Nonostante dobbiamo propri ai nostri cugini francesi, il fatto di essere diventati una nazione dopo essere stati divisi per secoli in tanti stati e staterelli, non si può dire che i rapporti tra le due nazioni mediterranee, siano sempre stati ottimi anzi. Quando Cavour strappò a Napoleone III, a Plombieres, nel 1859, l’agognato aiuto transalpino contro l’Austria, il sovrano francese non voleva affatto uno stato italiano unitario ma almeno quattro – un Piemonte allargato al Lombardo Veneto e all’Emilia Romagna, un Regno dell’Italia centrale, il Lazio da far rimanere al Papa e un Regno dell’Italia meridionale da affidare a Luciano Murat e quindi, inevitabilmente, sotto influenza francese – preferendo quindi un vicino debole e facilmente controllabile. Le cose, lo sappiamo andarono diversamente, ma gli intrighi francesi ritardarono l’annessione di Roma all’Italia fino al 1870. E quando il giovane stato italiano, provò a mettere un piede in Tunisia, i francesi occuparono prontamente la regione che divenne un loro protettorato. E le cose non migliorano neanche dopo la prima guerra mondiale – quando con la Francia fummo alleati – dato che i francesi cercarono di rintuzzare le nostre pretese territoriali sul confine orientale creando uno stato artificiale – la Jogoslavia – in grado di tenerci testa o quantomeno di impensierirci. Dopo la famosa “pugnalata alla schiena” inferta da Mussolini ai francesi, nel 1940, i rapporti italo francesi, toccarono il punto più basso tanto che, capovoltesi le sorti della guerra a favore degli Alleati, solo grazie alle pressioni americane, gli stessi, non procedettero all’annessione della Val d’Aosta e di un bel pezzo di Piemonte. Le cose poi cambiarono con la nascita della Comunità Europea nel 1957, ma non vi è dubbio che ancor oggi, in molti settori – dall’arte ai vini, dalla buona cucina alla moda e dai film al calcio – la rivalità italo-francese tocca sempre vette inusitate.
Rivalità che nell’ultimo decennio ha prepotentemente investito il fronte economico. Con i francesi che – pezzo dopo pezzo – hanno acquisito il controllo di interi settori dell’economia nazionale, aiutati anche dal fatto che Parigi ha mantenuto intatte quasi tutte le sue imprese pubbliche e le ha anzi potenziate, mentre in Italia, quando nel 2011, il ministro delle finanze Tremonti, propose di trasformare Cassa Depositi e Prestiti, in uno strumento di intervento, fu schernito persino dal suo collega di partito, il forzista Antonio Martino, il quale, dichiarò su “Italia oggi” che “quando è una società estera a fare shopping in Italia c’è un afflusso di capitali che fa bene alla nostra economia”.
E così, nel frattempo, e forse senza neanche accorgercene, siamo diventati una semi-colonia economica francese. L’elenco infatti delle acquisizioni fatte dai nostri cugini transalpini è impressionante. Si comincia nel febbraio 2006, quando a seguito dell’annullamento dell’Opa di Unipol, il Gruppo Bnp Paribas, manifesta l’intenzione di acquisire Bnl, operazione poi condotta a termine, con la piena integrazione tra i due soggetti avvenuta diciotto mesi dopo. Nel 2007, è invece Credit Agricole a prendere il controllo delle banche al dettaglio Cariparma e Banca Popolare FriulAdria. Nello stesso anno poi, è Groupama a fagocitare Nuova Tirrenia, una compagnia del gruppo Toro specializzata nel ramo danni. A seguire, Amundi, aquisisce il controllo di Pioneer cedutogli dall’italiana Unicredit. E’ poi la volta di Telecom, azienda della quale i francesi di Vivendi diventano il primo azionista, arrivando a detenere il 25% del capitale. E i francesi la fanno da padrone anche nei strategici settori dell’agroalimentare – dove acquistano Parmalat facendo suoi, anche tutti gli storici marchi proprietà di questo gruppo tra cui Galbani, ed Eridania – e del lusso – dove acquistano Pucci, Fendi, Bulgari, Loro Piana, e altri marchi famosi. E’ il turno poi di altri marchi come Pomellato, Richard Ginori, Brioni, Moncler, Henry Cotton’s e Marina Yachting. E i francesi non restano con le mani in mano, neanche nello strategico settore dell’energia, dove Edf prende il controllo di Edison e Suez diventa primo azionista privato dell’utility romana Acea, mentre nel settore dei trasporti Fiat decide di vendere Fiat Ferroviara ad Alstom. Se a tutto ciò, poi aggiungiamo il fatto che, milioni di famioglie italiane, fanno ormai la spesa nelle catene della cosiddetta “grande distribuzione” francese – Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin – si capisce che l’accerchiamento è completo.
Altri dati lo confermano: Da cinque anni a questa parte, approfittando della crisi e delle basse quotazioni di borsa, il valore delle acquisizioni francesi è stato di ben 24 miliardi, rispetto agli 11 miliardi delle imprese italiane e le acquisizioni italiane di imprese francesi, come Carte Noir acquisita da Lavazza, oppure Grand Marnier acquistata da Campari, si contano sulla punta delle dita. E dove Parigi non è riuscita a mettere le mani, ha piazzato – come una sorte di cavallo di Troia – manager di peso nei vari consigli di amministrazione.
Inoltre conti alla mano siamo il terzo Paese per investimenti stranieri in Francia, dopo Stati Uniti e Germania – 17 miliardi di euro nel solo 2015 – e la Francia detiene 329 miliardi di dollari sui complessivi 914 dell’intero debito pubblico nazionale.
E i vicini non sono ancora sazi. Proprio in questi giorni difatti, il magnate bretone Vincet Bollorè – l’uomo che vuole diventare il numero uno delle tlc in Europa – sta muovendo le sue pedine sui vari scacchieri. Il primo obiettivo, ormai è chiaro, è Mediaset, della famiglia Berlusconi. Poi gli analisti finanziari prevedono che Bollorè intende procedere ad una stretta intesa tra Telecom Italia e Orange al fine di coinvolgere la spagnola Telefonica, dando vita ad un colossale impero economico.
Ovviamente di fronte ad un offensiva di tale portata, dobbiamo anche noi fare mea culpa – sia la classe politica sempre distratta e anche le nostre imprese (Mediaset stessa ha sbagliato molte mosse e non ha saputo prevedere i segnali di pericolo che si addensavano sulla sua testa) – e non è che il problema risieda nel fatto che su Mediaset si alzerebbe una bandiera rosso-bianco-blu quanto piuttosto il fatto che – come rilevato oggi dal giornale La Stampa – con Mediaset “francesizzata” e unita a Telecom, si verrebbe a creare una enorme concentrazione di potere mentre già si intravedono le prime mosse di un’altra partita e cioè l’acquisizione di Generali da parte della francese Axa.
Berlusconi è stavolta in un’evidente difficoltà e – ironia della sorte – forse dovrà rivolgersi ai non tanto stimati giudici e ad un governo di centrosinistra, per parare il colpo, ammesso che ci riesca. Governo che intanto prepara una disperata contromossa cercando di far saltare l’intesa Telecom- Orange, mettendo in campo Cassa Depositi e Prestiti.
Una cosa è certa: mentre “A Roma si discute Sagunto è presa e incendiata” (questa volte non da Annibale e dai suoi Cartaginesi ma dai Galli) e sbaglia chi si rallegra, per pura ripicca politica, dell’offensiva scatenata su Mediaset che può piacere o meno, ma è una delle ultime grande industrie ancora sotto controllo italiano – persino gli Agnelli hanno spostato la loro sede legale in Olanda – e prima di esultare bisognerebbe pensare anche un dettaglio non secondario: Se Mediaset cadesse sotto il controllo di Bollorè, quale influenze avremmo sulla prossima campagna elettorale?