Intelligence, Giorgio Ragucci al Master dell’Università della Calabria: “L’intelligence è al servizio della collettività”.

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“L’evoluzione dell’intelligence: da attività finalizzata all’interesse del monarca a quello dell’interesse della collettività, anche mediante l’uso degli strumenti del segreto di Stato e delle garanzie funzionali” è il titolo della lezione tenuta da Giorgio Ragucci, già dirigente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.
Ragucci ha esordito con il concetto fondamentale della lezione: le tecniche, le procedure e le dottrine dell’intelligence sono state oggetto di un costante aggiornamento nel tempo che ha portato a controlli sempre più stringenti da parte del Parlamento che, in uno Stato democratico come il nostro, sono essenziali.
Citando il libro di Rhodri Jeffreys-Jones “In spies we trust” del 2013, ha posto una domanda: “quando abbiamo cominciato a fidarci delle spie?”
La risposta la troviamo nella storia e nella trasformazione delle attività dei Servizi che, dal perseguire fini per lo più militari e relativi agli interessi del monarca, si sono orientati sempre più verso gli interessi nazionali di sicurezza, cioè lavorare per assicurare pace e sicurezza, mettendo il decisore politico nella concreta possibilità di perseguire il bene comune.
Per illustrare tale processo e per comprendere la situazione attuale, il relatore ha analizzato la storia dell’Intelligence evidenziandone alcuni passaggi fondamentali.
Già all’epoca degli Assiri e dei Babilonesi si parlava di “occhi ed orecchie del Re” per indicare i sudditi che agivano con l’unico intento di informare il Sovrano.
Per tutta l’antichità le informazioni sono state sempre attinte da singole fonti e non da organizzazioni statuali.
Per arrivare a qualcosa di più strutturato bisogna giungere all’Impero romano che costituì delle organizzazioni interne all’esercito: i “frumentari”, intorno al 100 d.C. cui seguirono, nel 300 d.C. gli agentes in rebus”:
I loro obiettivi rimanevano comunque quelli di tutelare gli interessi dell’Imperatore.
Nel mondo anglosassone, a seguito della frattura del XVI° secolo nel mondo della cristianità, si sviluppò un forte concetto di tutela della tolleranza e, quindi, dell’esistenza di una sfera della vita del cittadino (oggi diremmo privacy) di sua esclusiva pertinenza. Tale sfera di intangibilità trovava però un limite: la tutela delle esigenze di sicurezza della collettività. In tale bilanciamento tra esigenze pubbliche e private gli operatori che assicuravano la sicurezza della collettività avevano il diritto di violare persino la sfera della privacy del singolo. Questi operatori dovevano avere però una caratura etica e morale tale da poter giustificare tale intromissione; da ciò potremmo dire che discende una frase molto usata nel mondo anglosassone per riferirsi al lavoro dell’intelligence: “si tratta di un lavoro sporco, talmente sporco che soltanto un gentiluomo può fare”.
Tale giudizio di rilevante valore etico veniva totalmente contrapposto a quella che era la mentalità neolatina e, in tale quadro, il docente (facendo riferimento a Napoleone) ha sostenuto che, nonostante egli facesse un ampio utilizzo delle spie e nonostante tale utilizzo fosse molto remunerativo ai fini operativi, per certi versi vi fosse sempre una sorta di latente disprezzo nei confronti di quelli di loro non inseriti stabilmente nelle file dell’esercito napoleonico.
Giungendo all’esperienza italiana, Ragucci ha posto l’accento sui 122 anni che sono decorsi dall’Istruzione la Marmora del 1855, primo atto che, alle soglie della nascita dello Stato Unitario, organizzava la raccolta informativa a livello militare, fino al 1977, anno in cui fu per la prima volta promulgata una legge, la numero 801, che forniva una regolazione sistemica dell’intelligence italiana
Fino ad allora si erano susseguiti solo provvedimenti normativi di rango inferiore alla legge che, tra l’altro, non consentivano all’Autorità Giudiziaria di potersi relazionare all’attività dei servizi conoscendo la normativa cui essi erano sottoposti.
Anticipatrice di tale legge è la sentenza n. 86/1977 della Corte Costituzionale. Tale pronuncia fu emanata a seguito del giudizio di legittimità costituzionale – avviato dall’ordinanza di rimessione del Giudice Istruttore del Tribunale di Torino, dr. Violante – in ordine al segreto politico-militare opposto nell’ambito del processo penale a carico di Edgardo Sogno, per il cd. Golpe bianco. La Corte si espresse per l’incostituzionalità degli artt. 342 e 352 del c.p.p. allora vigente, nella parte in cui non riportavano al vertice del Governo, cioè al P.C.M., la decisione finale sulla conferma dell’esistenza del segreto e non prevedevano che il P.C.M. fosse tenuto ad informare il Parlamento in ordine ai motivi essenziali dell’opposizione del segreto. La sentenza, poi, affermava come l’opposizione del segreto non dovesse essere intesa come una norma di sbarramento all’esercizio dell’azione giurisdizionale (tesi proposta dal giudice a quo), perché in realtà “si tratta di tutelare la sicurezza dello Stato che costituisce un interesse essenziale e insopprimibile della collettività, con palese carattere di preminenza su ogni altro in quanto tocca l’esistenza stessa dello Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione”.
Ragucci ha pertanto particolarmente enfatizzato l’importanza di tale sentenza della Consulta cui segue, solo qualche mese dopo, la legge nr. 801 del 1977. Tale legge vide la nascita di SISMi e SISDe, istituiti proprio con il compito di tutelare la sicurezza nazionale.
Considerata perciò la ragion d’essere dei servizi, il docente ha riportato una sua personale considerazione secondo cui, se la sicurezza dello Stato è così preminente da giustificare che la giurisdizione possa recedere rispetto all’interesse essenziale quale è la sicurezza dello Stato, i Servizi di informazione, che al compito di assicurare tale sicurezza sono preposti, potrebbero godere di una sorta di garanzia costituzionale, non esplicita ma affermabile in via deduttiva.
Il portato di questa legge ha rispettato in pieno il dettato della sentenza della Corte Costituzionale sulle finalità dell’attività dei Servizi ed il ruolo centrale del Presidente del Consiglio dei Ministri nella gestione del segreto di Stato e della politica informativa sulla sicurezza.
Il docente ha inoltre messo in luce le criticità del sistema emerse negli anni di vigenza della l. n. 801/1977, poi affrontati e risolti per la più parte dalla legge n. 124/2007, legge di riforma del sistema dell’intelligence oggi in vigore.
Elementi di novità riguardano, ad esempio, nel caso di ordini di esibizione di documenti d’intelligence, la preventiva visione da parte dell’A.G. finalizzata all’acquisizione solo di quelli realmente indispensabili per le esigenze d’indagine. Nel caso di opposizione di un segreto di Stato, oppure di atti originati da Servizi esteri collegati, ancor prima della visione da parte dell’A.G. dovrebbe essere raccolta la decisione del P.C.M. sull’eventuale esistenza di un segreto di Stato (entro un termine di tempo fisso di 30 gg per gli atti di produzione nazionale, di 60 gg per quelli prodotti da Servizi esteri collegati).
Sempre nella medesima l. n. 124/2007, agli artt. 17,18,19 e 20, viene affrontato e risolto il nodo delle cd. garanzie funzionali: dotare cioè di una tutela giuridica gli operatori d’intelligence che, secondo un preciso iter che prevede un’autorizzazione preventiva del P.C.M., commettano atti astrattamente riconducibili a fattispecie di reati purchè le azioni siano indispensabili per le finalità istituzionali dei servizi, il danno arrecato agli interessi lesi sia il minore possibile e non vengano violati determinati diritti che non sono violabili, come quelli che invadono la tutela della persona fisica o la rappresentanza democratica.
Viene inoltre disciplinata la durata del vincolo del segreto di Stato che non è più illimitato nel tempo, ma che resta in vigore per 15 anni con la possibilità di una proroga per un limite massimo di ulteriori 15 anni.
Tale tempistica, secondo il docente, potrebbe risultare comunque breve per tutelare situazioni di pericolo per la sicurezza nazionale ancora esistenti anche a distanza di 30 anni.
In ogni caso di conferma del vincolo del segreto di Stato la legge prevede che venga data informazione al Parlamento attraverso il CO.PA.SIR. (Comitato Parlamentare di controllo sui Servizi di informazione composto da un numero limitato di parlamentari per tutelare la riservatezza delle informazioni) e che, in nessun caso, il segreto possa essere opposto alla Corte Costituzionale.
In conclusione del suo intervento, Ragucci ha fatto riferimento alla classifiche di segretezza (per la prima volta anch’esse trattate in provvedimento normativo di rango primario) disciplinate dall’art. 42 della l. n. 124/2007: Riservato, Riservatissimo, Segreto e Segretissimo.
Queste classifiche permettono una maggiore tutela delle informazioni classificate cui, mediante un sistema di circolazione limitata del documento, possono accedere solo soggetti in possesso di adeguato nulla osta di segretezza (NOS).
In aggiunta, va sempre tenuto conto del principio del “need to know”, secondo cui può accedere al contenuto di tali informazioni solo chi ha reale necessità di conoscerle per esigenze del proprio incarico.
In ogni caso, dopo 5 anni è prevista una declassifica automatica al livello inferiore di classifica e, decorso un ulteriore quinquennio, i documenti vengono privati di ogni classifica.

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