Intervista a Mario Caligiuri: L’Intellegence che cambia.Di FEDERICO MATTA

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Le trasformazioni dei servizi segreti italiani e l’utilizzo delle informazioni nel contesto della guerra in Ucraina dimostrano quanto l’intelligence sia uno strumento estremamente dinamico, che si evolve costantemente per adattarsi ad un mutato contesto geopolitico, tecnologico e sociale. Ne parliamo con il Professor Mario Caligiuri, Direttore del Master in intelligence dell’Università della Calabria, Presidente della Società Italiana di Intelligence (SOCINT) e autore della voce “Intelligence” nell’Enciclopedia Italiana della Treccani.

Buongiorno Professore, vorrei innanzitutto ringraziarla per la sua disponibilità. In occasione della presentazione della relazione annualedel 2023, l’Autorità Delegata Alfredo Mantovano ha affermato che è in corso una “doverosa riflessione pre-politica” in merito ad una potenziale riforma del comparto intelligence italiano. L’idea è insomma quella di riunire l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE), l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI) ed il Dipartimento Informazioni e Sicurezza (DIS) sotto un’unica struttura centralizzata. Quanto ritiene plausibile una riorganizzazione dei servizi, magari in comparti specializzati in discipline come HUMINT, SIGINT e cyber intelligence?

Il fatto che il Sottosegretario Mantovano abbia avviato una riflessione in merito è sicuramente di grande significato. Infatti, una riforma dei Servizi richiede tempo e un necessario e ampio consenso parlamentare. L’intelligence rappresenta il cuore dello stato e quindi è fondamentale che tuteli l’interesse nazionale. Sicuramente si rendono necessari interventi che tengano conto della metamorfosi del mondo che è in atto, considerando la differenza sempre più sfumata tra sicurezza esterna e interna, la dimensione sempre più prevalente del cyberspazio, nonché di temi come l’intelligence economica, la disinformazione, il disagio sociale e l’impatto dell’intelligenza artificiale, temi di assoluta rilevanza anche per i nostri Servizi. Di conseguenza, è importante riflettere su come aggiornarli nel modo più opportuno.

Parlando di cambiamenti significativi,le recenti nomine volute dal Governo Meloni hanno di fatto escluso l’Arma dei Carabinieri da incarichi di responsabilità, a favore di figure provenienti dall’Esercito (come Giuseppe del Deo) e di profili “tecnici” come Bruno Valensise. Come interpretare questa ridefinizione degli equilibri interni ai servizi?

È perfettamente normale che il Governo eserciti le proprie funzioni, compiendo valutazioni e provvedendo alle nomine relative. Personalmente, non ritengo affatto che l’Arma dei Carabinieri, che ha una storica e capillare dimestichezza con l’intelligence, sia poco considerata. Pensiamo per esempio a Mario Parente, che è stato Direttore dell’AISI per 8 anni consecutivi, dal 2016 al 2024, con risultati rilevanti.

L’attuale Direttrice del DIS, Elisabetta Belloni, ha alle spalle una lunga carriera da agente diplomatico. Lo stesso vale per i Direttori della Central Intelligence Agency (CIA) e del Secret Intelligence Service (MI6) britannico, William Burns e Sir Richard Moore. Si tratta di una semplice coincidenza o, al contrario, di una scelta ben ponderata, in linea con il ruolo sempre più “pubblico” delle agenzie di tutto il mondo?

La nomina della Direttrice Elisabetta Belloni è più che opportuna, e non solo perché, per la prima volta, una donna è stata nominata ai vertici dell’intelligence italiana. Avendo ricoperto incarichi prestigiosi, come quello di Segretario Generale della Farnesina, ha infatti sviluppato competenze particolarmente preziose nella conoscenza delle dinamiche globali. Di conseguenza, ha una visione internazionale dell’azione dei Servizi, indirizzando quelli italiani nel modo più consono per la tutela della sicurezza e del benessere dei nostri cittadini. Il mondo sta cambiando sempre più rapidamente e di conseguenza i Servizi hanno abbandonato quell’aura di riservatezza che era necessaria durante la Guerra Fredda. Oggi, le agenzie d’intelligencesi manifestano sempre di più per quella che è la loro funzione: quella di strutture di tutela della democrazia, orientate a soddisfare un bisogno di trasparenza piuttosto che di segretezza.

Vorrei ora affrontare un aspetto che considero particolarmente affascinante della guerra russo-ucraina, ovvero la declassificazione strategica messa in atto da USA e Regno Unito. Con il progredire del conflitto, la frequenza e l’accuratezza delle informazioni divulgate pubblicamente si sono progressivamente ridotte. Pensa che ciò sia dovuto al fatto che la priorità è passata dall’informare gli alleati al mantenere segreta la pianificazione di operazioni come il blitz di Kursk?

A mio avviso, frequenza ed accuratezza non si sono affatto ridotte. Al contrario, sono aumentate. Mai come in questo conflitto l’intelligence è stata al centro dell’attenzione mediatica: ogni giorno assistiamo a dichiarazioni da parte dei Servizi all’interno dei notiziari televisivi e delle prime pagine dei quotidiani in tutto il mondo. Chiaramente, la comunicazione strategica è una questione estremamente delicata, soprattutto in tempo di guerra. È importante ricordare che i Servizi non agiscono in modo autonomo, ma dipendono dai Governi, anche quando rilasciano dichiarazioni pubbliche. In relazione all’inedita apertura del settore, un altro fenomeno è quello di una crescente politicizzazione dell’intelligence, diventata anche materia di conflitto politico. Ad esempio, durante il Governo Conte II, ci fu un acceso dibattito sulla necessità o meno di nominare un’Autorità Delegata. Per lo stesso motivo, nel nostro sistema istituzionale il Presidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR) è obbligatoriamente per legge un esponente dell’opposizione. In questo momento, Lorenzo Guerini, che è ritornato nel ruolo dopo essere stato anche Ministro della Difesa.

Mi consenta un’ultima domanda. L’ampia disponibilità di Open-Source Intelligence (OSINT) ha fatto sì che giornalisti, think tank ed analisti indipendenti abbiano potuto condurre investigazioni in modo autonomo per verificare l’autenticità del materiale declassificato. Tuttavia, l’OSINT è un’arma a doppio taglio, che pone grossi interrogativi in merito all’affidabilità delle fonti. Non si rischia quindi di generare ulteriore disinformazione, anziché contrastarla?

Dipende da chi compie le ricerche e con quali finalità lo fa. Certamente, per la democrazia è un bene che gli archivi dei Servizi siano desecretati dopo un certo periodo di tempo. Del resto, come sosteneva lo storico inglese Christopher Andrew, “l’intelligence è la dimensione mancante della storia”. Tuttavia, è fondamentale distinguere accuratamente le fonti, analizzare i documenti in modo critico e condurre le ricerca in maniera oggettiva, evitando, per quanto possibile, di cedere alle lusinghe delle ideologie e del politicamente corretto. Tra l’altro ce lo ricordava Friedrich Nietzsche: “Non esistono fatti, esistono interpretazioni

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