Non Sono Nessuno di Michele Tripodi

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“E’ più piacevole e più utile fare l’esperienza di una rivoluzione piuttosto che scrivere un volume su di essa.”

Con queste parole comincia l’introduzione del  libro di Michele Tripodi dal titolo Non Sono Nessuno.

L’autore scrive:<<La casa è natura o proprietà? E’ complesso dare una definizione precisa del significato di casa. E’ certo che questa parola sia una delle più comuni e di origine antichissima.

L’oikos greco era considerato la cellula delle città-stato greche. Le tracce del focolare domestico appartengono a tutte le civiltà. Ancora prima delle civiltà classiche, delle “domus” romane o del gineceo delle polis elleniche, prima della rivoluzione cognitiva esistevano dimore di fortuna come le grotte.

Lo storico israeliano Yuval Noah  Harari nel suo libro “Sapiens. Da animali a dèi” parla della grotta di Stadel in Germania, i cui graffiti risalenti a 32mila anni fa diedero spunto per disegnare il leoncino, stemma della fabbrica di automobili Peugeot.

I cavernicoli forse non erano ancora individui formati ma vivevano già organizzati nei rifugi all’interno di anfratti, boschi, luoghi appartati ove potersi riparare dai pericoli del mondo esterno. Tendenzialmente ogni animale tende a trovarsi dimora anche solo per riposare. La “casa”, dunque, intesa come dimora anche occasionale, è naturalmente collegata all’esistenza di ogni creatura vivente seppure vi siano tracce della metamorfosi dell’uomo preistorico che solo nell’età del neolitico ha finito di essere nomade. L’essere umano divenne stanziale non subito, sembrerebbe solo a seguito della rivoluzione agricola, ma da sempre ha cercato e trovato una dimora nella quale abitare, ripararsi, rifugiarsi.

Sentire la parola casa dà subito a ciascuno di noi un senso di tranquillità e familiarità. Nella lingua francese si distingue la casa fisica (maison) come bene materiale dal bene immateriale casa (chez moi). La stessa differenza vale per la lingua inglese (house e home), perché in effetti la casa è il luogo entro il quale ogni essere umano, anche il più primitivo, sente il bisogno di condividere qualcosa che va al di là del suo significato strutturale. La casa è un rifugio, un posto per ripararsi dalle intemperie, per riscaldarsi, per creare un ambiente intimo. La casa è sinonimo di affezione, famiglia, genitori, figli. La casa è il luogo in cui si scandisce il tempo, l’identità, la storia, la vita di ognuno. La casa è gioia e dolore, malattia, follia, festa e tragedia. La casa è elaborazione del lutto ma è anche la culla del bimbo in fasce.

Se accettiamo che il diritto alla casa sia un compendio di valori, fisici e astratti, che costituiscono un diritto naturale dell’individuo si pone una seconda successiva e più scomoda domanda. Chi può oggi sfrattare e con quali poteri una o più persone dalla casa che occupa?

L’esordio del nostro ragionamento merita un approfondimento sulle politiche abitative e sulle dinamiche che accompagnano la contemporaneità liberale, poiché il problema della casa è tipico degli ordinamenti liberali che fanno della proprietà privata il fulcro delle proprie legislazioni a partire dalla stesura delle Convenzioni Costituzionali e prima ancora dalle “dichiarazioni” universali dei diritti dell’uomo.

Questi interrogativi costituiscono la genesi di questo libro che parte dal diritto naturale come livello minimo di indagine per compiere un lungo viaggio nella storia passata, recente e futura. Mi sono incoscientemente tuffato in un mare agitatissimo rischiando più volte di essere travolto e di annegare nelle contraddizioni di un tempo di vita che fa sorgere tante, troppe domande. Non ho preteso e non pretendo di dare risposte certe e definitive come alcuni teorici, politici e filosofi somiglianti ad oracoli viventi hanno tentato spesso di dare, sbagliandosi. Perlomeno alcuni si sono sforzati di farlo liberamente e con coraggio, altri lo hanno fatto per compiacere poteri forti e governi.

Mi chiedo. Siamo arrivati davvero alla fine della storia preconizzata dai filosofi  Kojève e  Fukuyama?? E ancora. L’ultimo uomo sarà davvero l’uomo pacifico, saggio, “giapponesizzato”, mite, libero, laborioso praticamente un individuo addomesticato dalle esperienze negative della vita? Il capitalismo e le istituzioni liberali, la democrazia rappresentativa hanno davvero vinto definitivamente e staremmo tutti viaggiando silenziosamente rassegnati verso l’americanizzazione dell’umanità?

Fukuyama filosofa così sull’ultimo uomo: “L’istruzione moderna, quell’istruzione universale che è assolutamente indispensabile per la preparazione delle società alla moderna economia mondiale, libera gli uomini dal loro attaccamento alla tradizione e all’autorità. Essi si rendono conto che il loro orizzonte è semplicemente un orizzonte, non una solida terra ma un miraggio che scompare man mano che uno si avvicina, dando luogo a un altro orizzonte. Questa è la ragione per cui l’uomo moderno è l’ultimo uomo: un uomo che l’esperienza della storia ha fiaccato e che non si fa più illusioni sulla possibilità dell’esperienza diretta dei valori [….] Una dottrina che dice che non esiste una prospettiva privilegiata che si combina perfettamente con il desiderio dell’uomo democratico di credere che il suo modo di vivere vada bene come ogni altro modo di vivere. In questo contesto il relativismo non porta alla liberazione di individui grandi e forti, ma di individui mediocri ai quali or viene detto che non hanno niente di cui debbano vergognarsi”

L’uomo di oggi è davvero il post-uomo fiaccato dall’esperienza della vita? E’ per davvero l’uomo democratico l’ultimo uomo, ultimo non nel senso che scompare dalla faccia della terra, ultimo perché la sua interpretazione della vita è già assicurata in un senso definitivo? Per Fukuyama questo tipo di uomo, avendo terminato le sue sofferenze, ora si replicherà all’infinito.

Questo e altri rompicapo sono presenti in questo lavoro che mi ha visto costretto a ripercorrere le tappe salienti del pensiero filosofico moderno cercando di riagganciarle al tempo di oggi, dando loro un senso logico all’età che stiamo vivendo. Ho cercato di selezionare pensieri autorevoli senza escludere i punti di vista anche opposti alla mia visione delle cose e del mondo. Ne è venuto fuori un libro non proprio malevolo, piuttosto ricco di spunti di riflessione che consegno come testimonianza da portare alle giovani generazioni, oggi escluse dal presente e dal futuro, perché se la storia è finita vuol dire che chiunque nasca a questo mondo ha già un destino assegnato.

Per tali ragioni sono i giovani i principali destinatari di questo libro poiché sono coloro che hanno più degli altri da decidere, se preoccuparsi di come la rivoluzione digitale si stia costruendo sulle loro teste, senza renderli partecipi e protagonisti, trasformandoli in robot disumanizzati destinati a lavorare, consumare e vivere nel “sonno della storia” o come la lascia intendere Fukuyama nella “vecchiaia dell’umanità” sotto il controllo di qualcun altro.

Il modello proposto dagli attuali dominatori del pianeta è un modello gerarchico ma non piramidale, poiché gli strati da occupare nella piramide sono sempre meno e si fanno sempre più spessi, distanti tra loro, impossibile da arrampicarci sopra. La forbice della catena di comando è molto più netta. Esistono sempre meno capi e capetti, ma crescono le diseguaglianze territoriali, politiche, demografiche e sociali. Al vertice del comando vi è una classe di pochi individui potenti, forti delle loro ricchezze, che manovrano tutto al di sopra della massa informe e plagiata, ricattata di continuo dal potere dei soldi.

In età aristocratica erano i nobili a fare da filtro tra il sovrano e i sudditi. In età democratica i nobili verranno sostituiti dai corpi intermedi, in particolare di matrice borghese. Il ceto medio attraverso libere elezioni avrebbe poi dato voce alla cosiddetta “rappresentanza” assicurandosi la tutela dei propri interessi economici all’interno dei Parlamenti.

Oggi la società “liquida” ha messo in crisi il modello di rappresentatività dello stato liberal-democratico nel quale viviamo nell’illusione di essere liberi. Scriveva Norberto Bobbio “Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia”. Potrebbe essere vero se la democrazia rappresentativa fosse degna di essere tale. Scopriremo, in questo libro, che non è proprio così. Sappiamo invece che l’epoca che stiamo vivendo è solo una transizione, una propaggine del secolo scorso, dove l’uomo disorientato è alla ricerca di una sua ricollocazione nel tempo e nella storia.

L’uomo post-moderno è forse il simbolo di una società destrutturata dall’avvento delle tecnologie che hanno superato i concetti di tempo e spazio? Viviamo in un’epoca bidimensionale, per ora, che ci permette l’astrazione dalla realtà sociale e ci proietta con il nostro nuovo “io solitario” in una realtà virtuale di comodo nella quale siamo ritornati ad essere prigionieri felici del nulla. “Non sono nessuno” sfata molte apparenze, falsi miti, credenze comuni che, come un sipario, vengono calati dinanzi al nostro sguardo repentinamente cangiante, passando, in un istante, da allegro a spento, da esaltato a depresso, da cosciente a inconsapevole. Ma la transizione non è ancora finita. L’uomo trasfigurato rischia davvero di diventare non-uomo o meglio non-umano?

Il mondo supertecnologico ha determinato il sorpasso del tempo virtuale sul tempo reale. Il mondo analogico è stato sostituito dal mondo digitale. Mentre prima l’informazione analogica era veicolata da grandezze continue, infrastrutture fisiche lineari, quella digitale è caratterizzata dalla sua discontinuità, da intervalli e vuoti che permettono all’informazione di viaggiare libera nel tempo e nello spazio oltre gli ostacoli e senza le barriere delle infrastrutture tradizionali. Il ritmo del digitale si muove molto più veloce del mondo reale. Ciò ha creato una frattura tra bisogni virtuali e risposte reali o, per meglio dirla, la domanda on-line viaggia con molto tempo in anticipo rispetto alla soddisfazione effettiva del bisogno richiesto nella realtà vivente. Fuori dalla rete la vita umana scorre sempre in netto ritardo. Oggi è molto più rapido e comodo scrivere in una chat whatsapp per raggiungere una persona che farlo in presenza con la virtù della parola.

Spesso evitiamo persino di pensare, preferiamo affidarci alle macchine, alle chat-bot che pensano per nostro conto, rinunciando a qualunque fatica dell’intelletto umano. In questa prospettiva l’intelligenza artificiale assume un ruolo centrale nel futuro prossimo poiché le nuove generazioni potrebbero nascere “Generazioni Delta”, così le chiamo nel libro per dare una idea di tempo già ampiamente aperta al futuro. Per ora siamo ancora alla Generazione Zeta prima che il cronometro della storia riparta dalla lettera Alfa, poi a seguire Beta, poi ancora Gamma e così via. Tra 80/100 anni circa sarà l’ora della Generazione Delta. Nel 2100 la Generazione Delta sarà di “digitali puri” e non più di “nativi digitali”? Delta potrebbe già significare cyborg, chip neuronali, macchine senzienti o semplicemente oggetti inumani in grado non solo di affiancare l’uomo nelle lavorazioni o elaborazioni più complesse, ma anche capaci di sostituire il genere umano? Ci si potrà muovere nel tempo o nello spazio? Il gatto di  Schrodinger è vivo e morto allo stesso tempo? Per spiegarla alla maniera dello scienziato britannico Stephen W. Hawking – l’esistenza stessa potrebbe creare “storie alternative” o cambiare “storie coerenti”. O ancora, esiste un tempo “reale” unito ad un tempo “immaginario” che insieme occupano la “somma delle storie” che ciascuno di noi vive? E se sì, in quale tempo sarebbe inserita la storia unidirezionale di Fukuyama e la sua presunta “fine”? Hawking nel suo pamphlet-testamento scritto poco prima della sua morte dal titolo “Le mie risposte alle grandi domande” è sicuro: “Questa non è la fine della storia, ma è solo l’inizio.” Per la scienza, la storia si muove sempre e cambia nei suoi eventi enormemente grandi e nelle sue particelle infinitamente piccole.

“Non sono nessuno” rivela le opportunità ma anche i rischi sottesi al Metaverso e allo sviluppo delle tecnologie che hanno ipnotizzano la mente umana, la manipolano ad uso e consumo delle grandi piattaforme capitalistiche dell’industria cognitiva che guadagnano sopra tutti noi ad ogni minima interazione involontaria compiuta on-line, trasformandoci in “lavoratori invisibili” non salariati, sfruttati non più nel sudore delle fronti e dalla fatica delle braccia, ma nella mente strizzata.

Yanis Varoufakis spiega come i grandi giganti tecno-capitalisti della rete avrebbero ucciso il capitalismo. Ho cercato di trarre alcuni spunti che mi fanno condividere parte, ma non tutte, delle considerazioni di Yanis. Forse la parte economica di questo libro è la meno raffinata seppure abbia tentato di contestualizzarla agli eventi passati e presenti, georeferenziandoli per alleggerire il peso della narrazione.

Ma a parte la teoria, ripeto, il mio cruccio è quello di lasciare un messaggio ai giovani verosimile alla scena del film di Marco Tullio  Giordana “La meglio Gioventù” a sua volta ispirato alla raccolta omonima di poesie di Pier Paolo Pasolini. La scena clou immortala il dialogo tra uno studente motivato a far bene ed il suo professore che lo invita ad andar via dall’Italia, rivelando che l’Italia è un Paese che non cambierà mai a causa dei cosiddetti “dinosauri” che impersonerebbero l’establishment. Alla domanda del giovane studente che lo incalza chiedendogli perché lui non sia andato via, il professore confessa: “Io sono tra quei dinosauri da distruggere”. Siamo circondati da un parco giurassico in tutto il mondo che blocca l’avanzata dei giovani nel governo delle cose presenti e future. Ma noi non lo sappiamo o facciamo finta di non saperne!

I dinosauri sono gli apparati, i tecnocrati, i rèntiers, le banche, i governi, gli schiavisti, i padroni, gli stati dominanti, infine sono le piattaforme capitalistiche che allevano eserciti di giovani trasformati in militari digitali, con una doppia vita nella rete.

Le piattaforme del capitalismo cognitivo che la filosofa americana Shoshana Zuboff chiama pure capitalismo della sorveglianza, dapprima ci rubano i dati e la nostra privacy.

Saranno poi gli ingenti profitti accumulati oltre alle informazioni di ciascun individuo proiettato in rete a consolidare la mutazione genetica del capitalismo tradizionalmente inteso. Per tale motivo in alcuni passaggi del libro e un po’ forzatamente, lo chiamerò post-capitalismo. Giusto per rendere l’idea che la dematerializzazione dei dati e delle informazioni digitali è associata alla destrutturazione dei profitti, delle rendite, del denaro e di ogni tipo di ricchezza che viene scambiata e si sposta da un punto all’altro del pianeta con un semplice click.

Il capitalismo cognitivo o della sorveglianza, o postcapitalismo come lo chiamo io, o ancora, ipercapitalismo, come lo chiamano altri, dopo aver lucrato dall’estrazione coatta dei dati personali di ciascuno, si dedicherà all’addestramento delle macchine elevandole a forme di intelligenza superiore e sempre più sofisticata che prima o poi potrebbero fare a meno dell’uomo pensante, ancora sottomesso e addomesticato a non pensare più.

Mi domando, nelle pagine di questo libro, se l’addestramento intensivo delle macchine potrebbe far assumere loro, da un giorno all’altro, coscienza di sé. E se un giorno l’inumano sostituirà l’umano in un processo evolutivo, per così dire, “naturale”?

Anche per queste altre ragioni spetta principalmente ai giovani comprendere la rivoluzione digitale in atto, organizzare una nuova coscienza critica che inevitabilmente passa anche per l’età anagrafica.

L’unico rimedio al conservatorismo della fine della storia che si ripete all’orizzonte abbandonando lo spirito umano in un sonno profondo, è il “governo dei giovani” che potremmo definire con un termine del tutto nuovo e da me inventato efebocrazia, “potere alla giovinezza”, dalla parola ephebìa (ἔφηβος) che in greco identificava l’età giovane della leva militare.

Solo lo spirito dei giovani “culturalmente egemoni” potrebbe restituire smalto e vitalità una democrazia piatta, fatta invecchiare precocemente dal capitalismo “estrattivo” che accumula automaticamente ricchezze gongolando sui nostri dati. E’ il postcapitalismo, parassita come non mai, che rischia di annientare la vita e il senso delle generazioni future.

La sfiducia dei giovani nelle istituzioni è un sintomo pericoloso e si traduce nel distacco e nell’indifferenza totale dalle questioni civili e politiche. Sembra quasi si accetti che la storia si sia fermata davvero. Ma quale storia si è fermata? Forse quella dei servi, dei poveri, dei lavoratori, dei dominati non certo quella dei padroni e dei potenti. Sulla dialettica signoria-servitù di Hegel si sviluppa tutta la prima parte del libro, nella quale prendo in prestito principi generali di filosofia, elaborati in almeno quattro secoli da Thomas Hobbes giungendo a RemoBodei, passando per un’opera, secondo me illuminante, “La Democrazia in America” di Alexis deTocville. Per leggere interamente quest’ultimo ho quasi perso la vista, possedendo una edizione scritta con caratteri tipografici piccoli.

Ecco perché “Non sono nessuno” oscilla tra temi spinosi, barcamenandosi da un punto all’altro dell’universo, forse troppo coraggiosamente e incoscientemente. Mi autoconsolo rispondendo innanzitutto a me stesso nella prima parte con l’ausilio della filosofia che sta alla base di ogni azione umana, nella seconda parte affrontando i mutamenti economici in chiave storico-politica concausa di guerre e conflitti, infine nella terza parte soffermandomi sulla rivoluzione digitale.

Il marxismo rimane la mia traccia principale, poiché credo che non vi sia filosofia, migliore di quella marxiana, che declina il bisogno di emancipazione del genere umano da qualunque forma di sopraffazione e alienazione. Se è vero che il socialismo reale, quello sovietico in cima, è stato in gran parte dei casi un esperimento esaurito (del resto anche la rivoluzione bolscevica si è compiuta in un luogo ed in condizioni diverse da quelli previsti da Marx), è altrettanto vero che il comunismo di Marx non è stato mai attuato nel suo impetuoso messaggio umanista, di liberazione dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. La filosofia di Marx a differenza di Tocqueville e Fukuyama non evoca la libertà contrapposta all’eguaglianza, ma l’eguaglianza nella libertà. E la libertà per i marxisti o marxiani non potrà essere mai raggiunta senza la fine della prevaricazione dei potenti su coloro che potere non ne hanno, senza la fine del comando di una classe agiata sulle classi subalterne, senza la fine della dominazione degli stati ricchi su quelli sottosviluppati.

Ecco che ora la questione della lotta di classe di ripropone. Ma la classe è cambiata perché sono mutati i rapporti di produzione. Il postcapitalismo basato sul dominio del cyberspazio e dell’infosfera, ha dissolto la coscienza di classe, quest’ultima trasformata in “sciame”, per usare l’espressione del prof. Gilberto Pierazzuoli nella sua critica al capitalismo digitale. Una classe deframmentata al momento inafferrabile e poco identificabile ma che potrebbe, se cementata e organizzata, riformare un blocco sociale in grado di spezzare le sbarre della gabbia nel quale il postcapitalismo dei nuovi dinosauri delle BigTech ci hanno rinchiuso.

Nelle “Tesi su Feuerbach” un lapidario Karl Marx si prendeva gioco delle teorie dei filosofi: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi, si tratta però di cambiarlo”.

Nella prassi, e non lo faranno i filosofi, occorre “distruggere i dinosauri”. Sino a quando vi sarà qualcuno che cercherà di scalzarli all’apice della piramide sociale, loro “non sono nessuno” e la storia del mondo non sarà affatto finita>>.

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