Il professore Vito Teti – docente universitario all’Unical e noto antropologo – è una personalità di spicco del panorama cultuirale vibonese al quale spesso piace condividere sui social network spaccati di vita e tradizioni della sua terra e della nostra regione in generale. E’ proprio ieri – in occasione della ricorrenza del santo – il prof. Teti ci ha ricordato una bellissima tradizione che si svolge proprio al suoa paese natale, San Nicola da Crissa, piccolo centro urbano di meno di duemila anime abbarbicato sulle Serre vibonesi e cioè la tradizione dei panetti di San Atonio.
“Nel mio paese, ancora oggi, come in tante altre comunità della Calabria e del Sud, – h scritto Teti su facebook – vengono benedetti e offerti i «panetti» durante la festa di S. Antonio, di S. Rocco e di altri santi. In passato durante le feste, nei riti di transizione e di passaggio, il pasto rituale stabiliva e rinsaldava legami familiari e di gruppo, metteva in contatto vivi e defunti, propiziava future abbondanze. La funzione unificante e di rafforzamento dei legami sociali e di creazione di nuove relazioni è presente etimologicamente nel termine «compagno», che deriva da companio, composto volgare di cum (insieme, con) e panis (pane)”.
Siamo oggi in presenza di ritualità – ha affermato ancora il docente – che hanno una valenza e un senso diversi dal passato, ma che comunque rivelano il persistere di un legame affettivo con il cibo, di un rapporto fisico e sacrale con gli alimenti, quasi s’intenda conservare memoria di antiche privazioni e manifestare, talora, disapprovazione per recenti sprechi. Non serve interpretare queste forme di convivialità e di condivisione come residui di un passato che non passa: si tratta spesso di invenzioni recenti e protagonisti non sono anziani nostalgici di un tempo di fame, ma giovani, giovanissimi, bambini che vivono nell’abbondanza e forse cercano nuovi modelli e un nuovo senso del cibo. Certo se i paesi che si svuotano, e sono a rischio bambino, si concentrassero sulle colture e sulle culture, sulle bellezze e sulle risorse dei luoghi, invece che inseguire desueti e improbabili e fallimentari vie di sviluppo assistenziali e clientelari, forse potrebbero incominciare ad arrestare il declino, almeno ad immaginarlo. Almeno a provarci”.
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