo servizio SID (Servizio Informazioni Difesa) aveva dettagliata conoscenza.
“Il 1974 in Italia – ricorda ancora Politi – fu l’anno del cosiddetto “golpe bianco”, di Edgardo Sogno, che proponeva una Repubblica Presidenziale. non prevista dalla Costituzione. Edgard Sogno venne arrestato dal giudice istruttore di Torino, Luciano Violante, che sollevò la questione del segreto di Stato davanti alla Corte Costituzionale. A seguito della sentenza della Suprema Corte, il Parlamento Italiano approvò la prima legge per regolare il Segreto di Stato e per organizzare i Servizi”.
“Molto spesso – ha affermato Politi- nelle vicende che hanno riguardato il nostro Paese si è parlato, soprattutto in certi periodi storici, di Servizi segreti deviati che esondano dai compiti loro assegnati. Ma così facendo non vengono però mai individuate le eventuali responsabilità politiche, poiché ogni vicenda ed ogni colpa finisce per ricadere sui Servizi segreti”.
Eventi recenti e passati, suggeriscono in tema di responsabilità del controllo sui servizi d’informazione e sicurezza di affrontare un aspetto specifico che possiamo chiamare il “ManchurianCandidate”. In due film statunitensi (1962 e 2004) si racconta la storia di un prigioniero di guerra che ha subito un lavaggio del cervello e che diventa un presidente eterodiretto. L’esperienza fa vedere che le cose avvengono in modo meno spettacolare ma non meno inquietante.
A differenza di un agente d’influenza, il candidato manciuriano non ha un vero agente ostile di controllo, ma è direttamente in presa con chi rappresenta interessi non nazionali, compiendo una vera e propria cattura, sovversione e svuotamento dello stato dall’alto. In questi casi è necessario avere saldi principi, consapevolezza politica e lavorare silenziosamente per limitare e neutralizzare il più possibile questa nefasta influenza. Oggi peraltro il reclutamento di candidati manciuriani non è appannaggio solo degli stati, ma anche di multinazionali criminali e potenti gruppi d’interesse transnazionali, il che mostra le grandi vulnerabilità delle democrazie del XXI secolo.
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