Spagna. Il centro destra in migliaia per protestare contro il processo ai leader della Catalogna.

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Il 10 febbraio i leader di tre partiti di destra spagnoli sono riusciti a portare decine di migliaia di persone nella centralissima piazza Colón, a Madrid, per protestare contro il primo ministro Pedro Sánchez e chiedere che il leader del Partito socialista spagnolo (Psoe) convochi le elezioni il prima possibile. Il Partito popolare (Pp), il gruppo di centrodestra Ciudadanos e il nuovo arrivato di estrema destra Vox hanno attirato una folla di 45mila persone, anche se secondo gli organizzatori erano duecentomila. La manifestazione di Madrid si è svolta due giorni prima dell’inizio del controverso e molto atteso processo contro i leader della secessione catalana che hanno guidato la fallita dichiarazione di indipendenza del 2017. Il processo si aprirà il 12 febbraio presso la corte suprema spagnola, che ha convocato circa 500 testimoni. Le audizioni dovrebbero durare circa tre mesi, e tra i testimoni ci saranno l’ex primo ministro Mariano Rajoy, la sindaca di Barcellona Ada Colau e il presidente del parlamento catalano Roger Torrent. E questa non è l’unica data chiave di questa settimana. Il 13 febbraio il congresso spagnolo dovrà voltare la legge di bilancio del 2019, e la mancanza di un sostegno sufficiente potrebbe far cadere il governo di Sánchez e portare a elezioni anticipate.

Nuovi leader
La protesta di domenica a Madrid ha dato origine a un’immagine inedita: il leader del Pp, Pablo Casado, quello dei Ciudadanos, Albert Rivera, e quello di Vox, Santiago Abascal, che posano insieme per una foto. Era un’immagine che, finora, Rivera aveva cercato di evitare, viste alcune politiche controverse di Vox, che ha recentemente ottenuto una vittoria a sorpresa nelle elezioni regionali andaluse. L’appello per le dimostrazioni era nato la settimana scorsa dopo una tempesta politica per la decisione del governo di accettare un osservatore ai colloqui sulla Catalogna. Non è chiaro quale sarebbe stato il ruolo nei colloqui di questa figura – che era stata descritta come un incrocio tra un relatore, un mediatore e un notaio – ma l’opposizione ha detto che era una concessione ai separatisti catalani, che avevano ripetutamente chiesto una mediazione internazionale.

Domenica i manifestanti hanno sfilato con lo slogan “Per una Spagna unita. Elezioni ora!”. “Fuori gli occupanti dalla Moncloa”, ha ripetuto il leader di Vox Abascal, alludendo alla sede del governo a Madrid. Dato che Sánchez è salito al potere con una mozione di sfiducia, e che il Psoe ha appena 84 seggi al congresso, dove per avere la maggioranza sono necessari 176 voti , “occupante” è un termine usato regolarmente contro di lui dall’opposizione.

Vox , un partito che al momento non ha rappresentanti al congresso, è riuscito domenica letteralmente a posizionarsi al livello del Pp, un partito che ha governato la Spagna per quasi 15 anni, e con un altro, Ciudadanos, che conta 32 seggi al congresso. Ciò che è emerso chiaramente dalla manifestazione del 10 febbraio è che Il Pp ora deve condividere il palcoscenico con Vox e Ciudadanos se vuole cacciare Sánchez dal potere.

Il processo del secolo

Quello che succederà nella corte suprema nelle prossime settimane segnerà lo scenario politico catalano e spagnolo per mesi, forse anni. Durante le udienze alcuni dei principali leader del referendum del 1 ottobre 2017, e della successiva e fallita dichiarazione di indipendenza, appariranno sul banco degli imputati e saranno affrontati temi come l’egemonia all’interno del movimento indipendentista, la data delle prossime elezioni in Catalogna o quanto probabilmente Pedro Sánchez (in foto) concluderà l’anno come primo ministro.

Per molte settimane, l’attenzione sarà concentrata sul convulso ottobre del 2017 e sui mesi che lo hanno preceduto. Il movimento indipendentista – almeno quello ufficiale – non crede di dover fare una pubblica autocritica sul perché non ha raggiunto i suoi obiettivi. Gli imputati si concentrano sulla difesa della loro innocenza, e negli scritti difensivi emergono due argomenti: primo, che, al contrario di quello che dice l’accusa, non c’è stata violenza, e quindi non si può parlare di ribellione. E che, se violenza c’è stata, è stata solo nella repressione della polizia. Il secondo argomento è che indire un referendum non è più un crimine dal 2005, quando José Luis Rodríguez Zapatero lo ha rimosso dal codice penale.

Dodici dei principali leader del movimento per l’indipendenza rischiano pene detentive altissime. L’ex vicepresidente catalano Oriol Junqueras, identificato come il capo dei rivoltosi in assenza dell’ex presidente Carles Puigdemont, la peggiore: il pubblico ministero chiede 25 anni per ribellione e l’avvocatura dello stato, che ha declassato il reato a sedizione, 12 anni. Per gli altri si oscilla tra i 17 anni chiesti dalla procura per Jordi Cuixart, Jordi Sànchez e Carme Forcadell e i 16 anni per gli altri componenti del governo catalano – Joaquim Forn, Jordi Turull, Josep Rull, Raul Romeva e Dolors Bassa – e i sette anni per disobbedienza e appropriazione indebita chiesti per gli ex consiglieri Santi Vila, Carles Mundó e Meritxell Borràs. Il caso ha voluto che la stessa settimana il congresso esaminerà per la prima volta la legge di bilancio presentata dal governo di Pedro Sánchez. Se i partiti catalani la bocceranno, in risposta a ciò che considerano una persecuzione politica in tribunale, il presidente avrà difficoltà a raggiungere il 2020, come vorrebbe.

Il movimento per l’indipendenza ha preparato il processo per oltre un anno. La legislatura catalana, che è nata con il forcipe a maggio, è stata vuota di contenuti, che aspettavano solo che ci fosse una sentenza. I detenuti in custodia cautelare hanno completamente condizionato l’attività politica, a cominciare dall’estetica: dei grandi nastri gialli occupano i sedili dei detenuti e degli “esiliati” in ogni sessione plenaria del Parlamento.

Ciò non significa che l’attuale governatore sappia cosa fare dopo. Quim Torra, che non ha nascosto la sua vocazione di presidente ad interim, ha annunciato più volte che non accetterà condanne, ma non ha mai spiegato cosa significhi. Il capo del governo catalano minaccia un’altra dichiarazione di indipendenza, ma fonti del governo ammettono che una delle alternative considerate come una risposta è quella di indire delle elezioni, per cercare di sfruttare l’indignazione che le eventuali condanne genereranno nel movimento indipendentista.

In realtà, il processo arriva in un momento in cui il confronto perenne tra Puigdemont e Junqueras sembra al suo apice. “Socrate e Seneca potevano fuggire, e non l’hanno fatto”, ha detto Junqueras a Le Figaro riferendosi a Puigdemont, fuggito in Belgio. Il destinatario del messaggio ha risposto: “Avrò pazienza fino alla sentenza, poi ognuno spiegherà ciò che deve spiegare” .

L’ex presidente seguirà il processo da Waterloo. Nel corso degli ultimi mesi dovrà catturare l’attenzione del movimento indipendentista e già nelle ultime settimane ha ipotizzato un suo ritorno in Catalogna.

Il processo metterà in mostra una battaglia emozionante e le sue conseguenze sono difficili da prevedere. Il governo teme che diventerà un missile che distruggerà il precario ponte che sta cercando di costruire con la Catalogna. E, in questo amalgama di alleati inaspettati e interessi inconciliabili, sia l’opposizione sia una parte del movimento per l’indipendenza sperano di vedere i pilastri di quella struttura precipitare il più rapidamente possibile.

Fonte : Internazionale. (Traduzione di Stefania Mascetti)

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