“Nei giorni scorsi il TAR ha annullato il commissariamento degli AA. TT. CC. della Calabria, ritenendo il provvedimento illegittimo. Nel mese di settembre il Presidente della Giunta Regionale, con proprio decreto, in ossequio alla delibera di Giunta Regionale n. 359 del 10/08/2017, ha proceduto al commissariamento degli Ambiti Territoriali di Caccia della Calabria disponendo la nomina di commissari in sostituzione dei rispettivi Comitati di Gestione, espressione delle varie associazioni di categoria, e dei loro presidenti democraticamente eletti, facendo salvi invece l’Assemblea dei soci e il collegio dei revisori dei conti. Nello specifico, tra l’altro, in provincia di Vibo Valentia, il Presidente della Regione e la Giunta, a differenza delle altre province calabresi, laddove invece si è scelto di nominare commissari i presidenti uscenti, hanno individuato quali commissari altre figure. In questo caso i commissari prescelti dall’organo politico regionale, ma ciò sarà sicuramente un caso, sono risultati essere dirigenti del Partito Democratico. Il commissariamento degli ambiti ha lasciato molto perplessi i componenti dei comitati di gestione dei due ATC vibonesi, i quali, ritenendo che, alla luce della normativa vigente, non si ravvisasse alcuna motivazione, in larga parte hanno presentato ricorso unitamente alle associazioni venatorie. A distanza di qualche mese il TAR Calabria, con proprio pronunciamento, ha dato ragione ai ricorrenti, ritenendo illegittimo tale provvedimento”.
Ad affermarlo in una nota pervenuta alla nostra redazione è un gruppo di componenti dell’ex comitato di Gestione dell’ATC VV 2
“Il decreto di commissariamento, peraltro, – si legge nella nota in questionme – è stato disatteso dalla stessa Regione che lo ha emesso in quanto lo stesso ente non ha provveduto, nei termini previsti dal medesimo dispositivo, a ricostituire gli organismi dirigenti entro la data del 30 di settembre come da loro stessi dettato. Dispositivo, già nell’immediato, apparso ai più impraticabile e per alcuni versi strumentale, anche in considerazione che tale Decreto riportava la data del 20 settembre. Tuttavia il Presidente della Giunta Regionale, invece di procedere alla nomina dei nuovi componenti per come da esso stesso disposto, nel mese di dicembre ha ritenuto di reiterare il provvedimento, rinnovando l’incarico ai commissari”.
“Oltre alla gravità del provvedimento, – si legge ancora – peraltro non previsto da alcuna norma, la scelta di commissariare gli ambiti, soprattutto nel pieno delle attività e a pochi giorni di distanza da alcune scadenze, tra l’altro fissate proprio dalla Regione Calabria, si è rivelata di grave danno per gli associati e ha palesato gravi contraddizioni. Ma cosa è cambiato con il commissariamento? Logica vorrebbe che le istituzioni, in questo caso la Regione, avesse scelto per il meglio. Eppure i dati dicono l’esatto contrario. In questi mesi l’attività dell’ambito si è sostanzialmente paralizzata, tanto che per la prima volta, a differenza del passato, fino a pochi giorni fa non risultava ancora approvato il bilancio di previsione 2018, il cui termine è fissato dalla legge al 30 settembre dell’anno precedente. La notifica del commissariamento ha in sostanza impedito al Comitato di Gestione di approvare il bilancio nella seduta già convocata in data 26 settembre. Molte delle attività, abitualmente, garantite dal Comitato di Gestione non sono state realizzate. Non è stato realizzato ne programmato il ripopolamento faunistico, nonostante una quota della tassa regionale versata da ogni singolo cacciatore è destinata, per legge, a questa attività. Non sono stati realizzati corsi e le altre attività che hanno caratterizzato l’ambito negli scorsi anni. Soprattutto è venuta meno l’essenza vera della legge; gli ambiti, introdotti dalla legge 157/92, nell’intenzione del legislatore rappresentano il punto d’incontro tra le varie realtà che a vario titolo hanno interessi sulla materia, ovvero cacciatori, agricoltori, ambientalisti ed enti locali. Quindi un esempio concreto di gestione partecipata e di cittadinanza attiva, principio questo, a quanto pare disatteso da un provvedimento che sa di vecchia politica e di interessi malcelati”.
“Alla luce dei fatti – concludono i firmatari – viene spontaneo chiedersi per quale motivo un ente, in questo caso la Regione, che ha il compito di ottimizzare i risultati, ha invece deciso di far venir meno il confronto tra le parti sociali accentrando la gestione con risultati evidentemente peggiorativi? L’emanazione della sentenza, poi, impone una seria riflessione sulle motivazioni che hanno spinto la Giunta Regionale e il suo presidente a porre in essere un provvedimento che, per come stabilito dalla giustizia amministrativa, si è rivelato illegittimo in assenza di una benché minima motivazione che ne giustificasse la ratio”.