Contro le parole di Draghi insorge l’indifesa classe docente, quella che da mesi riprogramma attività, che continua a formarsi sulle piattaforme digitali, che ha seguito con costanza e molta pazienza, dal primo giorno di lockdown, i propri alunni, quei “nativi digitali” che poi tanto digitali non lo sono, perchè di informatica vera, quella che serve anche solo per scrivere un documento, non sanno nulla. Quei docenti che hanno lavorato e continuano a farlo ancora oltre le regolari ore scolastiche, alcuni fino a tarda sera, per preparare la lezione, correggere i compiti, supportare alunni e famiglie che chiedono aiuto, che sostengono i colleghi che sapevano poco di informatica, ma che durante quest’anno hanno imparato tanto. I docenti, gli stessi che quando un alunno non si presenta in Dad si informano dai genitori per sapere se ha difficoltà ad accedere, sta male o altro (da evidenziare che gli alunni studiosi seguono la Dad con profitto, gli altri riscaldano la sedia come fanno in presenza infischiandosene di storia o matematica). Sempre quei docenti ormai stressati perchè non hanno più una vita privata, bombardati e sommersi da numerose circolari che arrivano giorno dopo giorno, ora dopo ora, perchè il ministero cambia idea da un giorno all’altro, da un momento all’altro. I docenti tutti anche coloro che lavorano in quel Sud che Draghi considera “diverso” dal resto d’Italia. Sì, quel Meridione dove, sembra forse strano carissimo presidente, è arrivata la tecnologia da un bel pò, dove le scuole forniscono supporto informatico, grazie ai propri docenti, a studenti e famiglie continuamente, dove, pensi un pò dottor Draghi, come al Nord, sono arrivati tanti di quei computer da impiantare dovunque aule multimediali.
“I docenti nella scuola al Sud non hanno lavorato o hanno lavorato poco – affermano dal movimento -. Se fosse così la tesi sarebbe offensiva nei confronti dei docenti del Sud (e del resto d’Italia). E cancellerebbe di fatto i sacrifici fatti in tutti questi mesi da docenti, dirigenti, allievi e personale non docente. Sia in presenza (e ancora a rischio-covid) che a distanza. Con un impegno difficoltoso e costante anche oltre le ore scolastiche. Tutto questo non si può definire “ore perse” e se concordiamo con la necessità di recuperare, invece, le ore in presenza. Si tratta di ore perse solo perché eravamo e siamo in una pandemia che ancora oggi, come lei sa meglio di noi, mette a rischio la salute e la vita di tutti noi (compresi docenti e allievi). Se la DAD “al Sud ha incontrato più difficoltà”, (se non è colpa dei docenti) sarà colpa di un Paese che da 160 anni non assicura pari diritti ai cittadini del Sud come del Nord. Lo stesso Paese che, per restare in tema, garantisce al Sud, a differenza del Nord, percentuali di banda larga da ultimi posti in Europa (dal 76% della Sicilia all’87% di Lombardia e Veneto). Anche per costi che tante famiglie non sono in grado di sostenere in virtù di Pil, redditi e servizi che al Sud, sempre da 160 anni, sono al 50% rispetto ai parametri italiani ed europei”.