La devozione religiosa dei “vattienti” di Nocera Terinese.

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Nell’ambito delle celebrazioni liturgiche nei giorni che precedono la Pasqua a Nocera Terinese (Catanzaro), una tradizione locale ancora oggi particolarmente sentita è quella costituita dalla lunga processione funebre del sabato santo, che ripropone il rito dei vattienti, eredi, forse, della tradizione medievale dei disciplinati, che esprimono la loro partecipazione al lutto collettivo attraverso una pubblica autoflagellazione con una intenzionale effusione di sangue.

Questo rito ci viene spiegato nel dettaglio dall’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia secondo cui “si tratta di un rituale penitenziale, ma anche spettacolare, praticato in segno di devozione o di voto per una grazia chiesta o ricevuta davanti al gruppo ligneo della Pietà, o come i noceresi preferiscono chiamarla, dell’Addolorata, una Madonna seduta con il figlio morto in grembo. I penitenti, cinti il capo con una corona di spine, si battono le cosce nude con due piattelli rotondi di sughero, su uno dei quali sono conficcate punte di vetro, il sangue sgorga abbondante e il loro sacrificio umano diventa un segno materiale di espiazione. Il rito occupa un posto centrale nel calendario festivo nocerese e, nonostante i numerosi tentativi di proibizione da parte delle autorità ecclesiastiche, resiste e si ripete ogni anno, seguendo un rituale articolato e scandito secondo modalità consolidate da una antica tradizione culturale condivisa e seguita da tutta la comunità che esprime la sua partecipazione corale al dolore di una madre per la morte del figlio”.

L’interminabile e drammatica processione della Madonna Addolorata e del Cristo morto si svolge a Nocera Terinese il sabato santo. La mattina esce dalla chiesa dell’Annunziata il corteo aperto da un fedele che porta la grande croce. che deve essere nascosta alla vista della statua della Pietà, è un “fratello”, appartenente alla congregazione laica che gestisce l’intera cerimonia e che sembra derivare dall’antica Congregazione della Santissima Annunziata. A notevole distanza, per far in modo che la Madonna non scorga la croce, segue la Pietà lignea seicentesca, scolpita secondo la tradizione in un unico tronco di pero selvatico da uno scultore che perse immediatamente la vista per non poter più ripetere un simile capolavoro. La Pietà, seguita da migliaia di persone e portata a spalla dal gruppo dei fratelli – i membri della confraternita, che indossano un saio bianco e recano sul capo una corona di erba spinosa – viene trasportata in processione per l’intero paese con ritmo lento e cadenzato, effettuando soste presso le chiese, all’interno delle quali sono stati allestiti i Sepolcri, davanti ad edicole sacre, a case e negozi di fedeli. I due simulacri devono incontrarsi fino alla ridiscesa alla processione, cioè quasi al termine della cerimonia.

Mentre la processione si snoda lungo la via principale della città al suono della banda musicale che intona la jone, una sorta di marcia funebre, in vari punti dello spazio urbano, un gruppo di uomini si prepara ad un antico rito che costituisce la fase più singolare della cerimonia: si tratta dei flagellanti o vattienti, cioè di coloro i quali in segno di devozione si percuotono le cosce e le gambe fino a provocare una abbondante fuoriuscita di sangue, una penitenza che ha l’intento di purificare se stessi ed i propri cari dai peccati commessi.

La “preparazione” del il penitente consiste in un energico massaggio dei polpacci e delle cosce con un infuso di rosmarino, preparato precedentemente in una caldaia di rame, per rendere parzialmente insensibili cosce e gambe che percuoterà, durante la processione, con gli strumenti rituali, la rosa e il cardo, piattelli di sughero dello spessore di 5 cm e del diametro di circa 10, il primo liscio, il secondo provvisto di 13 schegge di vetro, dette lanze. L’abito rituale del vattiente consiste in un pantalone corto ed una maglietta di colore scuro, sulla testa il mannite, un largo fazzoletto nero sul quale poggia una corona di spine di asparago selvatico – sparacògna – intrecciato in modo da non provocare ferite. Legato al flagellante da una lunga corda, è il suo accompagnatore, Acci’om, l’Ecce homo, spesso un ragazzo od un bambino. Questi, generalmente parente del vattiente, porta sulle spalle una croce di legno con i bracci obliqui avvolta da bende e nastri di tessuto scarlatto, il suo abbigliamento rituale consiste in un panno rosso che dalla vita scende fino alle caviglie, è scalzo ed ha in testa la corona di spine ricavate da un arbusto detto spinasanta. Con loro è anche una terza persona, l’Amicu, il portatore di vino, che avrà il compito di versare, sulle gambe sanguinanti, vino misto ad aceto, per disinfettare, ma anche per impedire l’immediata coagulazione del sangue cghe esce dalle ferite.

Prima di uscire e di compiere la flagellazione rituale, il battente si arrosa, cioè si bagna le mani nell’infuso di rosmarino e si riscalda i polpacci delle gambe e delle cosce, poi si percuote con, e col cardo. Terminate le fasi preparatorie, i penitenti sono pronti ad uscire per le strade del paese per compiere la loro prima flagellazione in pubblico che avviene davanti all’edificio dal quale escono in strada. Dopo aver strofinato la parte con un ruvido tappo, il penitente si percuote le gambe prima con la rosa, allo scopo di far affiorare più velocemente il sangue nei capillari e poi con il cardo picchia sui punti arrossati per far scorrere lungo le gambe i rivoli di sangue con cui viene segnato il petto nudo dell’Ecce homo. Compiuto questo primo atto rituale, il vattiente, di corsa, insieme all’Acci’omu e all’Amicu si dirige verso il cuore della processione.

I Vattienti si muovono per le strade in gruppi o in coppie isolate precedendo o seguendo la processione e, all’improvviso, sbucano da una strada e si avvicinano al gruppo dell’Addolorata, i confratelli allora fermano la statua ed i flagellanti, dopo essersi fatti il segno della croce, possono dare dà a questo rito antico e cruento, versando il loro sangue ai piedi della Vergine che alla fine viene baciata in segno di adorazione. Concluso il giro, che può durare anche più di un’ora, i penitenti fanno ritorno al luogo dell’iniziazione e si lavano ripetutamente le ferite con l’infuso di rosmarino per favorire la loro rimarginazione, quindi, rivestiti di tutto punto escono nuovamente per unirsi al corteo che segue la Pietà.

La processione prosegue così al gran completo il suo lungo peregrinare e, nel ridiscendere, raggiunge per la seconda volta Pizzu Cacàtu, il luogo che nell’immaginario popolare simboleggia il monte Calvario. Qui il fratello che ha portato la grande croce sta attendendo la statua della Pietà che, giunta, viene posta su un tavolo precedentemente apparecchiato: la Madonna si ricongiunge idealmente a suo figlio, da questo momento il fratello che porta la grande croce non deve più nasconderla al suo “sguardo”. Ripreso lentamente il cammino e dopo circa otto ore di pellegrinaggio, il simulacro della Pietà fa il suo rientro nella chiesa dell’Annunziata.

Madonna Addolorata o Maria Dolorosa, l’Addolorata oppure Madonna dei sette dolori (Mater Dolorosa) sono tra gli appellativi con cui viene invocata dai cristiani Maria, la madre di Gesù. La tradizione popolare ha assimilato la meditazione dei Sette Dolori nella devota pratica della “Via Matris” che, al pari della Via Crucis, ripercorre le tappe importanti delle sofferenze di Maria per la passione e la morte di suo figlio. Le processioni penitenziali, tipiche del periodo quaresimale, comprendono infatti anche la figura della Madre dolorosa che segue il Figlio morto, l’incontro sulla salita del Calvario, Maria posta ai piedi del Crocifisso. Queste processioni assumono l’aspetto di vere e proprie rappresentazioni, fortemente coinvolgenti, specie quelle dell’incontro tra il simulacro di Maria vestita a lutto e addolorata e il Cristo crocifisso. A Nocera Tirinese questo rito si compie con una solenne e intensa partecipazione popolare.

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