L’80° anniversario della strage di Cefalonia e Corfù sarà ricordato giovedì 5 ottobre con inizio alle ore 16,45 presso la sala Giuffrè della Villetta De Nava nel corso di un incontro promosso dall’Associazione Anasilaos congiuntamente con la Biblioteca De Nava e patrocinato dal Comune di Reggio Calabria e dalla Deputazione di Storia Patria per la Calabria. Interverranno l’Assessore Irene Calabrò, il Prof. Giuseppe Caridi, la Dott.ssa Daniela Neri, gli storici Antonino Romeo, Carmelo Covani e Fabio Arichetta della Deputazione. I nomi di tutti i 109 Reggini caduti in quella strage, 10 ufficiali e 99 tra sottufficiali e soldati, resi al momento noti dalla ricerca di Covani, saranno letti ad inizio della manifestazione quale atto di estremo omaggio e ricordo in attesa che un cippo, che l’Associazione Anassilaos si propone di realizzare, ne ricordi per sempre sul Lungomare Falcomatà la memoria. L’eccidio di Cefalonia e Corfù fu un crimine di guerra compiuto da alcuni reparti dell’esercito tedesco a danno dei soldati italiani della “Divisione Acqui”, presenti su quelle isole alla data dell’armistizio dell’8 settembre 1943, che sanciva la cessazione delle ostilità tra l’Italia e gli Anglo-Americani. All’indomani dell’armistizio, la Divisione Acqui di stanza nelle due isole, alla richiesta dei tedeschi, si rifiutò di cedere le armi. Ne derivò un’aspra battaglia protrattasi dal 15 al 22 settembre, giorno in cui una violentissima offensiva di terra e di aria tedesca, dopo una eroica resistenza dei nostri soldati, si risolse con la sconfitta. A seguito dell’ordine diretto di Hitler secondo il quale non avrebbero dovuto esserci prigionieri tra i “traditori” italiani, gli ufficiali e i soldati, catturati durante gli otto giorni di battaglia furono trucidati dai soldati tedeschi. Questo “modus operandi” della Wehrmacht si ripetè molte volte nei giorni a seguire. Solo ad alcuni dei nostri soldati fu possibile dare una degna sepoltura: i corpi straziati dei rimanenti ragazzi (circa il 50% dei caduti di Cefalonia aveva meno di 22 anni), furono sepolti sommariamente in fosse comuni o dati a fuoco dopo essere stati cosparsi di benzina. La mattanza, però, non era ancora finita, il 24 settembre 129 ufficiali, catturati durante le battaglie dei giorni precedenti e non subito fucilati, furono portati alla famosa “Casetta Rossa” presso punta San Teodoro, a sud dell’isola, e qui a quattro o a sei alla volta, fucilati senza alcuna pietà. Le salme di questi, unitamente a quelle di altri sette ufficiali prelevati l’indomani, giorno 25, dal 37°ospedale da campo, furono gettate in due fosse naturali nei pressi della casetta. Nelle notti del 27 e 28 settembre, queste salme vennero riesumate, con l’aiuto di diciassette marinai italiani, caricate su un pontone della marina da guerra tedesca, e dopo essere stati legati tra di loro con filo spinato, gettate nelle acque al largo dell’isola di Vardiani. Successivamente vennero passati alle armi anche i ventisette marinai che erano stati testimoni della barbarie. Alla fine si contano, tra le battaglie e le fucilazioni, circa 300 ufficiali e 3000 soldati caduti. La tragedia senza fine della Divisione Acqui, non finisce a Cefalonia. I soldati superstiti di questi massacri, circa 7500, nei giorni successivi furono caricati su delle navi carrette destinate ai porti greci e dai porti greci ai treni con destinazione ai campi di prigionia in Polonia e in Russia. Delle prime quattro navi partite dalle isole di Cefalonia e Corfù, tre furono affondate causando circa 3000 morti tra i nostri soldati; le motonavi Ardena e Marguerita incapparono in acque minate in prossimità delle coste di Cefalonia; la Mario Rosselli, partita da Corfù, fu colata a picco dal bombardamento di aerei alleati che non conoscevano il suo carico umano. Giunsero nei campi di prigionia dell’est Europa circa 6000 sopravvissuti, tra Cefalonia e Corfù. Dal censimento fatto nell’ottobre del 2015 dall’Associazione Nazionale Divisione Acqui è risultato che sono tornati in patria solo 4439 reduci dai campi di prigionia, ne consegue che circa 1500 nostri giovani soldati perirono di stenti nei campi di prigionia tedeschi. L’8 settembre 1943 a Cefalonia e Corfù erano presenti circa 11500 nostri soldati, ne tornarono a casa solo 4439.
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