La luna e i falò di Cesare Pavese, Universale Economica Feltrinelli/Classici

Nessun commento Share:

La luna e i falò è  considerato il capolavoro di Cesare Pavese  scrittore piemontese, dove sono riassunte  tutte le tematiche a lui  più care : mito, paesaggio rurale, ricerca delle origini e distruzione portata dalla guerra.

Pregna di significati è una frase riportata nel libro: ”Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

L’autore  nel  libro narra  la storia di un uomo  chiamato  Anguilla che, dopo aver vissuto molti per anni in America e fatto fortuna, ritorna al borgo natio, sulle colline delle Langhe alla ricerca dell’ infanzia perduta

Anche se Pavese  non scrive  il nome del paese, lo possiamo identificare con Santo Stefano Belbo.

Il protagonista è spinto a tornare dalla nostalgia per la sua terra di origine. Anguilla aveva lasciato l’Italia prima dell’inizio della guerra, dopo essere entrato in contatto con gli ambienti antifascisti durante il servizio militare.

Il racconto parte dai primi momenti della vita di Anguilla, che viene abbandonato di fronte all’ingresso del Duomo di Alba e adottato da una famiglia molto  povera, composta da Padrino, Virgilia e le loro due figlie.

Adottandolo la famiglia, riceve  cinque lire offerte dallo Stato per il suo mantenimento.

Anguilla trova così un primo equilibrio, che però viene rotto nel momento in cui muore Virgilia, la madre adottiva.

In seguito una grandinata distrugge la vigna,che rappresentava l’ unico mezzo di sostentamento della famiglia, e Padrino è costretto a vendere il luogo dove vivono, la cascina della Gaminella.
Dopo il matrimonio delle due figlie, Padrino viene abbandonato al suo destino e costretto a chiedere l’elemosina sulla strada, fino alla morte.

Inizia così un altro capitolo della vita di Anguilla, che va a lavorare presso la fattoria dei Mora, gestita da Sor Matteo, diventando amico delle  figlie Irene, Silvia e Santa.
A questo punto la narrazione del romanzo si sposta  tornando al presente.

Nel solco  di questi ricordi Anguilla va a visitare la cascina della Gaminella e scopre che ora è abitata da Valino, un contadino violento, e dalla sua famiglia, tra cui membri c’è un ragazzo zoppo di nome Cinto.
Anguilla prende a cuore Cinto, che gli ricorda lui stesso da giovane, e instaura con il ragazzo un rapporto paterno.
Arriva però un’altra tragedia: in un eccesso d’ira Valino uccide la famiglia, dà fuoco alla cascina della Gaminella e si suicida. Cinto riesce a salvarsi scappando da Anguilla e Nuto.

In seguito Anguilla viene anche a sapere che Silvia e Irene, due delle figlie di Sor Matteo, sono morte, e che la terza è stata giustiziata dopo aver lavorato come spia sia per i tedeschi che per i partigiani durante la guerra.
Nel finale, Anguilla affida Cinto a Nuto e decide di ripartire e non tornare mai più nel paese.

Nel romanza è presente anche il tema della guerra partigiana, che lo scrittore aveva già trattato nel romanzo “La casa in collina”.

Gli effetti distruttivi del conflitto, pavese ce li fa conoscere attraverso i ricordi di Nuto.

Pavese, attraverso la guerra descrive la sua visione del mondo, dominato dalla distruzione e condannato alla tragedia.

La luna e i  falò  è  una delle ultime opere dello scrittore, che morirà suicida nell’agosto del 1950 ed è  dedicato  a Constance Dowling, l’ultimo amore di Pavese.

Constance era un’attrice statunitense con la quale Pavese ebbe in quegli anni una relazione finita bruscamente per volontà di lei.

E anche questo contribuì ad aumentare la disperazione e la disillusione di Pavese negli ultimi mesi della sua vita.

A Constance Dowling Pavese dedicò anche la struggente poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.

Ricordiamo che anche la Calabria è legata a questo grande scrittore perché quando fu accusato di antifascismo, arrestato e incarcerato dapprima alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma e, in seguito al processo, venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone dal  4 agosto 1935 al 15 marzo del 1936. L’esperienza in Calabria si riversa in molte delle sue opere e soprattutto, nel suo primo romanzo: “Il carcere”.

Condividi questo Articolo
Previous Article

Sabato 30 settembre  a Cosenza, alle 19.30, presso il  Centro Polifunzionale, si terrà il Premio Cassiodoro, giunto alla 20esima edizione. Il premio chiude la Settimana della Cultura Calabrese, fortemente  voluta e guidata dall’editore Demetrio Guzzardi.

Next Article

Prima estate senza l’atavica crisi idrica grazie ad un primo pozzo attivato. Sopralluogo del sindaco Biasi: Scelta indovinata che ci consente maggiore autonomia, sempre più efficienza ed un evidente risparmio

You may also like