Nuovo ordine mondiale già nato
Il peso crescente dell’Asia negli affari internazionali non è certo una novità, anche se gli europei tendono in genere a sottovalutarlo. L’ascesa della potenza giapponese tra ’800 e ’900, conclusa dall’apocalisse atomica, sembrò indicare che le nazioni asiatiche dovevano comunque accettare che il loro destino fosse deciso altrove. E che gli americani avevano il diritto di dominare Paesi geograficamente molto distanti dal loro.
L’inattesa sconfitta in Vietnam cominciò a insinuare dubbi consistenti nell’opinione pubblica Usa; dubbi che per parecchio tempo non vennero condivisi dai governanti di Washington, sempre convinti che la vittoria nella seconda guerra mondiale avesse fornito agli Stati Uniti una sorta di dominio perpetuo, tacito e accettato dalla maggior parte delle nazioni asiatiche.
Lo scenario è cambiato in modo radicale con l’ascesa della Cina al ruolo di potenza globale. Ruolo che alcuni studiosi avevano in qualche modo previsto, ma non certo in tempi così rapidi. E si tratta di un’ascesa assai diversa da quella nipponica, che era basata più che altro sulla potenza militare.
La Repubblica Popolare di potenza militare parla poco, anche se poi mostra i muscoli quando le sembra opportuno. Per esempio nel Mar Cinese Meridionale dove ha in pratica occupato molti atolli strategici. Preferisce invece far leva sul suo potere economico e commerciale che la condurrà, salvo eventi eccezionali, a diventare la prima potenza globale del mondo sorpassando gli Usa in un futuro non troppo lontano.
Occorre tuttavia chiedersi se il sorpasso non sia per caso già avvenuto, magari sfruttando la percezione negativa che la politica ondivaga di Donald Trump proietta all’estero. Se davvero così fosse, si tratterebbe della logica conclusione di un percorso incredibilmente rapido che ha portato la RPC a misurarsi con gli americani ad armi quasi pari, vendicando i secoli che avevano ridotto l’Impero cinese al rango di vassallo delle potenze coloniali occidentali.
Può sembrare, quello appena fornito, un quadro troppo favorevole alla Cina. Eppure se analizziamo l’ultimo vertice dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico), tenutosi pochi giorni fa a Singapore, notiamo subito che i membri dell’Asean si sono ben guardati dall’appoggiare Washington (rappresentata dal vice di Trump, Mike Pence), manifestando invece interesse per quello che Pechino aveva da dire.
Tutto ciò nonostante questi Paesi abbiano contenziosi con la Cina: si pensi per esempio a Vietnam, Filippine e Thailandia, e molti di essi siano “alleati storici” degli Usa. A spiegare questo fatto non basta la vicinanza geografica del colosso asiatico, né la presenza di consistenti minoranze cinesi nei loro territori (a Singapore i cinesi sono addirittura maggioranza).
C’è qualcosa di più, e non si sbaglia dicendo che l’America, a dispetto del persistente successo della sua cultura popolare (il “soft power”), viene percepita come un Paese in declino proprio mentre l’ascesa della Cina sembra inarrestabile. Percezione del resto condivisa da Vladimir Putin, lui pure presente al vertice di Singapore, che non a caso ha proposto l’espansione a Oriente della sua Unione Economica Eurasiatica (Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan).
Nel Sud-est asiatico la politica protezionista e basata sui dazi di Trump è giudicata negativamente e vista quale potenziale fattore di instabilità, mentre quella di Xi Jinping, fautrice di liberi scambi commerciali, è valutata con grande favore. Inutile sottolineare, perché è già stato fatto molte volte, la stranezza di questa situazione. I comunisti (o presunti tali) cinesi e vietnamiti su posizioni liberiste, i capitalisti americani invece protezionisti.
Come è stato più volte ribadito da fonti autorevoli, il nuovo ordine mondiale – non ancora emerso con chiarezza – si giocherà sullo scacchiere asiatico. Protagonisti la Cina in ascesa e gli Stati Uniti in declino. Comprimaria principale la Federazione Russa di Putin, comprimari secondari Giappone e India. L’Unione Europea conta poco in tale quadro, e in pratica nulla conta l’Italia. Insomma: un nuovo ordine mondiale è in via di formazione e noi ne facciamo parte solo a rimorchio di altri.
In collaborazione con Ennio Remondino, per approfondimenti www.remocontro.it
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