“Se ad un popolo rubano le parole, quel popolo è morto”.
Questa è una delle frasi del libro di Gioacchino Criaco.
Il custode delle parole è una storia di identità e forti radici che sfidano il futuro, richiamandoci alla responsabilità di prenderci cura di ciò a cui sentiamo di appartenere: un amore, una montagna, una storia.
Un libro che diventa manifesto politico per la Calabria, da anni oltraggiata, vilipesa, venduta e svenduta.
Tutti i calabresi si dovrebbero, in particolare soffermare sulle pagine 112 e 113 del libro. Dovrebbero riflettere e agire, ribellarsi prima che sia troppo tardi, tardi anche per pregare.
Protagonista del libro è Andrìa Amèroto, della stirpe dei piciari che chiedevano la pece ai pini larici rivestiti della grazia divina, nipote di Andrìa Amèrotu che da solo era tutto un esercito di liberazione, figlio del libeccio berbero e dell’Asprovunì, la Grande Madre Bianca.
Andrìa ha quasi trent’anni, vive ai piedi dell’Aspromonte e trascorre pigramente le sue giornate tra il lavoro in un call center e le gite al mare con la fidanzata Caterina. Non ha ancora trovato la propria strada – la Calabria è una terra che divora i desideri e le aspirazioni –, ma sa di non voler fare il pastore come il nonno, di cui porta il nome. Nonno Andrìa, custode di un mondo antico e di una lingua, il grecanico, che stanno per sparire ingoiati dalla modernità, ne vorrebbe fare il proprio erede, ma il giovane Andrìa ha paura. Paura di quelle montagne, della solitudine angosciante che si annida tra i boschi di cui conosce i rituali e i sussurri ma non riesce a sentirsi parte, così come non riesce a capire l’ostinazione del vecchio a combattere con ogni mezzo, lecito o no, le speculazioni che continuano a fare scempio di quel territorio.
Trattenuto nella Locride soprattutto dall’amore per Caterina, la sua vita cambia il giorno in cui salva dall’abbraccio mortale dello Jonio un giovane migrante dopo il naufragio di un gommone: Yidir arriva dalla Libia, e anche lui sta cercando un futuro possibile. Quando il nonno prende clandestinamente Yidir con sé come aiutante pastore, qualcosa scatta dentro Andrìa: pian piano si riavvicina a quell’ambiente che prima lo spaventava tanto, scoprendo la storia profonda di molti popoli le cui culture hanno stretto un legame inscindibile, e la bellezza selvaggia dell’Aspromonte. In quel luogo dove la magia è ancora possibile, Andrìa accetterà finalmente il destino che è chiamato a compiere.
Il custode delle parole è, anche un canto per l’Aspromonte: «Questa terra, l’Aspromonte, sa d’Oriente e d’Africa insieme, un profumo che ha intriso la carne, ed è inutile che la scuoino, il suo odore resterà per sempre, dovessero scarnificarla fino al centro del pianeta: anche lì sentirebbero nelle narici l’aroma selvaggio di un corpo che non s’arrende, che coverà guerra fino a quando una sola delle nostre parole resisterà. Il Sud è seme racchiuso nell’ambra primordiale, in grado di germogliare a distanza di milioni di anni. Si rassegnino le cavallette, prima o poi arriverà qualcuno a fare l’impresa memorabile. A ristabilire un’armonia generata dal cielo.»
Lo stile del libro è lirico, è spesso la prosa diventa poesia, diventa canto.
Un canto per le parole che racchiudono l’anima di un popolo, per il grecanico, fortunatamente ripreso, negli ultimi anni, nell’area della Bovesìa: « “Egò gapào, io dico così a nonna, e so di dirle che sono perso in lei, e lei sa che le sto dando le chiavi della mia vita e il potere di annientarla in qualunque momento. Non glielo potrei dire con un ti vogghiu beni, e neppure con un ti amo. (…) Le nostre parole sono nate nelle gole di ognuno dei popoli che è arrivato in questo rifugio degli dèi, devono raccontare il passato, farci vivere il presente e darci ali di drago per raggiungere il futuro.»
Un libro importante di un grande scrittore, di cui tutti i calabresi dovremmo essere orgogliosi.
Gioacchino Criaco è nato ad Africo. Ha esordito nel 2008 con il romanzo Anime nere, da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Francesco Munzi, vincitore di nove David di Donatello e di tre Nastro d’argento. In seguito sono usciti i romanzi Zefira (2009), American Taste (2011) e, per Feltrinelli, Il saltozoppo (2015) e La maligredi (2018). Nel 2020 per Rizzoli Lizard ha pubblicato il romanzo illustrato L’ultimo drago d’Aspromonte.
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