Natale questa magica e meravigliosa festa, affonda le sue radici nella Roma pagana. Infatti, l’imperatore Aureliano aveva istituito, il 25 dicembre una festa denominata: ”Il Natalis Solis Invicti”, il Natale del Sole invitto, in cui si celebrava con sfarzose cerimonie e giochi, il nuovo sole rinato dopo il solstizio invernale. Tutti i cristiani erano affascinati da questa festa e la Chiesa romana, preoccupata per la nuova religione che poteva essere di ostacolo per la diffusione del Cristianesimo, pensò bene di celebrare nello stesso giorno, il Natale di Gesù Cristo.
Se ci fermiamo un attimo e facciamo un’attenta riflessione, leggendo il Vangelo di Luca, vediamo che nel periodo in cui nacque Gesù, c’erano a Betlemme dei pastori che facevano di notte la guardia al gregge. I pastori Ebrei, però, partivano per i pascoli all’inizio della primavera e tornavano in autunno, possiamo benissimo dire, che la vera nascita di Gesù, potrebbe essere tra la fine di marzo e il primo autunno. Infatti, fino al principio del IV secolo, il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi, il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio. Ma veniamo adesso a quello che era il Natale di un tempo nella Piana di Gioia Tauro. Un tempo il clima natalizio era pieno di gioia, una carica di entusiasmo, che iniziava il 16 dicembre, con l’inizio della novena.
Anche se le vecchine già il 30 novembre iniziavano a dire così:” Sant’Andrea portau la nova/ à lu 6 è di Nicola/à l’8 è di Maria/ à lu 13 è di Lucia/ à lu 21 San Tommasu canta/ à lu 25 la nascita Santa”. Gli zampognari scendevano dalle montagne e iniziavano la novena davanti ai presepi, incominciando a suonare, stando 9 passi lontano da questi. La distanza andava diminuendo ogni giorno di un passo, così l’ultimo giorno della novena suonavano vicinissimi ai presepi.
Nei paesi in cui gli zampognari non arrivavano, c’erano delle orchestrine che suonavano la mattina presto, prima della messa, per le vie del paese. Tutte le famiglie partecipavano alla novena, nessuno restava a casa. All’alba la campana della Chiesa suonava, portando la gioia dell’attesa nel cuore di tutti. Nei presepi si respirava l’odore intenso del muschio che, i ragazzi la mattina presto raccoglievano. Le statuine erano semplici e belle, in legno, le casette in cartone e per laghetto uno specchio rotto. L’albero di Natale presentava solo semplici addobbi, fatti in casa, come biscotti, bucce d’arancia o piccole ghirlande. La sera della vigilia sul caminetto, ardeva un pezzo di legno “u cippu”, che non si doveva spegnere perché serviva a scaldare il Bambinello appena nato.
Prima di metterlo sul fuoco, veniva coronato con dell’edera e circondato da 12 pezzettini di legno, che stavano a simboleggiare gli apostoli e i 12 mesi dell’anno.
Questa usanza si ricollega agli antichi romani, quando il “pater familias” sacrificava ai Lari e ai Penati, esercitando così l’ufficio di sacerdote. Sempre gli antichi romani, avevano il costume di non lasciare spenta la lucerna, perché ritenevano di cattivo augurio spegnere il fuoco. Sulla tavola la sera della vigilia, c’erano 13 pietanze e, tra queste, non mancavano mai: noci, noccioline, castagne al forno,mele, agrumi, frittelle di baccalà con verdure, pesce stocco rigorosamente di Cittanova e le zeppole(i zippuli), specie di frittelle impastate con patate, farina e lievito. La preparazione delle zeppole era una festa per tutta la famiglia. Le prime, venivano preparate il giorno dell’Immacolata e poi la vigilia di Natale. Anche questo rituale ,ci riporta agli antichi romani, che preparavano delle frittelle durante i Saturnali.
C’erano poi i torroni che, venivano fatti artigianalmente con zucchero, noccioline americane, con pezzetti di ghianda e semi di ricino. Il giorno di Natale, il piatto forte erano i maccheroni fatti in casa con il ragù. Anche i regali erano semplici: una bambola di pezza, un soldino, dei torroncini. Per tutto il periodo natalizio si giocava a carte e a tombola, mentre i bambini giocavano “a fosseja”. In ogni casa nel pavimento, veniva scavata una buca o nelle strade. Bisognava lanciare noccioline a terra e poi con l’indice mandarle nella buca, chi riusciva a centrarle tutte, se le prendeva, mentre chi non riusciva, passava il turno al compagno.La notte di Natale era una notte sacra, avvolta nella magia, un mix di sacro e profano. Per esempio, era d’uso che le madri svelassero alle figlie il rituale per togliere il malocchio. A volte in questa notte, gli innamorati si dichiaravano, ponendo davanti alla porta della ragazza amata il ciocco, cioè un tronco, nella speranza di venire accettati come promessi sposi.
Al di sopra di tutto c’era davvero la gioia dell’attesa, la fede, le famiglie erano unite, ci si accontentava di poco e bastava un torroncino per essere felici. Gli odori inconfondibili del muschio, delle zeppole, della terra e degli ulivi, la mattina presto, quando a piedi si andava alla novena. Il suono dolce degli zampognari che accarezzava l’anima. Davvero era Natale! Tutto questo ci fa capire quanto sia importante ritornare alle piccole cose, alla semplicità, alla magia, all’attesa, alla speranza, la speranza di un mondo migliore, in fondo è nel passato che dobbiamo ricercare il nostro futuro. E solo così sarà davvero Natale. Papa Francesco in fondo ci sta facendo capire che è nella semplicità e nella carità che dobbiamo vivere e cercare Gesù, non nell’opulenza e nei falsi miti.
Buon Natale allora, nella speranza di un futuro più semplice ma ricco di fede, luce e serenità.
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