Ha sconvolto l’Italia il brutale omicidio di Martina Carbonaro, la ragazza di 14 anni uccisa ad Afragola dall’ex fidanzato 19enne Alessio Tucci.
La ragazza sarebbe morta dopo lunghi minuti di agonia in seguito ai colpi alla testa inferti con una pietra. È quanto emerge dall’ordinanza con cui il giudice del Tribunale di Napoli Nord, Stefania Amodeo, ha confermato la custodia cautelare in carcere per Tucci; come riferito da diversi quotidiani, tra cui l’autorevole “Corriere della Sera”.
Questa morte ci impone di guardare in faccia un male profondo, un male che si annida nel cuore e nelle menti di troppi uomini e che si trasforma in violenza cieca e possessiva .
Martina a soli 14 anni, aveva la vita davanti, i sogni, l’amore, le amicizie, la scuola, invece è stata uccisa brutalmente da chi diceva di volerle bene.
Dati alla mano , delle centotredici donne uccise in Italia in meno di un anno, 73 sono state uccise dal proprio partner; siamo di fronte ad una grave emergenza che va combattuta al più presto, perché questa maledetta scia di sangue non si fermerà, se si continua solo a parlarne , a fare ipotesi e a scrivere striscioni che non servono a niente.
Perché oggi un uomo non è capace di accettare la fine di un rapporto?
Analizzando il problema , vediamo che gli autori dei femminicidi sono persone incapaci di sostenere e accettare limitazioni ai loro desideri e alla loro volontà.
Non sono capaci di accettare la fine di un rapporto e voltare pagina; non sono capaci di gestire una perdita e costruire un altro futuro.
Ed ecco che arriva la scelta di uccidere, eliminare l’altro che mi ha messo davanti alla mia incompetenza a soffrire.
L’altro che mi ricorda che ho dei limiti che non posso accettare.
La rabbia e gli atti di aggressione consentono per un secondo, per un breve momento, di sentirmi di nuovo forte e non vedere i miei limiti e i miei problemi.
Si uccide e si fugge.
Ma dove cercare le colpe?
Indubbiamente nella famiglia che è totalmente assente; nella società che come una piovra cattura i giovani con i tentacoli dell’effimero; nelle droghe che bruciano il cervello; nella scuola che ha perso l’autorevolezza, presa da burocrazia, da registri e verbali da riempire, insegnanti privati da quello che un tempo era la centralità dell’insegnamento; dai media che rappresentano la donna come un oggetto da possedere e sfruttare a proprio uso e consumo.
Dovremmo insegnare ai ragazzi ad essere consapevoli e fiduciosi delle proprie risorse emotive, ad avere rispetto per l’altro e per la vita unica e preziosa.
Insegnare ai giovani maschi che le donne non sono oggetti predatori e proprietà degli uomini, ma essere indipendenti e non appartenenti.
Rispettare la donna è imperativo di civiltà e deve essere una priorità assoluta per le famiglie, per la scuola e per le istituzioni.
La Chiesa, attraverso i suoi insegnamenti e le catechesi, può fare tantissimo , ma sono i genitori a dover seminare nei propri figli i semi della fede .
La morale si apprende nei primissimi anni di vita!
Crescere i figli lontano dalla Chiesa, lontano dalla fede è sbagliatissimo.
Ricordiamoci che il primo a dare dignità alla donna è stato Gesù Cristo!
Lontano dal bene si può incontrare solo il male.
Lo Stato dovrebbe prendere decisioni drastiche: l’ergastolo senza appello, senza sconti di pena, senza scusanti.
Non accettiamo l’annosa ”incapacità di intendere e di volere”, perché chi uccide una donna lo fa con lucidità ed intenzione.
Mentre scrivo, il mio pensiero va a tutti i genitori che hanno perso la propria figlia a causa di un femminicidio.
Il loro dolore è straziante, atroce e mai se ne andrà , non cesserà mai.
Per questi genitori, per queste mamme la vita finisce, si ferma per sempre.
Al borgo natio le sagge vecchiette dicevano che nella vita qualsiasi problema può essere risolto, ma mai la morte, e soprattutto mai la morte di un figlio/a.
E’ inaccettabile parlare ogni giorno di femminicidio: le panchine rosse ,le marce, i titoloni sui giornali, i palloncini bianchi e le trasmissioni televisive non servono a niente.
Si deve intervenite con leggi durissime e con le famiglie che tornino ad essere famiglie, a non abbandonare i figli ai social, ai media, alla troppa libertà che si trasforma in mancanza di rispetto, in libertà di uccidere, in libertà di vandalizzare.
Non ultimo restituire alla scuola il suo primordiale compito: insegnamento e autorevolezza.
Ridare serenità ai docenti.
Ricordo la scuola che io ho frequentato e che mi ha trasmesso solo bellezza; mi riferisco alla scuola prima dei Decreti Delegati del 1977 , della scuola dove c’era il maestro “unico” dispensatore di cultura, insegnamenti e valori.
Torniamo umani, mettiamo ordine, toniamo ai valori autentici, alla fede, altrimenti ci saranno altre Martina, altre mamme che piangeranno, come in questo momento la mamma di Martina , a cui va il nostro abbraccio e tutto il nostro amore.
Caterina Sorbara
- Tags: Afragola, famiglia, Femminicidi, Martina Carbonaro, violenza