La scomparsa di Giuseppe Galasso una perdita per la cultura meridionale.

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Si sono tenuti oggi a Napoli i funerali di Giuseppe Galasso, storico, giornalista, politico e professore universitario nonchè insigne interprete del meridionalismo.

Nacque a Napoli nel 1929: figlio di un artigiano vetraio, era rimasto orfano di madre nel 1941 e aveva fatto un po’ di tutto, anche lo sguattero e il facchino, per aiutare a mandare avanti la famiglia. L’intenso amore per la lettura, maturato precocemente, ne aveva poi indirizzato il percorso”[1]. Prese “prima l’abilitazione magistrale, nel 1946, al «Pasquale Villari», poi l’anno dopo la licenza liceale all’«Umberto», da privatista”. Laureatosi in storia medievale, e successivamente in lettere conseguita presso l’Università Federico II di Napoli, vinse nel 1956una borsa di studio messa a disposizione dall’Istituto Italiano per gli Studi Storici, di cui sarebbe divenuto successivamente segretario. Nel 1963 ottenne una libera docenza ed insegnato nelle università di Salerno, Cagliari e Napoli. È stato ordinario di Storia Medievale e Moderna presso l’ateneo fredericiano dal 1966. È stato eletto preside della Facoltà di Lettere e filosofia della stessa università dal 1972 al 1979. È stato docente di storia moderna all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli. È stato presidente della Società napoletana di storia patria dal 1980; membro del consiglio scientifico della Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino. È stato presidente della Biennale di Venezia dal dicembre 1978 al marzo 1983 e della Società Europea di Cultura dal 1982 al 1988. Dal 1977 è stato socio dell’Accademia dei Lincei. Dal 1979 al 1993 ha diretto la rivista Prospettive Settanta, ha fatto parte del comitato direttivo della Rivista storica italiana, diretto la Storia d’Italia edita dalla Utet e la rivista L’Acropoli edita dalla Rubbettino.

La cultura storiografica gli fece porre la massima attenzione sull’idea di libertà politica: «non è per caso – egli afferma – che i modelli della moderna libertà in Europa fossero generalmente ravvisati ed esaltati nella storia delle antiche città greche e di Roma repubblicana. Soltanto quando agli inizi del XIX secolo fu istituito un confronto analitico e specifico fra la ‘libertà degli antichi’ e la «libertà dei moderni» si cominciò ad acquisire una più conveniente coscienza di ciò che il mondo moderno aveva innovato e trasformato nell’idea antica di libertà».

Tra il 1983 e il 1987 è stato sottosegretario al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali (primo e secondo governo Craxi). In tale qualità è stato autore di una serie di decreti ministeriali che hanno imposto vincoli su diversi beni paesaggistici (cosiddetti “galassini”).

All’attività accademica e politica, Galasso intrecciò anche un’intensa attività giornalistica, in veste di editorialista e di protagonista di dibattiti culturali: tra i tanti, quello dell’aprile 2007 sul “Corriere della Sera” attorno all’omologazione del Risorgimento – e poi della Resistenza – come brigatismo ante-litteram, da lui nettamente respinta[5]. Ha collaborato a numerosi quotidiani e periodici nazionali: Il Mattino di Napoli, Il Corriere della Sera, La Stampa, L’Espresso, tra le principali. Diresse la rivista Comprendre, organo ufficiale della Fondazione veneziana “Società Europea di Cultura”.

Secondo Emanuele Macaluso, Giuseppe Galasso «fu una delle personalità della cultura italiana che si impegnarono nell’agone politico non solo attraverso i libri, le riviste, e i giornali, ma nei partiti e in parlamento. Questo impegno assunse un carattere particolare nel Mezzogiorno. A questo proposito basti ricordare due riviste, “Nord e Sud” di ispirazione laica e repubblicana diretta da Francesco Compagna, intellettuale e parlamentare repubblicano e “Cronache meridionali” diretta da Giorgio Amendola, Mario Alicata e Francesco De Martino. Rileggere i nomi (tra cui Galasso), i contributi culturali e le polemiche che si intrecciarono tra le due riviste aiuta a capire cosa significarono non solo per il Mezzogiorno ma per tutto il Paese».

Giudicato “degno e agguerrito successore del crociano di stretta osservanza Carlo Antoni”, fu in effetti autore di saggi filosofici e di studi su Benedetto Croce, del quale ha curato la riedizione delle opere per la casa editrice Adelphi. La pubblicistica storiografica ha attraversato tutto il prolifico arco della vita di Galasso, che per l’editore Laterza ha curato una Storia d’Europa[10]. Peraltro, le sue pagine sul Risorgimento hanno delineato “le specificità e le particolarità della nostra storia nazionale, rivisitano le tappe fondamentali che hanno permesso la creazione dello Stato nazionale unitario”: il «nuovo ordine italiano» conferma, secondo Galasso, «che le apparenze di precarietà, di ambiguità, di contraddittorietà, di debolezza di questa storia non ne inficiavano il dinamismo, per quanto diversi per consistenza e qualità potessero essere gli approdi di tale dinamismo. Forza della debolezza, inevitabile, e al tempo stesso preziosa».

È autore di numerose pubblicazioni sulla storia dell’Italia meridionale (ha tra l’altro diretto una Storia del Mezzogiorno d’Italia con Rosario Romeo). Studiando il Vicereame spagnolo e ed il regno borbonico, affermò che “Napoli fu per il Mezzogiorno perfino di più di quel che Parigi fu per la Francia prima e dopo la Grande Rivoluzione”: la «nazione napolitana», della quale si cominciò a parlare sempre più dalla fine del secolo XVI, ebbe “nella capitale del Regno il suo principale e più determinante crogiolo, e come tale per lunghissimo tempo riconosciuto e accettato; e avrebbe costituito un retaggio destinato a perdurare anche a di là dell’unificazione italiana nel 1861. Nel secolo XVII, e ancor più nel XVIII e nel XIX, la coscienza napoletana si nutrì largamente dell’orgoglio di avere una grande capitale, degna di figurare tra le maggiori città d’Europa, in posizione naturale felicissima e seducente, ricca di memorie classiche e recenti, con una vita artistica e culturale di grande spessore e per lunghissimo tempo piena di novità e di invenzioni, animata nelle sue strade da una vivacità e molteplicità cromatica e sonora della sua folla cittadina senza pari in Europa, quale apparve anche a Goethe e a tanti altri spiriti eletti della cultura italiana ed europea”. Eppure, a suo modo di vedere, “Il monopolio, il centralismo e la centralità di Napoli nella vita del Regno non valse, peraltro, ad assicurare un’omogeneizzazione tale da assorbire e risolvere totalmente in sé la personalità delle dodici province del Regno”.

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