“Esprimiamo forte preoccupazione per il clima di isolamento e indifferenza nei confronti delle recenti inchieste giudiziarie condotte dalla Procura della Repubblica di Catanzaro in materia di corruzione e infiltrazione mafiosa nella pubblica amministrazione”.
Ad affermarlo Spartaco Pupo e Giancarlo Costabile, docenti del Dipartimento di Culture, Educazione e Società dell’Università della Calabria. “Il lavoro condotto dalla magistratura antimafia in Calabria – dichiarano -, e in modo particolare da Nicola Gratteri, sta evidenziando un contesto di diffusa illegalità che, pur in attesa dei doverosi approfondimenti e riscontri processuali, mette già in risalto la drammatica condizione in cui versa il tessuto socio-economico della nostra regione e, di conseguenza, la tenuta complessiva delle istituzioni e dell’ordine democratico. Se non si interviene in questa fase, il rischio – continuano i docenti dell’Unical – è di dover rassegnarci a convivere con apparati politico-istituzionali gravemente inquinati, attraversati da poteri paralleli e occulti, secondo un modello di organizzazione delle relazioni sociali di stampo tipicamente sudamericano, più che europeo. Le minacce e le diffide al procuratore Gratteri rendono ancora più urgente una presa di posizione netta da parte della società civile e culturale di questa terra, a partire dalle università, che non possono scegliere come registro il silenzio, ma devono piuttosto trovare il coraggio di far sentire la propria voce a sostegno di chi, come Gratteri, è impegnato in prima linea non solo nei confronti della repressione dell’apparato militare delle cosche, ma anche verso la destrutturazione di quelle dinamiche di corruzione e feudalità che attraversano la storia delle classi dirigenti locali”.
Il voto di scambio tra politica e mafie, denunciato dai due docenti durante un convegno tenutosi ad Arcavacata già nel novembre 2016, sarebbe la prova inconfutabile della storica vocazione delle classi dirigenti calabresi al rapporto con i poteri occulti deviati e massomafiosi, “una tendenza – affermano – che va compiutamente messa in discussione e stigmatizzata pubblicamente con prese di posizione ufficiali, senza ambiguità e reticenze di sorta, per costruire, nello spazio pubblico e della convivenza civile, una vera “cultura dello Stato”, come amava chiamarla il giudice Paolo Borsellino. Il compito delle università, soprattutto in Calabria, non è solo quello di laureare i nostri giovani ma è anche quello di promuovere un percorso di formazione critica delle coscienze in grado di farsi educazione alle regole e acquisizione dei princìpi e valori fondanti dello Stato. La legittimazione, sotto ogni forma, tacita o palese, dell’anti-Stato, in una terra in cui lo Stato, attraverso i suoi uomini migliori, cerca di affermarsi come potere civilizzatore, non è più ammessa”.