L’8 maggio del 1940 – ottanta anni fa – si spegneva a Roma Cesare Pascarella, il grande poeta romanesco. All’anniversario l’Associazione Culturale Anassilaos, congiuntamente con lo Spazio Open, dedica ancora un incontro in “remoto” in attesa di poter incontrare gli amici, disponibile sul sito Facebook di Anassilaos e su You Tube a partire dal 13 giugno.
A parlare del poeta sarà la Prof.ssa Francesca, Neri la cui conversazione è inserita in un ciclo dedicato alla grande poesia vernacolare del nostro Paese.
Nato a Roma il 28 aprile del 1858 Cesare fin da bambino dimostrò un carattere ribelle al punto che i genitori lo rinchiusero in un seminario gestito dai Gesuiti da cui fuggì proprio il 20 settembre 1870, all’udire i colpi di cannone che annunciavano la breccia di Porta Pia e la caduta del potere temporale dei papi. A scuola si racconta che contro il parere degli insegnanti parlasse il romanesco ritenendolo espressione della Roma dei Cesari. Entrato all’Accademia di Belle Arti preferiva alle esercitazioni accademiche andare in giro per la campagna romana per realizzare bozzetti all’aperto. Tra i suoi soggetti preferiti spiccava l’asino ed egli amava definirsi “pittore d’asini”. Fece parte degli artisti di “Via Margutta” e cominciò a scrivere sui periodici della capitale facendosi apprezzare per i suoi versi in romanesco e collaborando, soprattutto, con la rivista “Il Capitan Fracassa” sulle cui pagine pubblicò nel 1881 i primi sonetti tra i quali A li giochi de li cavalli che sarebbe stata, con i titolo Li pajacci la poesia di apertura della raccolta del 1900. La voce poetica è quella di un popolano che parla il romanesco. Questo consente al poeta di creare narrazioni e storie in versi attraverso la voce del popolo di Roma la cui lingua non è , a suo parere, una favella rozza ma un idioma di grande dignità e forza. Oltre che sulle pagine del “Il Capitan Fracassa” Pascarella pubblicò anche sulla rivista “Cronaca bizantina” ed entrò in rapporto amicale con Gabriele d’Annunzio. Tornato da un viaggio in India, nel 1886 pubblicò i 25 sonetti di Villa Gloria (Villa Glori in realtà) nei quali celebrò l’eroismo di Enrico e Giovanni Cairoli nei giorni ultimi della Repubblica Romana (1849). L’opera fu esaltata da Giosuè Carducci e diede al poeta una fama nazionale. Intanto l’artista si dedicava alla stesura de “La scoperta de l’America” (Roma 1894), cinquanta sonetti che ripercorrono la vicenda di Colombo, narrata sempre attraverso gli occhi e la lingua di un popolano romano. Il successo del poema diede a Pascarella una notorietà nazionale e lo fece apprezzare anche all’estero. A partire dai primi anni del 900’ cominciò a dedicarsi al poema Storia nostra con cui si riprometteva di ripercorrere le vicende di Roma antica e del Risorgimento in 350 sonetti.
L’opera, all’incirca 267 poesie, apparve postuma all’indomani della scomparsa del poeta nel 1941, pubblicata dalla Reale Accademia d’Italia di cui egli era, fin dal 1930, componente.
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