L’amore per la Calabria negli scritti di Mario La Cava di Pino Neri

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<Ti ringrazio del buon concetto che hai di me, come scrittore. Però io non appartengo all’area degli scrittori moderni che tu prediligi>. Così scriveva Mario La Cava nelle sue lettere indirizzate a Pino Neri nelle quali non nascondeva neppure il timore che nessuno si ricordasse di lui dopo una vita dedicata a raccontare la Calabria, i suoi misteri, le sue lotte contadine.

 

M_lacava_foto1Quattro lettere che m’ha inviato, dopo la conoscenza personale e la grande stima, presso il Liceo Classico di Nicotera, dove l’ho invitato per parlare della Sua opera, e l’incontro è stato letterario, piacevole, ricco di un messaggio veramente pacato interiormente, aperto alle nuove istanze del postrealismo della scuola calabrese ( Seminara, Strati, Calogero, primo cinquantennio del secolo, e poi gli altri della newgeneration, da Abate a Gangemi). Mi scrive il 2 settembre 1980; l’11 gennaio 1981; il 9 ottobre 1985; il 29 gennaio 1986, ma il dialogo orale è stato ancora più intenso, perché ( insieme relatori sul mondo delle lettere in Calabria) apprezzavo il suo impegno, la scrittura, il suo itinerario artistico, il legame di passione con le lotte contadine del primo dopoguerra, per i “Caratteri” – promosso da Vittorini nei “Gettoni”; “I fatti di Casignana” e i”Colloqui con Antonuzza”. Mi parlò a lungo del suo mondo calabrese, la passione d’essere uno che non si staccò dalla sua terra, l’entusiasmo di sapere vivere in Calabria, nella sua Bovalino testimoniando anche con una certa commozione sulle lotte contadine, sulla miseria di certi ambienti devastati dal malcostume, sui calabresi, anche loro “vinti” dal proprio destino enunciato dal vivere “lento”, senza luce di progresso. (“Parlerò della cultura in Calabria, con riferimento alle mie opere, specialmente a quella che si trova in commercio ”Viaggio in Israele”, che è anche di attualità per certe impressioni e giudizi sparsi in essa.) (1985).

M_lacava_foto5Non aveva La Cava una gratuita retorica o una estraneità ai fatti della Calabria, che invece, da come si poneva evidenziava stanchezza, desolazione, ma anche passione, solitudine e tristezza, forse anche per non essere capito per come si doveva. Ho già scritto che se Alvaro ha rappresentato una parte della Calabria dimenticata, anche se ricca di un naturale fascino, La Cava rappresenta la passione, l’umanità, il sociale, un rapporto con l’umanità orizzontale dove emerge il rilievo di un mondo che non finisce con la rabbia e con l’emigrazione. Ma c’è rabbia e dolore nella sua opera e nel suo animo, il timore che dopo una vita dedicata alle lettere nessuno si ricordi di lui. Mi scrive: “ Poiché temo che nessuno sappia niente di me porterei qualche mio articolo o racconto da leggere, se gli umori del pubblico fossero favorevoli o ci fosse del tempo.” ( 9.X.1985), Invece si stupi’ nell’avere trovato moltissime valide presenze e un pubblico piuttosto notevole a cui non è stato necessario leggere alcuno dei suoi racconti, perché molti in mano avevano i famosi “Caratteri” e “ I fatti di Casignana”. Nella Lettera del 9 ottobre 1985 si legge ancora : “Ti ringrazio del buon concetto che hai di me, come scrittore. Però io non appartengo all’area degli scrittori moderni che tu prediligi. L’interpretazione non è il mio forte. E’ vero che sono uno scrittore sincero e tale qualità, che tu sembri apprezzare, ti renderebbe più accettabile la mia opera, della quale pochi oggi si accorgono.”

M_lacava_foto4La Cava non si identificava col mondo degli scrittori moderni ( ho già ripetuto “ con la conflittualità” dei moderni), infatti teneva a chiarirmi che scrittori si nasce, si ha dentro una “vena”, un’esigenza di scrivere di se stessi ma anche del proprio mondo, contrapponendosi alle tendenze di una letteratura fuorviante, in nome di una scrittura sorvegliata che esprimesse anche il tragico mondo dei contadini di quel periodo, della miseria di un dopoguerra devastante, fuori dal rotocalco dei neoclassicisti freddi e impersonali, perché la qualità dello scrittore, l’utilità,il pregio, la sofferenza diventano poi un costante bisogno di raccontare la realtà. Ha voluto parlare con me e scrivermi anche della sua prima formazione letteraria dove, affabulatrice e maestra di vita è stata la figura di sua madre. Il primo vero maestro e portavoce dell’amore e della verità fu questa donna, un po’ madre, un po’ autodidatta in campo letterario, che lo spinse a indagare sui caratteri umani, sul suo mondo, sulla realtà che lo circondava, e da qui un suo “manzonismo” realista, una narrativa decisamente legata alla denuncia sociale, all’indagine sulla società sacrale- agricola, alla denuncia della condizione del sottoproletariato nel prolificarsi delle dottrine socialiste ( “I misteri della Calabria- 1952; “Colloqui con Antonuzza”-1954; “Le memorie del vecchio maresciallo”—1958; “I fatti di Casignana”—1975), la testimonianza diretta di un Sud con le rivolte contadine—tematica anche di Leonida Repaci- , coi fremiti delle ribellioni per la quotizzazione delle terre, certo fuori da un calligrafismo retorico e aristocratico di Levi, per il recupero della coscienza della sofferenza di un popolo che cerca luce di progresso sociale.

M_lacava_foto3Temi cari anche alla cultura del romanzo “calabrese” di Saverio Strati che ha cercato, anche lui, in tutta la sua opera, da “La Marchesina” alla “Conca degli aranci”, il manifesto di un Sud sfruttato dai classici padroni, tra miseria, ignoranza, oppressione sociale, dove bambini, donne, lavoro, sono il risultato di un’emarginazione spaventosa, senza alcuna luce di progresso sociale. Ebbe a dichiararmi : “M’illusi che sarebbe stato facile trovare un onesto guadagno con i miei scritti e che non mi avrebbe nociuto troppo il mio persistente ritiro in paese e il mio rigido non conformismo.”, e poi mutando il registro della sua scrittura,il 2.IX.1980 ebbe a scrivermi ancora: “Vi informo che non dovrebbe tardare ad uscire l’operetta “Viaggio in Egitto e altre storie ‘emigranti” presso Scheiwiller. Ho finito di scrivere “Gli allegri studenti di Siena”, romanzo che s’affianca a “L’Amica”, romanzo ancora inedito. “L’Amica” sarebbe un romanzo che potrebbe ricordare “Madame Bovary”, mentre “Gli allegri studenti” sarebbero la mia educazione sentimentale. Tenete presente che “nei Caratteri” uno dei miei motivi è l’odio alla stupidità provinciale; un altro motivo è quello dell’idillio campestre, nel quale concentro la mia filosofia della vita.”. Con lui il rapporto, come con Saverio Strati, è stato d’amicizia intellettuale, ma profonda, vera,perché molte altre volte ci siamo incontrati, abbiamo parlato sul “destino” della cultura e della letteratura calabrese, ricordando le bellissime pagine di Alvaro e di Repaci, i grandi della generation per quel linguaggio particolare che serve a descrivere anche determinati momenti del tempo trascorso, atmosfere piacevoli che stupiscono per la capacità di concentrare nelle parole stesse le immagini della nostra Calabria, terra,allora sfruttata, disamata, emarginata, ma ricca di una vivacità intellettuale ancora forte, ancora sanguigna.

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