Negli anni Cinquanta del novecento Pier Paolo Pasolini, nell’introduzione all’antologia della Poesia dialettale del Novecento, forniva il primo ragionato della produzione dialettale in Italia in una fase in cui l’italofonia prendeva sempre più piede su tutto il territorio nazionale. Il dialetto veniva visto e sentito come “parlata”, nei rapporti più umili: della famiglia, tra compaesani, nelle relazionalità del lavoro contadino e dell’infanzia. La diffusione capillare delle trasmissioni televisive a partire dal 1953 (si pensi a programmi di esplicita alfabetizzazione come Non è mai troppo tardi, dal 1960) e successivamente l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 14 anni – con l’introduzione della scuola media unica avviata dai governi di centrosinistra nel 1963 – avrebbero enormemente accentuato il fenomeno della recessione se non della scomparsa dei dialetti a vantaggio dell’italofonia. Dai territori dei dialetti si è passato alla parlata unica della nazione. Nel dialetto si era sempre sottolineato la povertà espressiva pregiudizio linguistico-comunicativo e culturale. Da questo momento in poi, attraverso i maggiori mezzi di diffusione (la scuola, la stampa e, da ultimo, la televisione) si è determinata una lingua standard, comune a tutti i ceti e agli strati sociali, anche se, almeno in Italia, tra lingua standard e dialetto sono riconoscibili diversi gradi intermedi, che sono poi quelli legati alle singole realtà locali (regionali, provinciali, fino a quelle cittadine, più chiuse e particolaristiche). Ma il materiale popolare, dialetto compreso, di pascolismo sentire, riprenderà nel tempo quel processo identitario che meglio incarna e dà risposte a narrazioni che rispondono a tempi e spazi fatti di feste popolari, il lavoro della terra, la politica, la religiosità che partendo dai canti popolari di ossianico sentire diventano percezione psicologica e sociologica di appartenere a questa o quella comunità con i suoi lessemi, fonemi, ritmi e così via. Tutto questo viene ripreso da Domenico (Mimmo )Rizzo e Massimo Brundia nei due corposi volumi “Marricordu” e “Ancora Marricordu” sostenuti da un ricercato vocabolario che fa della parlata di Maieratto un tratto distintivo rispetto ai territori circostanti (Sant’Onofrio, Filogaso, Monterosso, Capistrano) le cui narrazioni poetiche diventano narrazione di fatti e circostanze impregnati di spagnolismi, francesismi, latinismo, grecismi e per alcuni contenuti presentanti nel verso anche di ebraismo. In questo senso il piano dialettale dei due poeti di Maierato diventa letteratura che già in passato (1960) divenne parlata di studio presso l’Università di Pittsburgh.