La Calabria è la terra delle sorprese. Quando pensi al grande patrimonio storico-culturale di questa regione ti vengono difatti in mente grandi poli culturali. Invece una delle particolarità di questa terra è che persino in paesino di poco più di settecento anime, presso la cosiddetta Costa dei Gelsomini, puoi trovare un autentico tesoro, quale è, per l’appunto, la villa romana e i mosaici di Casignana in provincia di Reggio Calabria. Un borgo agricolo – i cui fatti storici durante il periodo dell’avvento del fascismo ispirarono liberamente lo scrittore Mario La Cava per il suo romanzo I fatti di Casignana – un tempo possesso della famiglia Carafa, con presenza di fonti termali e che vive di agricoltura e di allevamento con produzione di agrumi, olive e uva, da cui si ricava il Greco e il Mantonico, vino dolce da dessert, e nel quale sopravvive una tradizione artigianale, riguardante la tessitura casalinga di coperte con graziose decorazioni.
Nel 1963, in occasione dei lavori per la costruzione dell’acquedotto del Lovito, presso la strada statale 106 Ionica venne scoperto un complesso residenziale e termale del I sec. d.C. circa ricchissimo di mosaici, tanto da essere definito dagli studiosi uno dei complessi più importanti di epoca romana dell’Italia Meridionale, e con il più vasto nucleo di mosaici finora ritrovato in Calabria. La villa – che si ritiene possa essere appartenuta ad un console romano o forse a un ricco proprietario terriero e sorgeva probabilmente sull’antica strada di collegamento tra Locri Epizefiri e Rhegion – venne poi indagata sistematicamente dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria a partire dagli anni ottanta del secolo scorso e dal 1998 il sito è gestito dal comune di Casignana che ha acquisito i terreni limitrofi con il contributo della Comunità montana dell’Aspromonte orientale, permettendo di ampliare l’area a suo tempo indagata. Secondo gli archeologi fu sicuramente abitata dal I al IV secolo d.C. – fase questa a cui corrisponde il livello del massimo sviluppo dell’edificio che raggiunse allora un’estensione di 5000 mq – e poi abbandonata nel V secolo, presentando però tracce di frequentazione fino al VII secolo.
Secondo l’auterovole opinione del professor Domenico Siclari, esperto in management e valorizzazione del patrimonio culturale, “La struttura si estende per circa 8.000 mq, all’interno dei quali è possibile rinvenire l’esistenza di oltre venti ambienti con un cortile centrale, attorno al quale si ergono le terme, un giardino decorato con una fontana monumentale, le latrine, altri vani di servizio e la zona residenziale. In particolare l’impianto termale, suddiviso nelle terme orientali e in quelle occidentali, si presenta in buono stato di conservazione e, accanto alle partizioni termali, spiccano in tutta la loro bellezza le pavimentazioni pregiate” tra i quali quello figurato del frigidarium (“sala delle Nereidi”), datato al III secolo, che raffigura in grandi tessere bianche e verdi un thiasos marino con quattro figure femminili che cavalcano un leone, un toro, un cavallo e una tigre terminanti con una coda di pesce. Di grande rilievo anche la “Sala di Bacco” dotata di un mosaico che raffigura il dio in stato di ebbrezza sorretto da un satiro. E’ interessante rilevare la presenza del tema iconografico del vino, quanto mai significativa in una terra in cui si produce un’eccellenza enologica come il celebre vino Greco di Bianco, di antichissima origine. Sul versante marino della villa si trova un complesso residenziale con alcune sale decorate con mosaici pregiati, come la “Sala delle quattro stagioni” e la “Sala absidata”, il più grande ambiente finora venuto alla luce. Su questo sito poi sono già state realizzate opere infrastrutturali di vario genere, quali un edificio per le attività didattiche, uffici nell’edificio moderno che sorge in prossimità della villa, impianti per lo smaltimento delle acque e impianti di videosorveglianza, potenziati nei mesi scorsi. Ma l’intervento più imponente, indispensabile per la conservazione e la fruizione della villa è stata la copertura definitiva dell’intero nucleo di ambienti a monte della S.S. 106. Grazie alla copertura è stato possibile realizzare una serie di percorsi sopraelevati che si snodano all’interno degli ambienti termali, consentendo l’apprezzamento dei mosaici e dei pavimenti a intarsi marmorei. Per consentire poi una miglior salvaguardia di questi rivestimenti pregiati è stata installata una stazione per il monitoraggio delle condizione microclimatiche e sono stati effettuati tutti gli interventi di restauro necessari alla conservazione delle parti dell’edificio rimaste fuori della copertura ed è stato inoltre completato lo scavo archeologico del nucleo centrale del complesso, che ha portato alla luce, tra l’altro, nuove stanze con pavimenti a mosaico. Un sito quindi da visitare.