Il Venezuela, paese produttore di petrolio e che quindi, almeno in teoria, dovrebbe essere una delle economia trainanti del Sudamerica è ostaggio da oltre un anno di un aspra diatriba tra il presidente “socialista” Nicolas Maduro e l’opposizione democratica che controlla il Parlamento. Crisi politica che si somma ad una gravissima crisi economica provocata da anni di scelte economiche scellerate dei governi di Hugo Cháveze e dello stesso Maduro.
La crisi ha raggiunto ormai ogni strato sociale della popolazione ed è così estesa e possente che dagli scaffali dei supermercati venezuelani sono ormai scomparsi, persino beni di prima necessità, come riso, farina, olio, pasta, zucchero o prodotti di igiene personale. Si stima che nel paese manchi ormai circa l’80% dei prodotti di base, l’inflazione è stimata attorno al 720% e così molti venezuelani viaggiano per giorni interi, percorrendo oltre 1.500 km per raggiungere il Brasile, fare provviste e poi tornare a casa a sfamare le proprie famiglie.
Una situazione che ha spinto anche la chiesa a scendere in campo tramite l’autorevole voce dell’Arcivescovo di Caracas, il cardinale Jorge Urosa Savino che in un messaggio letto nelle messe di domenica 1 gennaio 2017 ha affermato che, “il non riconoscere le facoltà dell’Assemblea Nazionale, ha istituito una vera e propria situazione di dittatura, ignorando la volontà popolare espressa nel dicembre 2015. La sofferenza di milioni di venezuelani chiede al governo di risolvere la gravissima crisi alimentare e di farmaci che attraversiamo, causata dall’applicazione di un sistema economico sbagliato, che attribuisce allo Stato il controllo totale dell’economia. Mai prima d’ora così tanti venezuelani hanno dovuto cercare il cibo nella spazzatura!”
Una situazione che ha spinto migliaia di venezuelani a emigrare verso i paesi vicini, Brasile in primis, con scene che ricordano l’esodo dei rifugiati che sta investendo il Vecchio continente. E secondo le autorità brasiliane, in media oltre 100 venezuelani attraversano ogni giorno la frontiera alla ricerca di cibo, assistenza sanitaria e migliori condizioni di vita.
Ad essere investito da questa ondata migratori – ironia della sorte – non è però la parte più ricca del Brasile, quella delle grandi metropoli di Rio de Janeiro e São Paulo che distano quasi cinquemila chilometri dal confine venezuelano ma lo stato brasiliano confinario di Roraima uno dei più poveri del paese sul quale si sono riversati 50mila venezuelani a fronte di una popolazione complessiva di appena 500mila abitanti che per venire qui hanno attraversano la foresta per sfuggire ai soldati, dato che il confine è ufficialmente chiuso su ordine del presidente venezuelano Maduro.
Questo afflusso, visibile nelle scene quotidiane che si svolgono nelle città brasiliane poste immediatamente oltre il confine – dove è possibile scorgere centinaia di venezuelani che chiedono l’elemosina per strada o dove, i più fortunati, caricano le loro auto fino all’inverosimile con tutti i prodotti che non riescono più a reperire in patria – ha comportato due conseguenze negative per l già asfittica economia del piccolo stato di Roraima: il primo è la crescita esponenziale dei prezzi (+23%) che sta erodendo progressivamente il già scarso potere d’acquisto dei residenti brasiliani; il secondo è la concorrenza spietata che i nuovi arrivati venezuelani fanno ai locali nell’accaparrarsi i lavori dato che la manodopera venezuelana costa la metà di quella brasiliana.
Anche il sistema sanitario risulta ormai prossimo al collasso poiché i venezuelani coprono il 70% delle prestazioni sanitarie erogate, tanto che iniziano a mancare medicinali, come antinfiammatori e antitermici e sono riapparse malattie che in brasile erano state da tempo debellate. Le scuole hanno visto quadruplicare il numero di alunni iscritti. La quantità di spazzatura per le strade è talmente aumentata da non venire più smaltita adeguatamente. La fornitura d’acqua è diventata insufficiente. Inevitabili anche i riflessi sull’ordine pubblico con un’impennata dei crimini in modo particolare dei furti.
Una situazione che ha spinto la governatrice di Roraima, Suely Campos, ha dichiarare lo stato di emergenza mentre alcuni politici locali stanno facendo pressioni su Brasilia, protestando veementemente contro l’assenza del governo federale.
Per colmo di sfortuna poi, il governo brasiliano, dal canto suo, si trova ialle prese con una grave crisi economica con un Pil in contrazione del 10% e ciò rende impossibile dislocare risorse per fronteggiare l’emergenza dei profughi venezuelani. Inoltre per poter accogliere in maniera adeguata i venezuelani il Brasile dovrebbe riconoscere loro lo status di rifugiati, ma ciò significherebbe automaticamente ammettere che in Venezuela vige un regime che non rispetta i diritti umani, con gravi conseguenze sotto il profilo delle relazioni bilaterali con Caracas. Una situazione che potrebbe cambiare solo se le Nazioni Unite dichiarerebbero il Venezuela, paese dove vengono praticate violazioni massicce e sistematiche dei diritti dell’uomo.
Esasperati, molti abitanti di Roraima hanno iniziato a protestare. Insomma è latente il rischio di una guerra tra poveri. Un’altra guerra dimenticata dai media che purtroppo parlano pochissimo di questi fatti.
Maduro intanto tira dritto e ha annunciato oggi un rimpasto di governo lanciando un segnale di cambiamento alla popolazione, per quanto secondo molti si tratterebbe solo di un maquillag. Al ministero delle disastrate Finanze venezuelane va Ramon Lobo, che ricoprirà anche la carica di vice-presidente all’Economia. Al ministero del Petrolio, Eulogio Del Pino viene sostituito da Nelson Martinez, già a capo di Citgo, la raffineria nel Texas controllata dalla compagnia petrolifera statale PDVSA. Sarà lui il volto del Venezuela per l’OPEC. Un altro nome importante è quello di Tarek El Aissami, 42 anni, che prende il posto del settantenne Aristobulo Isturiz alla carica di vice-presidente, diventando così il nuovo numero due del regime chavista.
Cosa cambia per la morente economia venezuelana? Praticamente, nulla. Tutti i nuovi nomi arrivano dalla solita cerchia del Partito Socialista, in cui non esiste alcuna opposizione o anche solo un minimo dissenso sulle politiche del presidente in carica, che hanno ridotto al collasso l’economia nazionale. Per capire ancora una volta di più di cosa parliamo, basterebbe dare uno sguardo a un dato su ogni altro: l’offerta monetaria. Il cosiddetto aggregato M3, che la BCE monitora per stimare l’inflazione in un orizzonte temporale fino a 18 mesi, era di appena 10,6 miliardi di bolivar nel 1998, mentre nel 2010 risultava già esploso a 290 miliardi. Tuttavia, è con Maduro che s’impenna, praticamente triplicando nell’ultimo anno a 7.514 miliardi (ottobre 2016).