La primavera è la prima stagione dell’anno.
È un momento di rinascita, quando la natura si risveglia dal suo sonno invernale.
I fiori sbocciano, gli alberi si riempiono di foglie verdi, e gli uccelli tornano a cantare.
L’etimologia della parola primavera non è facile da ricostruire, perché in essa ci sono influenze antichissime, ben anteriori al latino. Come molte parole che oggi usiamo è formata da più termini: in questo caso sono due. Uno è “prima”, la cui origine è più facile da ricostruire: il latino “primus”.
Il secondo termine, che forma la seconda parte della parola (“vera”), ha radici antichissime, indoeuropee.
Secondo quanto ci dicono alcuni dizionari etimologici, verrebbe dalla radice sanscrita -Vas, che è presente ancora oggi, sebbene un po’ cambiata, in molte lingue del continente Eurasiatico. Questa parola significa “ardere”, “splendere”. Del resto, anche nel latino, ritroviamo il termine “vesta”, che era il nome della dea del focolare domestico, fuoco sempre acceso e tenuto vivo dalle vestali.
Essendo la stagione dei fiori, nell’antica Roma, a loro era dedicata una basilica, ovvero, la basilica Floscellaria sul cui tetto troneggiava la dea Flora; Nume tutelare dei fiori, della primavera e della fioritura delle messi, a cui erano dedicate le celebrazioni dei Floralia o Ludi Florales.
Nell’Antica Roma si celebravano antiche feste pagane dell’equinozio di primavera tra cui l’Aequinoctium Vernum e il ritorno di Core, o Proserpina, tra le braccia della madre Cerere, dea della vegetazione e antico archetipo della Dea Madre, chiamata Demetra nel mito greco all’origine dei Misteri Eleusini, che insegnavano agli Iniziati la conoscenza della vita dopo la morte sulla base dei ritmi della natura: la primavera che succedeva sempre all’inverno indicava la rinascita, la rigenerazione, la vittoria della vita sulla morte.
Le popolazioni germaniche celebrano una festività simile col nome di Ostara in onore della dea Eostre, padrona del rinnovamento della vita che governava la fertilità e il risveglio della natura. Spiccava tra gli animali totemici di questo periodo la lepre, conosciuta per la sua grande prolificità. Proprio da questa festività nacque l’immagine della lepre marzolina che deponeva le uova, simbolo di vita, e che ritroveremo poi nella festa pasquale.
Ho sempre amato questa stagione foriera di speranza e di nuovi inizi.
Il 21 marzo, giorno in cui cade il solstizio primaverile(quest’anno ha anticipato di un giorno) è nata la grande poetessa Alda Merini, per questo, per me il 21 marzo ha una doppia valenza.
A questo giorno è legato un ricordo a me caro.
Al borgo natio, trascorrevo le mie giornate immersa nella lettura e nella scrittura, ma la vecchia scrivania non era tanto comoda, avevo così commissionato ad Attilio Carbone il falegname del borgo un tavolino con un tiretto, per custodire penne, matite e quaderni.
Era proprio il 21 marzo quando Attilio mi consegnò il mio prezioso tavolino.
Da allora ho sempre scritto, letto, sognato, pianto e gioito in quello che è diventato “il mio angolo dell’io”.
Un altro ricordo legato alla primavera, sono i peschi in fiore lungo la strada della Ferrandina e il volo gioioso delle rondini, e poi ancora la nascita dei pulcini nel pollaio vicino ad un albero di limoni, li ricordo bellissimi nelle varie sfumature del giallo.
Da piccola insieme a mia nonna Grazia Mamone, facevamo delle lunghe passeggiate tra gli ulivi.
Ricordo il canto degli usignoli e degli altri uccellini, che danzava tra le chiome degli ulivi.
Come ricordo i ciliegi in fiore , il profumo della terra, i papaveri principi del prato, le margherite, i giacinti, i narcisi, il glicine vestito di grappoli violacei , il caprifoglio, le serenelle e le giunchiglie.
La festa più importante di questa stagione è la Pasqua .
Nel periodo pasquale al borgo natio l’aria, era intrisa del profumo del pane e dei biscotti, le comari del paese preparavano le “cuddure”(pane con le uova) e i “viscottini”(biscotti pasquali).
Ancora oggi se chiudo gli occhi, sento quel magico profumo danzare nell’aria.
Rivedo la madia, sento il calore del forno e il profumo delle felci, usate per preparare la scopa, che serviva per pulire il forno, prima della cottura. Ricordo che spesso il venerdì santo spirava il vento tra gli ulivi e mia nonna Caterina diceva fosse “il vento dei sepolcri”.
Nonna Caterina il venerdì santo non si pettinava in segno di lutto per la morte di Gesù.
Un altro ricordo legato alla Pasqua sono i “ piatti du granicèdu” i cui germogli ornavano l’altare della chiesa di santa Teresa, per i Sepolcri il Giovedì Santo.
Il rito di allestire i sepolcri nelle chiese e di addobbarli per il giovedì santo è una tradizione cristiana orientale bizantina che ebbe una grande diffusione nelle regioni meridionali.
Tuttavia l’origine è antichissima e affonda le radici nel lontanissimo passato, precisamente all’epoca dei Fenici.
Essa ricorda gli altarini di germogli di infiorescenze sterili e ornamenti floreali simbolici, denominati “I giardini di Adone”, personaggio della mitologia greca di grande bellezza, morto prematuramente giacché ucciso da un cinghiale mandatogli contro dal geloso Ares. Dalle lacrime versate da Venere per la morte del suo amato Adone nacquero gli anemoni, fiore fragilissimo e delicato, simbolo di amore, ma anche di dolore e di morte.
Per la simbologia cristiana l’anemone è legato alla crocifissione di Gesù perché è un fiore che nasce dal sangue di Cristo ai piedi della croce . Naturalmente allora queste cose non le sapevo.
Ma amavo controllare insieme a mia nonna la crescita dei germogli, che lei sistemava sotto nella credenza, perché dovevano stare in un luogo buio.
Persino nel podere di nonno Ferdinando lungo la “mastra”, tra le pietre, qualche fiore solitario salutava il nuovo sole con le sue foglioline soffuse di un pallido rosa, o venate di pallide righe violacee.
A primavera io e le mie amiche passeggiavamo tra gli ulivi, giocavamo a tennis nel cortile dove abitavo.
Ricordo la pasquetta del 1983, era pomeriggio, Tina Pillari era venuta a trovarmi, c’era il sole, la dolcezza della primavera ci avvolgeva , ci accarezzava.
Abbiamo giocato a tennis tutto il pomeriggio, ogni tanto mia mamma si affacciava al balcone per guardarci.
Quello era il nostro mondo, fatto di cose semplici: profumi, sapori, preghiere, allegria, vivevamo quel presente senza pensare al futuro.
Ricordo un’altra Pasqua, avevo 20 anni e mille sogni, o forse un solo sogno, con papà siamo andati a Rizziconi per vedere “l’Affruntata”(l’incontro della Madonna con Gesù risorto); indossavo un tailleur rosa , elegante, che seguendo ancora la tradizione, avevo prima indossato la Domenica delle Palme, per non smentire il proverbio di nonna: “Di parmi e di fiuri, sparmanu i signuri,i pasca e i natali sparmanu i vedani”.
Il tailleur era rosa come il mio sogno e ricordo, poi di averlo indossato l’anno successivo, per l’arrivo nella Diocesi del vescovo Mons. Domenico Crusco.
Papà indossava la fascia tricolore perché era Assessore al Comune di Rizziconi ed era stato delegato dal sindaco a presenziare alla cerimonia.
Ho un bel ricordo di Mons. Crusco, così come ricordo di un‘altra pasqua, un sogno chiamato amore , un amore puro e cristallino, di una dolcezza indescrivibile, mai più provata.
Ricordo ancora gli scherzi che facevamo con le mie amiche il 1° aprile: ”Pesce d’aprile”
Non posso non ricordare il 25 aprile, Festa della Liberazione , dove si celebra la liberazione della penisola dall’occupazione nazista e dal regime fascista; il 1° maggio la Festa dei lavoratori, dove si ricordano le lotte per i diritti dei lavoratori; il 2 giugno Festa della Repubblica Italiana, la ricorrenza che celebra la nascita della Repubblica Italiana e coincide con la data nella quale si svolse il relativo referendum istituzionale.
Non ultima la festa di Sant’Antonio di Padova, ormai foriera dell’estate.
Questa festa era molto sentita al borgo natio perché il Santo di Padova è il San Valentino per gli abitanti della Piana del Tauro, perché nel tempo che fu, veniva pregato dalle ragazze per trovare marito.
Mio nonno mi raccontava questa storia.
“In un paesino della Piana c’era una ragazza che viveva con i suoi genitori, sognava di sposarsi e avere una famiglia tutta sua e per questo tutte le sere, pregava davanti ad una statuina di San Antonio, che teneva nella sua cameretta.
Il tempo passò e i suoi genitori morirono, lei imperterrita continuava a pregare, ma era sempre sola.
Una sera stanca, delusa e soprattutto arrabbiata perchè San Antonio non ascoltava le sue preghiere, prese la statuina del santo e la buttò dalla finestra.
La statuina cadde sulla testa di un signore, che passava da lì per caso.
Il signore si mise ad urlare, dicendo che avrebbe picchiato l’autore del gesto.
Tremando e piangendo la ragazza scese sotto, per chiedere perdono al signore.
Il signore appena la vide, sorridendo dolcemente le disse non solo che la perdonava, ma che voleva sposarla.
Si sposarono e vissero felici per il resto della loro vita.”
San Antonio anche stavolta non aveva deluso!
Sono cresciuta andando ogni 13 giugno a Sant’Antonio di Melicuccà, perché in questo nobile paese secondo mia nonna Grazia il Sant’Antonio era quello originale, perché tra il 1550 e il 1600 i Frati Francescani Minori Riformati, arrivarono a Melicuccà da Castelfranco Veneto, accolti con amore dalla popolazione, dal clero e dai monaci basiliani.
Don Paolo Martino mi ha raccontato che i frati fondarono un convento, costruito su una chiesetta dedicata a san Leonardo Basiliano.
Al convento che rimase attivo fino al XIX secolo, nel 1683 fu assegnato il “diritto d’asilo”.
La porta del convento era denominata con il nomignolo, divenuto proverbiale, in tutti i paesi vicini, di “porta i vàttari”, che significa porta da bussare sicuri di ricevere aiuto in ogni necessità.
Don Paolo mi ha detto anche che nel convento( oggi sono visitabili i ruderi), tra il 1700 e il 1800, vissero e si formarono importanti figure religiose e laiche, tra cui: Padre Antonio Cirillo, missionario in Palestina e autore di una “Grammatica della lingua araba ad uso degli orientali” tutt’oggi consultata dai linguisti, il mistico Giovanbattista Cama, padre Bonaventura da Castelfranco(Fondatore dell’Accademia),Padre Jacopo da Pedavoli, teologo e latinista insigne, il giureconsulto Marcantonio Gliotta, Scipione Careri Farmacista, letterario e agiografo di Sant’Elia Speleota, don Antonio Milano da Polistena celebre avvocato, Don Michelangelo Falvetti musicista, maestro di camera di Carlo VIII, tanti sacerdoti di Melicuccà, tra cui Don Angelo Furina e Don Felice Maria Adornato morto in fama di grande santità il 2 maggio del 1902.
Tra i fraticelli del convento invece ci furono : Fra Donato pittore e scultore, fra Giuseppe da Seminara, detto “il portinaio miracoloso”, fra Pasquale da Castellace e fra Giovanni da Melicuccà.
E così prima con mia nonna, dopo con i miei genitori, oggi con mio marito, ogni anno il 13 giugno, non sono mai mancata e non manco, all’appuntamento con il mio originale e personale Sant’Antonio.
Andare a Melicuccà è una gioia ,è un appuntamento personale tra me e Lui , un appuntamento che profuma di fede, storia, radici, estate, profumi e sapori.
La strada che porta a Melicuccà scorre in mezzo a maestosi ulivi e fiori dai meravigliosi colori, in particolare distese di papaveri, insomma una strada primaverile.
Non posso, prima di concludere, non ricordare la primavera al mare, in particolare alla Tonnara di Palmi, dove il meraviglioso volo dei gabbiani e l’incanto del mare infinita distesa d’azzurro e il tripudio dei colori lungo la strada, durante questa stagione hanno un fascino e un profumo particolari.
Anche quest’anno principessa primavera è tornata con il suo paniere di fiori e nostalgia, ho comprato un albero di limoni, nell’illusione di portare la primavera sul mio balcone, al mattino il canto degli uccellini accarezza la mia anima.
Il sole bacia gli ulivi, tutto rinasce, mentre il mio cuore piange sul lago nostalgico del tempo.
Ma è primavera e la speranza domina sul dolore, forse anche la dea speranza come Alda Merini è nata a primavera.