Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno Marco Minniti, a norma dell’articolo 143 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (Tuel), ha deliberato, in ragione delle riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata, lo scioglimento del Consiglio comunale di Limbadi, così come di Bompensiere (CL), Caivano (NA), Manduria (TA) e Platì (RC).
La commissione di accesso agli atti si era insediata l’8 agosto 2017 varcando, per la seconda volta, il portone del Comune. Inviata dal prefetto di Vibo Valentia, Guido Nicolò Longo, la commissione formata dal Capo Gabinetto della Prefettura, Roberto Micucci, il commissario di Polizia, Antonio Lanciano e il tenente dei Carabinieri di Tropea, Renato Lanzolla, ha avuto il compito, per 180 giorni, di prendere visione ed esaminare i numerosi atti emanati a partire dal 2015 da parte dell’amministrazione comunale guidata dal sindaco Giuseppe Morello per accertare possibili irregolarità ed eventuali ingerenze della criminalità organizzata, riconducibile al clan Mancuso, nell’attività dell’Ente.
La prima commissione d’accesso agli atti si era insediata in Comune nel marzo del 2013, in seguito all’operazione antimafia “Black money” che avrebbe documentato il diretto sostegno elettorale del boss Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, in favore di alcuni candidati risultati poi eletti.
Da giugno 2015, Morello e la sua squadra erano alla guida della cittadina dopo aver vinto una sfida a due contro la lista guidata da Rosalba Sesto. Fino ad allora, l’Ente, dall’aprile 2014, era stato nelle mani di Lucia Iannuzzi, vice prefetto vicario di Vibo, chiamata nelle vesti di commissario straordinario a traghettare il Comune fino alle consultazioni elettorali, dopo le dimissioni del sindaco Francesco Crudo e di tutta la sua maggioranza che costituiva l’intero consiglio comunale a seguito delle precedenti dimissioni dell’opposizione guidata dallo stesso Morello.
Limbadi mantiene il triste primato di essere stato, nel 1983, il primo comune d’Italia sciolto per mafia anche se allora non era ancora in vigore la legge contro le infiltrazioni mafiose negli enti locali. A sciogliere il consiglio comunale fu il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, in quanto era risultato primo degli eletti il boss Francesco Mancuso, “don Ciccio”, latitante durante la campagna elettorale e al momento del voto, con “illustri” precedenti penali per estorsione, lesioni, associazione mafiosa, detenzione e porto abusivo di armi, reati contro il patrimonio e tanto altro. Ma anche all’interno del consiglio comunale risultavano eletti soggetti ritenuti legati alla cosca Mancuso.