Intelligence, Francesco Sidoti al Master dell’Università della Calabria: “La morale mite dell’intelligence”.

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“Morale e metodo nell’intelligence” è il tema della lezione tenuta da Francesco Sidoti, Professore Emerito dell’Università dell’Aquila per le discipline di Sociologia e Criminologia, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

Sidoti ha iniziato ad affrontare il rapporto con la morale, sottolineando la rilevanza dell’argomento in generale e nell’intelligence in particolare. In proposito ha rilevato che siamo in presenza di una letteratura sterminata, nella quale brilla un testo scritto nel 1996 da Umberto Eco, l’intellettuale italiano più rispettato e acclamato dell’Italia repubblicana: “Lo spionaggio è una cosa brutta, ma Machiavelli insegna che il Principe, per il bene dello Stato, deve talora fare anche delle cose brutte. Inoltre i servizi segreti hanno un’altra caratteristica. Siccome debbono trovare non solo dei coraggiosi che si infiltrino, ma anche dei delinquenti disposti a tradire i loro complici (e quindi delinquenti doppi), hanno di solito a che fare con gentaglia. Nessuno deve scandalizzarsi: ogni questura usa degli informatori che si vendono per quattro soldi e non si può pretendere che chi si vende per quattro soldi sia un gentiluomo. Chi ha a che fare con gentaglia, o ha una solida moralità e nervi saldissimi (come si richiede per esempio a un esorcista che parla col Diavolo ogni giorno) oppure è soggetto a molte tentazioni ovvero deviazioni”.

All’epoca, a parlare dello specifico mondo morale dell’intelligence, Umberto Eco non era per niente isolato. Altrove da lungo tempo c’era in corso un tormentato dibattito. Negli Stati Uniti, a proposito dell’equilibrio mentale e morale di chi lavora in strutture che per dovere istituzionale si dedicano a coltivare l’analisi della doppiezza, del sospetto, dell’ambiguità, della clandestinità, del la-realtà-non-è-quel-che-appare, nel classico volume di Marchetti e Marks, “La CIA e il culto dell’intelligence”, pubblicato nel 1974, è stato osservato: “Sebbene non esistano statistiche in materia, sembra che nell’atmosfera satura di tensione della CIA gli esaurimenti nervosi siano più frequenti che altrove. Forse proprio per questo l’agenzia tende ad avere verso i problemi della salute mentale e la terapia psichiatrica un atteggiamento più aperto di quello dell’uomo della strada. Nei servizi clandestini l’esaurimento nervoso è considerato una specie di rischio professionale. Parecchi alti funzionari hanno sofferto di esaurimento nervoso mentre lavoravano ai Servizi clandestini”.

Osservazioni ancora più inquietanti – prosegue Sidoti – si ritrovano successivamente in George Bush senior e in vari altri, fino ai giorni nostri: il 15 aprile 2019, Mike Pompeo ha pubblicamente detto:
“Qual è il motto dei cadetti a West Point? Non mentirai, non imbroglierai, non ruberai e non tollererai coloro che lo fanno. Ero il direttore della CIA. Abbiamo mentito, abbiamo imbrogliato, abbiamo rubato. (Risate.) È – era – come se avessimo frequentato interi corsi di formazione. (Applausi.) Ti ricorda la gloria dell’esperimento americano”.

La citazione è tratta dal sito ufficiale del Dipartimento di Stato.

Per il docente, il tema morale è stato approfondito nel mondo dell’intelligence molto prima che esplodesse nella percezione comune e diventasse centrale nelle guerre di opinione, fino agli odierni estremi della “cancel culture” e della “woke culture”. Basti pensare che l’Ethics and Public Policy Center è stato fondato a Washington D.C. nel lontano 1976.

Nel corso del tempo, soprattutto nelle società democratiche gli operatori di intelligence sono stati spesso accusati di non avere una morale, o, tutt’al più, di averne una del tutto particolare.

Il docente ha chiarito innanzitutto che il termine “morale” non deve essere riferito a un complesso di esortazioni edificanti, in una visione che vede frontalmente contrapposti bene e male. Per alcuni l’etica, nel nostro Paese, è considerata un espediente fumoso. Per una sorta di pregiudizio, conseguenza di una storia lunga, da Machiavelli in poi, e per un’attualità controversa.

Distinto dall’uso comune, il termine morale ha un significato specifico nella letteratura sociologica, con opere miliari come quella di Sumner. In proposito, Sidoti ha ricordato che esiste una trattazione parallela nella letteratura giuridica, che ha portato all’elaborazione di teorie, che, sulla base di Santi Romano, affermano l’esistenza di una pluralità di ordinamenti giuridici.

Tra questi, quelli riconducibili alla mafia, alla chiesa, alla massoneria, e così via. Si tratta di organizzazioni tutte caratterizzate da regole specifiche e ordinamenti morali diversi.

Di fatto, esiste indubbiamente una molteplicità di ordinamenti giuridici, e tutti rinviano a una molteplicità di mondi morali. Storicamente, così evidentemente è per quanto riguarda “i libri sacri del diritto”, dal Corpus iuris civilis al Code Civil, dalla Magna Charta Libertatum al Bill of Rights.

A differenza delle macchine e degli animali, per il docente, gli esseri umani obbediscono a istruzioni che non sono determinate dall’istinto o da un programma: i comportamenti umani sono profondamente influenzati da un insieme di regole giuridiche e morali, esterne e interne alla persona, sottoposte a dibattito e a critica.

Questa considerazione ha un rilevante significato pratico e concreto, rappresentando la prima pietra su cui fondare la successiva costruzione. “Il nostro mondo morale – ha argomentato – non è tanto rilevante per quanto riguarda il comportamento nella vita quotidiana, che ubbidisce spesso a logiche meccaniche oppure utilitaristiche e di convenienza, ma assume una valenza specifica nelle situazioni strategiche, nelle quali si delineano le nostre scelte più significative”.

Sidoti ha proposto un altro esempio: anche il mafioso ha un suo specifico mondo morale, spesso molto intenso e complicato. Anche una persona che agisce contro la morale ha in realtà una sua morale. Lo stesso ragionamento si può fare per il terrorismo e per vari altri casi.

In tal senso, per comprendere meglio il termine “morale” occorre considerare la parola latina “mores” e il senso specifico del “mos maiorum”, che faceva originariamente riferimento a una divisione e a una contrapposizione: i mores degli antichi contrapposti a quelli dei moderni. Possiamo tradurre questa parola antica con il termine “costume”, ma ha un contenuto molto più intenso, dal punto di vista cognitivo e comportamentale.

Per Sidoti, un’implicazione è evidente: la legge stessa è conseguenza di imperativi di ordine morale e se questi imperativi sono diversi la legge stessa può essere differenti e le conseguenze pratiche sono dissimili.

Il nostro mondo morale interiore non è soltanto la base dei nostri valori e delle nostre preferenza ideali: è la base delle nostre scelte pratiche; ci comportiamo in un modo o in un altro perché ci conformiamo, più o meno coscientemente, al mondo morale che abbiamo interiorizzato.

Su questo c’è una letteratura immensa, che parte dai classici dell’età romana e arriva a Pareto, Weber, Durkheim, Parsons. I classici della sociologia hanno trattato l’argomento per centinaia e centinaia di pagine, mostrando la sua rilevanza pratica e concettuale, come per esempio, la distinzione tra legalità e legittimità.

Nel campo dell’intelligence – secondo il docente – esiste una specificità del mondo morale, che può essere esemplificata attraverso il riferimento a due temi: tradimento e verità.

La ricerca della verità può essere intesa in maniera semplicistica. Non è così nel mondo dell’intelligence, distintivamente interessata alla manipolazione della verità. Infatti, oltre che informazione, c’è disinformazione, controinformazione, falsificazione, intossicazione, propaganda, e così via.

Nell’intelligence, la verità raramente è limpida, per l’argomento in sé e perché, come spiega una vasta letteratura scientifica, in ognuno di noi il bisogno di coerenza cognitiva si misura costantemente con fenomeni di arousal, di selective exposure e di social loafing: siamo strutturalmente dotati di un apparato cognitivo pigro e debole, poichè spesso selezioniamo artificiosamente i segnali e li deformiamo inconsapevolmente, per cercare la via maestra della deresponsabilizzazione.

La presunzione e la volontà di potenza – ha spiegato – sono sempre in agguato. Il problema del metodo ha rilevanza specialmente se confrontato con l’immane rumore di fondo che è tipico della nostra epoca.

Per intendere in pieno il concetto, bisogna fare attenzione alla sua definizione nella teoria dell’informazione: il rumore è un segnale che disturba l’elaborazione dei dati in una percezione e in un sistema decisionale.

Il rumore di fondo è una somma di oscillazioni irregolari, talvolta intermittenti e talvolta casuali. Dal punto di vista fisiopatologico, è un suono indesiderato e fastidioso, che altera il razionale procedere della mente. Il punto è stato sottolineato da D. Kahneman, O. Sibony, C. R. Sustain, in “Rumore. Un difetto del ragionamento umano”, pubblicato nel 2021.

In particolare, per Sidoti, nell’intelligence il concetto di verità si inserisce nel rumore dominante ed è specifico: l’investigazione cerca la verità; ma questo per l’intelligence è troppo poco: spesso l’intelligence in un certo senso crea una verità oppure la nasconde. Questo non avviene sempre, ma in casi qualificati e determinanti, come insegnano la storia del controspionaggio e della disinformazione.

Pure la questione del tradimento può essere intesa in maniera semplicistica: per un verso indurre al tradimento appare una pratica necessaria per acquisire informazioni privilegiate dalla controparte; per altro verso le strutture di intelligence hanno il dovere di pensare al tradimento come qualcosa che può verificarsi tra le proprie fila.

Più in generale, l’attenzione alla doppiezza può portare allo sdoppiamento, e il comprendere le ragioni degli altri può portare all’immedesimazione, come nel celebre aforisma di Nietzsche: “Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”.

Il docente ha poi ricordato che, da Eschilo in poi, quinto secolo avanti Cristo, si dice che nelle guerre la prima vittima è la verità. E l’intelligence è costantemente sul piede di guerra.

Dal punto di vista morale si può affermare che il mondo dell’intelligence sia caratterizzato da un gioco di ombre e di specchi in cui la manipolazione dei fatti assume un ruolo fondamentale sia in termini di difesa dei propri interessi che di penetrazione nel mondo della controparte.

In riferimento all’ambito della verità, un’altra importante questione esaminata durante la lezione ha riguardato la differenza tra investigazione e intelligence.

L’investigazione interviene successivamente agli accadimenti, per cui ha il compito di ricostruire, per quanto possibile, la verità storica. Al contrario, l’intelligence intende prevedere i fenomeni, per anticipare decisioni, prospettive, contrasti. Soprattutto, è in rilievo la costruzione di verità alternative.

Per Sidoti, ancora più problematiche appaiono le interazioni che possono avvenire nel Deep State, oggi impropriamente inteso come sinonimo di “Estabilishment” o di “Élite al potere” o di “governo invisibile”, e così via.

Il docente ha ricordato che l’espressione “Deep State” nasce in Turchia, quando per un tragico incidente stradale, alla periferia di Susurluk, furono ritrovati insieme, nella stessa vettura, i corpi di persone ai vertici dello Stato, della politica e della mafia, rivelando il collegamento tra esponenti delle istituzioni e del mondo del crimine.

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