“U violedu”(Il viottolo di campagna)

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“U violedu”, non è altro che una stradina di campagna, che al borgo natio si trovava in mezzo agli uliveti.

Percorrere il “violedu”, per me rappresentava un’esperienza quasi magica.

D’inverno dopo la pioggia, il profumo della terra e degli ulivi  ti avvolgeva in un morbido abbraccio, d’estate il profumo dell’erba fresca e dei fiori;  a primavera il profumo  delle pratoline e dei fiori d’arancio, in un altro “violedu” che si trovava  nel podere di nonno Ferdinando, in autunno il profumi  dei “chiodini”, i funghi che si trovano in campagna.

Con mia nonna Grazia Mamone, facevamo lunghe passeggiate e la domenica attraversavamo il viottolo  per andare a messa a Cannavà.

A volte quando  incontravamo le lucertoline,  mia nonna diceva fossero anime dei defunti che venivano a salutarci.

Un altro viottolo che porto nel cuore, è quello che si trovava dietro la casa di zio Vincenzo , e  che portava dall’altra parte del borgo.

Io amavo passeggiare lì e godere della bellezza degli ulivi secolari, delle pratoline, dei papaveri e dell’erba verde.

Ricordo che tra gli ulivi c’era un rudere, di quella che un tempo che fu, era tata la casetta del calzolaio.

Papà, raccontava che il calzolaio era originario di Cittanova e nel corso degli anni, aveva riparato le scarpe dei contadini, infine dopo una vita di lavoro era ritornato a Cittanova, abbandonando   per sempre la sua casetta.

La ricordo, ormai, senza tetto, senza porta,   erano sopravvissuti solo i muri, consunti dal tempo;  io entravo dentro nella speranza di trovare un oggetto antico, un ricordo, ma naturalmente non c’era niente, solo erba e pietre, ma ero lo stesso felice, perché il profumo della terra del viottolo, riempiva il mio cuore e la mia anima, mi faceva compagnia nelle lunghe giornate estive, quando prendevo una pausa dalla lettura.

A volte, passeggiavo insieme a Tina e Silvana e facevamo finta di fumare le Kim alla menta, che Silvana “rubava” alle sue sorelle più grandi.

Volevamo sentirci già grandi; in realtà nel corso della mia vita non ho mai desiderato fumare.

In questi giorni di caldo autunno,   mente le foglie ingiallite danzano nell’aria sospinte dal vento, ripenso a nonna Grazia, alle nostre passeggiate lungo il viottolo che ormai credo, non ci sia più.

Nonna mi raccontava delle favole bellissime “i cunti” che ho poi ritrovato nel libro di Letterio Di Francia “Re Pepe e il Vento Magico”.

Un giorno mentre passeggiavamo, nonna  mi aveva raccontato  come aveva conosciuto l’uomo, che poi era diventato suo marito.

Giuseppe La Rosa di Taurianova, un bellissimo uomo, alto con gli occhi verdi;  lei stava andando a messa, insieme alle sue sorelle e mentre camminava, aveva perso il fazzoletto, che un tempo le donne indossavano in chiesa, lui lo aveva raccolto, restituendolo con delicatezza.

Un matrimonio d’amore durato soli due mesi, perché nonno Giuseppe era mortoì in uno sfortunato incidente.

Nonna aveva 19 anni, era già incinta.

Rimase sola per tutta la vita, nonostante bellissima e corteggiata, perché non voleva tradire la memoria del suo Giuseppe, né dare un patrigno alla figlia.

La storia d’amore di nonna, mi riempiva di tristezza.

La sua vita era stata costellata dalla solitudine, non era mai andata in  vacanza, nè  al cinema, al teatro o altro.

Per questo, dopo la sua  prematura morte, l’ho sempre immaginata, nell’angolo più bello del Paradiso con nonno Giuseppe la Rosa.

Due anni fa ad Amato, nel corso di un’uscita didattica, ho avuto la fortuna di percorrere un viottolo che porta a “Ceda” il primo nucleo abitativo della frazione.

Il mio cuore è impazzito di felicità , era come percorrere i  viottoli del borgo natio.

Una gioia vedere i ruderi di quelle che furono le case dei contadini, alle dipendenze dei Marchesi Gagliardi e, come per la casetta del calzolaio , sono entrata, rischiando di farmi male, nella speranza di trovare qualcosa, naturalmente niente!

I viottoli conducono sempre da qualche parte, per questo quando una vecchietta che abitava vicino mia nonna, aveva le coliche , diceva “non viu né via né violu”.

Non sarebbe guarita definitivamente. Le cure mediche non l’avrebbero portata da nessuna parte.

Si lega al  ricordo del “violedu”,  anche il podere del nonno, con l’inconfondibile  profumo della zagara e delle arance.

Camminavo accanto a papà, che mi raccomandava di stare attente alle ortiche, ma io mi perdevo dietro i profumi , i colori, il volo delle rondini e il chicchirichì del gallo.

Mi perdevo nel mio “piccolo mondo antico” e  puntualmente, ritornavo a casa con le gambe che mi bruciavano per le ortiche.

E poi ancora il “violedu” che portava ad un altro rudere, quello tra gli ulivi degli Acton di Leporano.

L’altro rudere, era stata la casetta del guardiano, che di notte controllava gli ulivi, con in mano una lanterna.

Nonna raccontava che  il fantasma del guardiano, si aggira ancora tra gli ulivi con la sua lanterna.

In paese tanti  giuravano di aver visto di notte “a lanterneda” vagare tra gli ulivi.

Cioè il fantasma del guardiano con ancora la lanterna in mano.

Io tante volte,  di notte mi sono affacciata alla finestra, per cercare di scorgere a “lanterneda” tra gli ulivi, ma non ho mai visto niente.

Di quel rudere, ricordo  la sensazione di pace e un’orgia di profumi indimenticabili.

Adesso che il tempo eterno tiranno è passato, del borgo natio, mi sono rimasti solo i ricordi.

Ripenso con nostalgia ai miei “violedi”, rivedo i colori, la nonna e i miei sogni, ormai persi.

Rivedo anche  la mia amica  Iris che sognava di portare “l’uomo con le stellette” a vedere il “violedu”.

La rivedo con i suoi lunghi e fluenti capelli neri, i suoi graziosi abitini, le sue scarpette di velluto; la rivedo, ormai sola camminare nel “violedu” con  i suoi  sogni perduti e la non vissuta felicità.

 

 

 

 

 

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