” La Morte dell’Arte”: Considerazioni di Lodovico Gierut

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Lodovico Gierut, critico d’arte e giornalista, esprime le proprie considerazioni sull’opera di Francesco Guadagnolo dal titolo:

” La Morte dell’Arte”.

Ecco cosa afferma: ”In questi giorni guardavo con interesse la “splendida e terribile” scultura titolata “La Morte dell’Arte” (uso la M e la A al maiuscolo per sottolineare il dovuto rispetto per tali parole) del versatile artista e uomo di cultura Francesco Guadagnuolo, pensando al significativo, diretto e crudo messaggio che essa contiene.

Guadagnuolo, ben conosciuto e apprezzato internazionalmente, anche in questa occasione è andato al dunque in modo chiaro, senza orpelli o tentennamenti, gettando nelle acque di un ipotetico stagno, sempre più superficiale, amato e frequentato da certi asettici ambienti che si autodefiniscono “culturalmente impegnati e preparati”, un “sasso”, consistente in un’opera quanto mai interessante che fa riferimento ad uno dei capolavori dell’Arte, cioè la “Nascita di Venere” di Sandro Botticelli attualmente conservata nella Galleria degli Uffizi, a Firenze.

Provocazione?

Certamente, ma la ceramica di Guadagnuolo con la sua potente simbologia, non si allinea a quelle sempre più deficitarie “provocazioni” ormai tanto di moda che, grazie ad abili movimenti di mercato, a critici e storici dell’arte e ad altri spesso profumatamente pagati, portano alle più grandi altezze anche comunicative sculture, dipinti e installazioni connesse ad una illusoria provocazione che personalmente definisco “polvere di niente”.

 Continuando afferma:”Come critico d’arte e giornalista, accetto la provocazione allorché fa pensare “con equilibrio” quando è intelligente e non volgare e non casuale.

Chi mi legge, non conoscendomi, a questo punto potrebbe dire che sono troppo severo, ma ribadisco ciò in cui credo e cioè che tutti, indistintamente, devono avere la possibilità di esprimersi e, nel caso della cosiddetta “creatività”, pure di esporre i propri lavori.

Per me è un obbligo morale guardare e ad analizzare con sempre maggiore attenzione la scultura di Guadagnuolo perché noto che, con il passare degli anni, tanta gente ha sempre meno tempo di leggere per i motivi più vari e vedo pure un certo allineamento didattico verso il basso e una odierna confusione nell’universo dell’arte, “La Morte dell’Arte” è un’opera che può diventare non tanto un simbolo contro l’ignoranza generalizzata nell’ambito artistico, bensì una vera e propria “luce-messaggio” direzionata verso una collettività imbrigliata dalla “non arte”.

Vorrei esser più esplicito facendo nomi e cognomi di artisti, meglio definirli “pseudo-artisti” in quanto, se li si nomina, usufruirebbero del clamore e della notorietà che cercano a tutti i costi e con ogni mezzo, tant’è che, avvalendosi di un certo potere comunicativo, sono riusciti a fare una sorta di lavaggio del cervello a chi pensa all’erronea dicitura per cui il termine “famoso” va sempre abbinato al “bello”.

Poiché ho visitato mostre personali e di gruppo, guardato sculture d’arredo urbano, frequentato da decenni fonderie d’arte e spazi per la lavorazione del marmo, studi privati, musei e altro ancora, non riesco e non voglio starmene in silenzio, dato che la morte dell’Arte si avvicina sempre più ed è incombente.

Non ‘sparo’ a vanvera, dico soltanto che oltre a me ci sono altre persone stanche di essere “prese per il culo”. La frase non è volgare bensì pertinente; basta sfogliare un qualsiasi vocabolario di lingua italiana ed alla parola “culo” leggeremo: “Prendere, pigliare per il c., (fig) (…) imbrogliare”.

A quella che chiamo “bellezza/contenuto” – questione non legata alla figurazione o all’astrattismo e argomento troppo vasto per essere trattato in queste mie semplici considerazioni – si va contrapponendo la valanga della malafede e della casualità che, andando a braccetto, stanno recando un diretto danno a chi crede ancora che l’Arte autentica sia un mezzo di crescita intellettuale.

Francesco Guadagnuolo ha simbolicamente deposto nella bara la botticelliana “Nascita di Venere” per dirci dell’estremo saluto che, ‘grazie’ all’invadente inquinamento artistico, la nostra società sempre più ricca di conquiste, va subendo senza che ci sia un’opposizione.

E allora qualcuno potrà dirmi: “Che ci vuoi fare Lodovico… questa è la vita…, l’arte va avanti e si diversifica! Ci sono i concetti e le idee spesso contano ben più di quel “mestiere d’artista” che c’era una volta e in cui tu, già anziano critico d’arte, credi ancora. Dopotutto a che serve saper disegnare e conoscere, magari, la storia dell’arte e l’anatomia, preparare la base per una tela o per una carta su cui lavorare ad olio o a tempera o ad acrilico, plasmare la creta e saper patinare, scegliere una materia o l’altra…? Ora c’è la virtualità!”.

Senza entrare in merito a classifiche e alla sostanza di qualsivoglia lavoro fatto con onestà intellettuale e passione, è davvero malinconico dover giornalmente assistere sul palcoscenico di quella che dovrebbe essere l’Arte, alla tragedia di una vera e propria decapitazione – o meglio – capitolazione di ciò in cui da sempre si crede.

Dato che vivo in una zona particolarmente attiva nella tematica artistica, anche se ce ne sono altre, per me è inquietante notare opere di alto livello accostate in modo definitivo o provvisorio, a vere e proprie “catastrofi estetiche”, che deturpano spazi esterni o interni, opere compiute da nullità (magari le hanno solo pensate e firmate, facendole fare ad altri), che vengono paragonate, proprio per il plauso di addetti ai lavori in malafede (singoli o collettivi), a certi Maestri, famosi e non, del passato e dell’oggi.

Un’ultima considerazione: oggi è di moda l’apparenza e l’apparire, l’abito firmato – magari bruttissimo ma conosciuto – come pure le altisonanti oratorie di prostituti mentali che non di rado speculano su chi ama sperticatamente la lode.

In più ci sono artisti che dopo aver dato molto all’arte, diventano quasi delle carte riciclate senza più nerbo, copisti di se stessi, elargendo, per la fama acquisita, opere svuotate di contenuto”.

In troppi, anche nell’odierno collezionismo, comprano la firma e non l’arte.

Infine conclude sottolineando: ”E’ poi particolarmente “di moda”, considerata la non conoscenza della storia dell’arte, il “copia-copia” particolarmente nella scultura: la presa in prestito di gessi di bellissime sculture greche o romane o michelangiolesche e farle rielaborare al computer, dandole nelle mani di tecnici, ovvero di abili artigiani (ma il grande artigianato è sempre più in crisi, scarseggia la manodopera giovane, il ricambio), copiarle mutandone la materia, magari aggiungervi segni e segnali.

Lo sprovveduto, e ce ne sono, sarà sicuramente attratto dall’insieme… e comprerà.

Un’altra ‘moda’ è quella di andare in una discarica di marmo e caricare un camion di scarti della lavorazione, aggiungervi gessi e forme rotte, non più utilizzabili, buttate via da una fonderia ed ecco la nascita di un’opera d’arte, poi collocata in una sede di prestigio.

Se la sede è conosciuta, un museo o una chiesa dismessa, una galleria nota internazionalmente, allora in tanti casi la mostra è considerata “bella, esaustiva, interessante”, e la qualità va a farsi friggere.

Cosa posso dire di più?

Capirà, la gente, il messaggio di Francesco Guadagnuolo?

Lo spero. Io sono con lui e se saremo in tanti a pensarla in modo simile, “la morte dell’arte” potrà attendere e forse scomparire”.

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