Ancora un incontro in remoto promosso dall’Associazione Culturale Anassilaos, congiuntamente con lo Spazio Open, disponibile da martedì 22 dicembre sul sito facebook di Anasilaos e su You Tube. Tema della conversazione del Prof. Antonino Romeo il 70° anniversario della approvazione della legge sul divorzio. Infatti, la notte sul 1° dicembre 1970 la Camera dei Deputati approvò in seconda lettura e in via definitiva, con 319 voti favorevoli e 286 contrari, il progetto di legge del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini, che introduceva il divorzio nel nostro ordinamento giuridico. Nel testo della nuova legge, in verità, non veniva mai usata la parola “divorzio” e si parlava più sobriamente di scioglimento del matrimonio civile e di cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso, una scelta di prudenza lessicale adottata per non accentuare le divisioni e le polemiche che attraversavano in egual misura la società civile ed il Parlamento. La novità era, però, rivoluzionaria perché per la prima volta si dava agli italiani la possibilità di uscire per via legale da situazioni matrimoniali infelici e non più sopportabili, senza dover ricorrere a sotterfugi, ipocrisie o, peggio ancora, ad azioni violente. Per arrivare a questo risultato erano stati necessari ben novantadue anni, perché la prima proposta di divorzio era stata presentata alla Camera dal deputato salentino Salvatore Morelli il 16 maggio 1878, ma non era stata mai discussa in aula, come poi avvenne per quasi tutte le proposte dello stesso genere. Solo quella avanzata dal deputato Agostino Berenini nel 1902 fu messa ai voti, ma ebbe soltanto 13 sì a fronte di ben 400 no ed altre votazioni sull’argomento non ce ne furono più. Né nell’Italia liberale né tantomeno in quella fascista, ma neanche nell’Italia repubblicana il divorzio trovò attenzione politica, perché, pur nel mutare degli equilibri e degli orientamenti di governo, esisteva negli italiani tutti una mentalità maschilista e patriarcale che avrebbe reso ben difficile ad una donna affrontare lo stigma sociale di “divorziata”, senza considerare che ben poche donne avevano l’autonomia economica per sopravvivere senza il supporto del marito. Ancora nel 1962 un’inchiesta della Doxa accertò che sette italiani su dieci erano contrari al divorzio, ma erano gli stessi anni in cui molte cose stavano cambiando e, per esempio, se ne accorse il cinema con film come “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi del 1961 e poi “I fuorilegge del matrimonio” di Paolo e Vittorio Taviani del 1962.Ma a cambiare fu l’intera società italiana, con le poderose migrazioni interne che misero migliaia di meridionali a contatto con altri stili di vita ed altre mentalità, mentre le donne cominciavano ad entrare nel mercato del lavoro e ad acquistare quell’autonomia economica da sempre negata alle casalinghe, e le ragazze frequentavano sempre più numerose le scuole superiori e le università, acquisendo una diversa coscienza di sé e del proprio ruolo in tutti i campi e i momenti della vita. Queste novità furono colte dal nuovo Partito radicale di Marco Pannella, Mauro Mellini, Roberto Cicciomessere, Adele Faccio, Emma Bonino, un partito che, a differenza di quelli tradizionali, si muoveva verso obiettivi precisi e limitati, con una logica empirica e pragmatica del tutto originale nel nostro quadro politico. I radicali costituirono la Lega per l’istituzione del divorzio (Lid) e ad essa fece riferimento il deputato socialista Loris Fortuna quando nel 1965 presentò un suo progetto di divorzio, nel quale poi confluì quello del liberale Baslini. Per l’occasione furono utilizzati nuovi strumenti di propaganda, come le famose cartoline che il settimanale popolare ABC accluse per mesi ad ogni suo numero perché venissero inviate alla Presidenza della Camera a chiedere la discussione della proposta. Per effetto di questa sempre più ampia mobilitazione popolare, finalmente il progetto Fortuna-Baslini fu approvato a Montecitorio nell’autunno 1969, proprio negli stessi giorni degli scioperi operai che fecero parlare di “autunno caldo”, a riprova che la lotta di classe era sempre viva, ma accanto ad essa c’era, e se ne avvertiva sempre più l’importanza, quella per i diritti civili ignorati per troppo tempo. Anche il Senato approvò la proposta nell’ottobre 1970, ma nell’occasione furono apportate al testo alcune modifiche e fu pertanto necessaria una terza lettura, che si svolse alla Camera dal 24 novembre al 1° dicembre 1970. Con il voto favorevole di socialisti, comunisti, liberali, socialdemocratici e repubblicani, una maggioranza diversa da quella di governo, e l’opposizione di democristiani, missini, monarchici e altoatesini, il progetto divenne legge dello Stato. Quando, nel cuore della notte, la notizia raggiunse quanti erano in attesa a piazza Navona, si vide tra la folla un’anziana popolana, Argentina Marchei, che reggeva un cartello dove c’era scritto semplicemente: “Aspetto da quarant’anni il divorzio”. La legge era fatta, appunto, per dare un nuovo diritto a chi ne aveva bisogno, senza nulla togliere e nulla imporre a chi non ne condivideva la logica. Era semplicemente una legge di libertà, a cui altre sarebbero seguite nel giro di pochi anni, dando a quel decennio il senso complessivo di tempo dei diritti civili e non solo l’immagine cupa e plumbea del terrorismo con cui di solito ricordiamo gli anni Settanta.
La legge Fortuna-Baslini avrebbe poi superato anche il referendum abrogativo del 1974, con una maggioranza talmente ampia da far capire a tutti che la società italiana era davvero cambiate e che il cammino dei diritti civili non era più reversibile.
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